Donald Trump, il presidente che vuole farsi re
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Donald Trump, il presidente che vuole farsi re

Il miliardario può fare tutto, ma la strada che ha scelto è quella ribadire la propria ''grandezza'' facendo il contrario di tutto,

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Diego Minuti Modifica articolo

17 Giugno 2017 - 15.15


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Uno dei miti più affascinanti della mitologia è quello di Urano che, temendo che uno dei figli potesse scalzarlo, li uccideva non appena nati scagliandoli nel centro della Terra. E’ forse la massima espressione del potere, per esercitare il quale non ci si ferma nemmeno davanti al più esecrabile dei delitti, uccidere i propri figli,.
Ed è anche logico che chi voglia restare assiso sul trono elimini chi potenzialmente può defenestrarlo. Ma, nei pochi mesi della sua presidenza, Donald Trump sembra soffrire di un mito di Urano all’incontrario, cercando di uccidere politicamente non i suoi eredi, ma il suo predecessore, Barack Obama, di cui sta, scientificamente demolendo quanto fatto in otto anni di permanenza alla Casa Bianca.
Obama ha avuto cavalli di battaglia difesi con feroce determinazione (il clima, la pace mondiale, l’allargamento della base dell’assistenza sanitaria, le regole nella finanza, un freno allo strapotere del mondo bancario), ma anche evidenti passi falsi in politica estera, dettati da una eccessiva cautela.
Ma, per Donald Trump, Obama non è un nemico politico, è qualcuno da rimuovere prima possibile dalla memoria collettiva. E questo passa attraverso la cancellazione del lascito politico del primo presidente afroamericano. Questo obiettivo, però, nonostante glielo consentano le regole che presiedono alla correttezza formale delle decisioni, passa per una serie di decisioni adottate nella legittimità, ma che cozzano con il tradizionale equilibrio dei presidenti americani. Lo stesso Nixon riteneva di agire per il bene della sua nazione, o per quello che lui riteneva essere il bene della sua nazione, ed usava ogni strumento, anche illecito, per raggiungere i suoi obiettivi.
Con Trump il caso è diverso perché ci si trova davanti ad un soggetto che, arrivato alla Casa Bianca grazie ai complessi meccanismi elettorali, ha pensato di prendere possesso della carica, nel senso più lato della parola. Nomine a dir poco controverse (vedi Bannon) fatte in spregio alla ragionevolezza, ma che sarebbero certo piaciute al marchese del Grillo (io sono io e voi non siete un….), perché fatte di arroganza ed intinte nella presunzione , figlia di un ego che non può appartenere al capo della nazione più potente al mondo.
Trump può fare tutto, ma la strada che ha scelto è quella ribadire la propria ”grandezza” facendo il contrario di tutto, a partire dall’Obamacare, dall’accordo sul clima di Parigi e di quello con Cuba. Decisioni non da presidente, ma da re, che Trump però non è, anche se sembra non accorgersene.
I Repubblicani, che sono tornati alla Casa Bianca in modo insperato dopo l’innamoramento di gran parte degli americani per il presidente nero, sembrano compatti dietro Trump, che si bea dei bagni di folla che il suo staff gli prepara furbescamente. Come quello in Florida, davanti ad una folla festante di esuli cubani, che non aspettavano altro che sentire l’annuncio che l’accordo con l’Avana sarà cancellato per la perdurante violazione dei diritti umani nell’isola castrista.
Una situazione che Barack Obama conosceva perfettamente, ma che era stata sacrificata sull’altare dell’accordo, nella speranza che il governo cubano potesse, anche grazie alle maggiori entrate per la liberalizzazione dei flussi turistici, allentare la stretta mortale sui dissidenti. Un atto di fede, quello di Obama, ma anche momento cruciale di una strategia.
Ma cosa mai può importare a Trump, che si ritiene investito da una missione chiarissima: rifare grande l’America?
Ma a che prezzo? Ormai anche i partner europei più fedeli si chiedono come si possa accordare fiducia a chi straccia tutti gli accordi siglati dalla precedente Amministrazione con spiegazioni che tali non sono.
Considerazioni che Trump si fa scivolare addosso, nonostante le spirali dell’inchiesta sul Russiagate si stiano lentamente stringendo addosso a lui ed al caravanserraglio dei suoi collaboratori, parenti ed affini che siano.
Ma Trump non è un re e se dovesse continuare a ritenersi tale – mettendo sotto i piedi ogni convenzione che non gli aggrada – forse troverà qualcuno, come il bimbo della favola, che gli farà notare, nonostante si pavoneggi di fronte ai suoi sostenitori, è nudo, terribilmente nudo.

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