Regno Unito nel nome, ma molto disunito nei fatti: non è stato raggiunto un accordo al termine del vertice a Cardiff tra la premier britannica Theresa May e i leader delle tre ‘nazioni’ emerse dal processo di devolution, Scozia, Galles e Irlanda del Nord. Non sono bastate le rassicurazioni del primo ministro sul fatto che verranno ascoltate le loro istanze in vista dei negoziati per l’uscita dall’Ue. I tre leader vorrebbero invece un ruolo attivo nelle trattative che non appare una via percorribile per Downing Street, secondo cui Londra deve portare avanti una unica posizione a Bruxelles nell’interesse di tutto il Regno Unito, come ribadito di recente anche dalla Corte suprema.
Scozia e Galles hanno presentato dei piani nella speranza, piuttosto vana, di poter mantenere pieno accesso al mercato unico anche quando il Paese, come annunciato nei giorni scorsi, non ne farà più parte.
La posizione del ‘first minister’ gallese Carwyn Jones appare possibilista rispetto a un accordo con May, affermando che i loro punti di vista “non sono irreconciliabili”. Non si può certo dire lo stesso per la leader scozzese Nicola Sturgeon, secondo cui i colloqui di oggi sono stati “molto deludenti”. Il suo ministro per la Brexit, Mike Russell, ha detto infatti che sono “ben lontani” dal trovare una qualche intesa col governo centrale. Sullo sfondo un nuovo referendum per l’indipendenza.
In una intensa giornata la premier britannica si è poi spostata a Dublino per incontrare il collega irlandese Enda Kenny e discutere dell’unico confine di terra del Regno Unito, tra Irlanda del Nord e Irlanda, e dei timori che una ‘hard Brexit’ possa riportare controlli e posti di blocco come ai tempi del conflitto in Ulster.