Jeanette, la messicana rifugiata in chiesa per evitare la deportazione
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Jeanette, la messicana rifugiata in chiesa per evitare la deportazione

Da venti anni negli States da irregolare, tre figli con cittadinanza Usa è l'emblema delle sofferenze dei migranti

Jeanette, la messicana rifugiata in chiesa per evitare la deportazione
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16 Febbraio 2017 - 21.40


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Una storia emblematica del trumpismo e del fatto che irregolare non significa terrorista o criminale. Ma solamente aver cercato la fortuna altrove.
Il caso di Jeanette Vizguerra è diventato l’emblema; è una messicana madre di quattro figli, di cui tre minorenni, e da venti anni vive negli Usa illegalmente. Si tratta di una dei milioni di immigrati senza documenti finiti nel mirino dell’amministrazione di Donald Trump, e per evitare la deportazione ha trovato rifugio in una chiesa di Denver, diventata la sua casa.
 La donna, arrivata negli Stati Uniti nel 1997, è stata arrestata e condannata nel 2009 dopo aver usato documenti falsi per lavorare, ha ricevuto l’ordine di lasciare il Paese ma è riuscita a ottenere cinque rinvii.
 Quando però il suo avvocato ne ha chiesto un altro, le autorità dell’immigrazione hanno negato la sua richiesta. Così Vizguerra, 45 anni, ha deciso di non presentarsi in questura per la consueta firma e si è nascosta nella chiesa First Unitarian Society, dove in passato si era già rifugiato un altro clandestino. Ha chiamato a raccolta i tre figli minorenni Zury, 6 anni, Roberto, 10 anni, e Luna, 12 anni (tutti e tre nati in America e quindi con la cittadinanza Usa), e la maggiore Tania Baez, 26enne insegnante di scuola materna che ha ottenuto un permesso di lavoro grazie al programma dell’amministrazione Obama Deferred Action for Childhood Arrivals. Poi ha preparato una valigia, riempito il congelatore con piatti da scaldare al microonde per marito e bambini, e si è barricata nello scantinato della struttura, per sfuggire alla deportazione.
Le chiese, infatti, sono considerate ‘luoghi sensibili’, santuari dove gli agenti dell’immigrazione non entrano a meno che non vi siano circostanze urgenti che richiedono un’azione immediata. La 45enne vive in una stanza con due letti, una lampada appoggiata su una scatola di cartone, e un biglietto di San Valentino dalla sua bimba più piccola. La stessa camera che tre anni fa aveva ospitato un altro clandestino. “Potrei dover stare qui giorni, mesi, forse anni”, ha detto Vizguerra parlando al telefono con i sostenitori, che hanno organizzato una conferenza stampa davanti all’ufficio degli agenti Ice (Immigration and Customs Enforcement).
 “In cuor mio – ha continuato – sapevo che mi avrebbero negato il permesso, e sentivo che se fossi andata a firmare il registro, non sarei mai uscita dalla questura se non per essere cacciata”. “Capisco il punto di vista” di Trump, ha affermato invece la figlia maggiore della donna. “Ma non ha mai vissuto nella povertà e nella paura – ha aggiunto – Penso che se provasse la vita dell’immigrato cambierebbe idea”.

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