di Roberta Benvenuto
La loro nuova casa, la loro nuova speranza è qui nel campo rifugiati in Bangladesh. Sono le donne Rohingya che fuggono dalla morte. Dalla pulizia etnica, da un vero e proprio genocidio, che perseguita questo popolo in Myanmar. La Birmania, infatti, sta cercando di “espellere” tutti i Rohingya, i membri della minoranza islamica. L’ha denunciato la relatrice per i diritti umani Onu nell’ex Birmania Yanghee Lee.
Lo stesso paese di Aung San Suu Kyi, la politica birmana premio Nobel per la Pace nel 1991.
Gli investigatori Onu sostengono che i militari stuprino donne e facciano brutalità di ogni tipo. Compresa l’uccisione di bambini.
Da questo fuggono le donne, le madri Rohingya.
Nel fotoreportage della Reuters il giornalista
Yanghee Lee chiede che il consiglio formi una commissione d’inchiesta per indagare la repressione, ma anche gli episodi violenti avvenuti nel 2012 e 2014.Ma alcuni dei principali attori, a partire dall’Unione europea, sono tiepidi sulla proposta, perché temono che possa mettere a rischio il fragile processo democratico avviato nel paese con l’arrivo al potere di Aung San Suu Kyi.
Il governo del premio Nobel per la pace ha respinto l’ipotesi di Lee di formare una commissione d’inchiesta e la stessa Lee ha ammesso che potrebbe avere effetti destabilizzanti, ma ha anche sostenuto che non è nell’interesse del governo non affrontare questi fatti. Non deve.
Intanto il 6-7 Marzo a Londra si è inaugurata una nuova sessione del Tribunale permanente dei popoli sui Crimini di Stato commessi dal Myanmar contro Kachin, Rohingya e altri Gruppi. Il TPP è un tribunale d’opinione, emanazione della Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli.