Una cosa loro l’hanno detta chiaramente da sempre: non vanno paragonati ai grillini. Sono una forza nata dal basso ma di sinistra e non, come M5s, un contenitore di rabbie variegate dove si tiene insieme pulsioni di sinistra e derive di destra, come le posizioni sull’immigrazione. E soprattutto si tratta di un movimento dove non c’è un padrone e una società di comunicazione che comandano su tutti.
Gli spagnoli di Podemos ora sono alle prese con un passaggio importantissimo: il congresso del partito in programma questo fine settimana dovrà sancire la futura linea politica di quella che – stando ai sondaggi – è la seconda forza spagnola, davanti al tradizionale partito guida della sinistra, il Partito Socialista (Psoe).
Consumato – almeno nelle rilevazioni – il “sorpasso” ai danni del Psoe, Podemos si trova paradossalmente a un bivio da cui rischia di uscire con le ossa rotte, qualunque sia la scelta strategica dei suoi iscritti.
Di fronte vi sono infatti due correnti di pensiero contrapposte. La prima è quella del leader storico Pablo Iglesias, che si potrebbe definire “movimentista”: Podemos, insiste Iglesias, deve continuare a mobilitare le gente per le strade, a rappresentare una sinistra radicale senza scendere ad alcun compromesso con gli altri partiti; di fatto, rappresenta una strategia continuista che, nelle parole di Iglesias, garantirà a Podemos “il futuro, se le cose saranno fatte bene”. Di contro, il numero due Inigo Errejon propone invece una strada “partitica”: ovvero, adottare una strategia più moderata di opposizione all’interno del sistema (ovvero, del Parlamento, il che implicherebbe maggiori disponibilità ad alleanze o coalizioni), anche con l’obbiettivo dichiarato di attirare un elettorato che fino ad ora potrebbe essersi tenuto lontano da un movimento percepito come eccessivamente radicale.
Le due correnti – che stanno lacerando il movimento – si affronteranno faccia a faccia al congresso, in cui in gioco non è tanto la carica di Segretario generale, dato che Errejon non si candida e Iglesias è quasi sicuro della rielezione, quanto la linea politica. Tuttavia, è assai dubbio che Iglesias da segretario (e, dicono i critici, da accentratore) possa tollerare una strategia contraria alla sua linea, e dunque il rischio concreto è quello di una scissione.
D’altro canto, anche la strada della moderazione comporta un rischio politico – che già sta costando caro all’altro partito populista, la destra di Ciudadanos (C’s): la piena percezione di essere diventato un partito “normale” a tutti gli effetti potrebbe convincere molti ex elettori socialisti a tornare alla casa madre, come hanno fatto molti elettori conservatori passati dal C’s al Pp.
Il movimentismo però non sembra poter portare a risultati molto più brillanti di quelli ottenuti fino ad ora: il tanto agognato “sorpasso” al Psoe c’è sì stato, ma più per demerito di un Partito socialista rimasto alla deriva dal punto di vista della guida politica. Una situazione che tuttavia non potrà protrarsi troppo a lungo.
L’esito del congresso dunque sembra profilarsi non in termini di una vittoria schiacciante di una delle due opzioni, ma di una scelta fra una di due opzioni – e correnti – grosso modo equivalenti e che saranno comunque costrette a convivere – pena una scissione che condannerebbe Podemos a un ridimensionamento anche pesante.
Ma anche una convivenza con liti e polemiche alla luce del sole rischia di alienare non solo una parte dell’elettorato, ma anche della stessa dirigenza: membri fondatori come Carolina Bescansa o Luis Alegre hanno scelto di farsi da parte, denunciando una “dinamica tossica” e un “clima di terrore” che non augurano di certo un futuro tranquillo, quale che sia la linea che uscirà vincitrice dal congresso.
Podemos vola nei sondaggi ma adesso rischia la scissione
Al congresso duello tra l'anima movimentista di Iglesias e quella partitica di Errejon
globalist Modifica articolo
9 Febbraio 2017 - 15.03
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