Ancora molti dettagli tecnici non sono stati rilevati, ma la missione è praticamente compiuta. La Cina ha inaugurato Shandong, la sua prima portaerei costruita interamente in casa; lunga poco più di 300 metri, con un peso di circa 50mila tonnellate, la portaerei appartiene alla classe 001A a propulsione convenzionale (dunque non nucleare).
L’inaugurazione è avvenuta questa mattina alle 9.20 (le 3.20 in Italia) con qualche giorno di ritardo sulla tabella di marcia. Il lancio della portaerei era infatti previsto per il 23 aprile, data in cui si è celebrato il 68° anniversario della fondazione della marina militare cinese. La cerimonia si è tenuta nella città portuale di Dalian, dove la portaerei è stata costruita. Presenti importanti personalità politiche e militari del Paese, a ribadire l’assoluta importanza dell’evento. Ad assistere all’inaugurazione c’era, tra gli altri, il generale Fan Changlong, vicepresidente della Commissione Militare Centrale. “La presenza di Fan – come riporta China Daily – segnala l’importanza che i leader cinesi attribuiscono alla gigantesca imbarcazione, dal momento che gli alti ufficiali prendono parte solo alle cerimonie di inaugurazione dei più importanti equipaggiamenti per l’Esercito di Liberazione Popolare [l’esercito cinese, ndr]”.
Sale così a due il numero di portaerei a disposizione di Pechino, mentre già si parla del lancio di una terza nave per il 2020. Il passo compiuto oggi segnala la centralità strategica del programma di sviluppo navale cinese. Mentre l’acquisto della portaerei ucraina Variyag – poi rinominata Liaoning e i cui lavori di ammodernamento e aggiornamento sono stati eseguiti proprio nel porto Dalian – e il raggiungimento della sua piena operatività nel 2012 ufficializzavano la volontà cinese di ottenere un certo protagonismo sui mari, la messa in funzione di una portaerei costruita integralmente con tecnologia cinese testimonia che quella strategia va avanti e anche con un certo successo.
Se lo stato di sviluppo dell’apparato marittimo cinese resta senza alcun dubbio lontano dai livelli statunitensi, esso rimane comunque un fenomeno in progressiva evoluzione che contribuirà a delineare gli scenari globali di un futuro neanche troppo lontano. Non si tratta di mere questioni militari. Mentre a Dalian si inaugurava la prima portaerei interamente cinese, ad esempio, nel Mar Cinese Meridionale si dava il via alla spedizione oceanica, per scopi scientifici, del sommergibile Jiaolong.
Ma, soprattutto, la Cina è ormai un colosso della logistica e della movimentazione di merci. Porti come quelli di Ningbo, Shanghai e Tianjin sono hub imprescindibili per la circolazione globale delle merci. A Pechino la centralità di una connettività globale a guida cinese è ben chiara da tempo: il lancio della Belt and Road Initiative a questo proposito risponde. L’iniziativa sarà al centro di un summit tra gli esponenti di 28 governi i prossimi 14 e 15 maggio nella capitale cinese. La Via della Seta Marittima è parte integrante del progetto e può già godere di una base logistico/militare in Africa (Gibuti), mentre un altro hub marittimo è in fase di costruzione a Gwadar (Pakistan).
Mentre la leadership cinese non manca di sottolineare l’importanza strategica dei progetti in corso – nell’ottica, sostiene, di una cooperazione win-win, in cui tutti guadagnano –, l’entusiasmo con cui società e cittadini del Paese accolgono le notizie ad essi relative la dice lunga sulla percezione interna del protagonismo cinese sul teatro globale. Il revival del nazionalismo cinese – eteroindotto e non – è ormai cosa fatta, mentre ogni occasione – dai commenti sui social alle conversazioni da bar – è buona per sottolineare che “questo” – a qualunque avvenimento esso si riferisca – prova ufficialmente la forza della Cina. Fuori confine la percezione è forse simile ma spesso non altrettanto entusiastica, mentre è sempre più chiaro che con Pechino si deve avere a che fare in un futuro che è già presente.