L'attentato di Finsbury Park è una vittoria per l'islam radicale
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L'attentato di Finsbury Park è una vittoria per l'islam radicale

L'azione chiaramente islamofoba dà fiato a tutte quelle posizioni più oltranziste che accusano le autorità di non proteggere i musulmani

L'attentato di Finsbury Park è una vittoria per l'islam radicale
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Diego Minuti Modifica articolo

19 Giugno 2017 - 07.37


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Per paradossale che possa apparire, quando accaduto la scorsa notte davanti ad una moschea di Londra (un van lanciato sui fedeli dopo la preghiera ed il bilancio provvisorio di un morto ed una decina di feriti) è una nuova vittoria per l’islam radicale. Non parlo dell’Isis, quindi, ma di quella parte dell’islam che non ha mai denunciato la deriva radicale della religione, assumendo una posizione di manifesto distacco dal fenomeno, che spesso però rasenta l’omertà o la complicità.
L’attentato della scorsa notte, ad opera di un bianco che ha evidentemente agito per spirito di vendetta contro gli attacchi dell’Isis nella capitale ed a Manchester, ora dà fiato a quei musulmani (singoli o strutture organizzate che siano) che da subito hanno puntato il dito contro lo Stato britannico accusato di non difendere le comunità islamiche e, per questo, sollecitando che tutte le moschee siano sorvegliate e quindi protette dalla polizia.
Una richiesta in fin dei conti abbastanza normale se solo la comunità islamica britannica , nella sua interezza e quindi senza le distinzioni che la lacerano, avesse dato chiari segnali di condanna nei confronti di chi, come i ”soldati” dell’Isis, ha scelto la strada della violenza indiscriminata. Certamente ci sono state delle prese di posizione, ma, almeno a quanto se ne sa a livello ufficiale, ci si è limitati a questo , senza il passo successivo ch4e ci si attendeva, che è quello di farsi parte diligente non solo per mettere all’angolo i radicali, ma anche per fare sì che le autorità di polizia siano messe a conoscenza delle loro derive jihadiste.
In questo c’è anche la pochezza degli apparati di sicurezza britannici che vengono letteralmente ridicolizzati nel momento che, non appena individuano un soggetto potenzialmente pericoloso, si limitano ad affibbiargli una sigla e non invece a seguirlo passo passo per prevenire una azione violenta anziché registrarla a posteriori.
Forse dalla parti di Downing street non ci si è accorti che, al di là delle frasi di prammatica, dell’invito alla calma, degli appelli alla ragionevolezza, si è ormai di fronte ad un fenomeno forse non vastissimo, ma sicuramente consistente di radicalizzazione armata che ormai provoca rabbia e reazioni come quella della scorsa notte che sono sicuramente aberranti e quindi da condannare, ma che devono essere anticipate, prevenute e quindi represse prima che entrino nella fase esecutiva.
Ora, mi chiedo, sapendo che la moschea di Finsbury park è da tempo sospettata di coltivare posizioni dottrinali estreme, chi è stato quello stratega delle investigazioni che non ha pensato di mettere al suo ingresso un poliziotto che fosse uno, quanto meno per scoraggiare eventuali azioni violente?
Nessuno può giustificare l’atto della scorsa notte, ma di certo le autorità di polizia dovevano pensare – perché in fondo è questo il loro mestiere – che gli attentati delle scorse settimane potevano innescare una reazione, che è sempre e comunque da condannare, ma che, conoscendo lo stato d’animo attuale degli inglesi, poteva anche essere prevista, individuando una serie di potenziali bersagli. Come appunto la moschea di Finsbury Park, sin troppo nota alle cronache. L’autore dell’attentato è un bianco di 48 anni che, nelle concitate fasi del suo arresto, ha rivendicato la sua azioni contro i musulmani. Al momento non si sa nulla di lui, ma c’è da scommettere che, da domani, quando la sua identità sarà nota, che spunterà qualcuno che ricorderà le sue posizioni, le sue idee, le sue convinzioni.
Il consiglio degli islamici inglesi, in un documento ufficiale redatto a poche ore dall’attentato ai fedeli della moschea, parla di islamofobia come di un fenomeno che sta attraversando trasversalmente la società britannica. Ma in questo modo, piuttosto che abbassare i toni della vicenda, li si attizza, perché si porta avanti un discorso di autodifesa acritica, parlando di assedio e assegnandosi il ruolo di vittima.
In queste cose tutti sono vittime e, consentitemelo, tutti sono carnefici. Per ignavia, per inettitudine, per inefficienza, non importa, ma un attentato come quello della scorsa notte era da aspettarselo. Se lo pensiamo noi, che viviamo ben lontani da Londra, lo dovevano certo e prima pensare quelli che, nella capitale, sanno che il terrore, la strage è dietro l’angolo. E poco importa se le vittime siano ”occidentali” o musulmane. Per questo a vincere è sempre chi porta avanti la politica dell’odio.

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