I migranti sono lo strumento e non la causa del risveglio dei nazionalismi
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I migranti sono lo strumento e non la causa del risveglio dei nazionalismi

Ogni occasione è buona per scendere in piazza ed innalzare la propria protesta contro quella che viene chiamata sempre più spesso invasione

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Diego Minuti Modifica articolo

21 Agosto 2017 - 17.27


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l fiorire, un po’ ovunque nell’Occidente interessato dal fenomeno, di formazioni più o meno spontanee che si schierano contro l’immigrazione, (controllata, legale o no, non è questo l’importante), è punteggiato da manifestazioni cui la stura viene data da rivendicazioni pseudosociali che portano chiaro lo stigma del nazionalismo più esasperato.
Ogni occasione è buona per scendere in piazza ed innalzare, attraverso gli strumenti della comunicazione visiva, la propria protesta contro quella che viene chiamata sempre più spesso invasione, con un implicito allarme sui pericoli che corrono la cultura e la società dei Paesi che accolgono.
Una situazione che ha come contraltare la protesta, altrettanta vigorosa, della variopinta galassia dei sostenitori dell’accoglienza, ma, più concretamente, di coloro che si professano antifascisti, antinazisti, antisuprematisti. L’interrogativo che però si può porre è se l’immigrazione sia la causa di quanto accade o, piuttosto, come vado convincendomi, uno strumento per portare avanti le idee che più possono attecchire, in termini di conquista di consenso popolare, nella classe media ed in quella genericamente meno politicizzata, con il ventre pieno di rabbia per la propria condizione economica e che cerca disperatamente qualcuno o qualcosa contro cui scagliarsi. Come, da un certo punto di vista, i blue collar americani che hanno spinto Donald Trump sin sotto il colonnato con vista giardino della Casa Bianca.
Quanto accaduto nelle ultime ore a Quebec City, capitale dell’omonima Provincia canadese, ne è una conferma, con alcune centinaia di persone che intendevano protestare contro la politica delle porte aperte promossa dal primo ministro nazionale, Justin Trudeau, e da quello provinciale, Philip Couillard. La protesta è stata promossa da una formazione, La Meute, che non nasconde le sue simpatie per una politica identitaria che abbia i suoi punti fermi soprattutto sui temi della sicurezza.
La maggior parte dei suoi sostenitori indossavano camicie o magliette rigorosamente nere e che portavano all’altezza del cuore, come simbolo della formazione, l’impronta di una zampa di lupo. La stessa che campeggia su una linea di abbigliamento ed accessori che il movimento vende on line, a prezzi nemmeno tanto bassi, ma che fanno da base economica alle sue iniziative.
Una manifestazione annunciata e che i reparti anti-sommossa della polizia di Quebec City si era preparata ad affrontare. La tensione, come era scontato, è salita alla stelle ed alcuni sostenitori de La Meute si sono ritrovati confinati dagli agenti in un parcheggio sotterraneo in attesa d’avere il via libera della polizia per evitare scontri con i gruppi della sinistra estrema che si erano preparati ad accoglierli.
Per riassumere in poche battute, in strada a battagliare con la polizia (sotto gli occhi dei passanti e quelli, atterriti, dei proprietari delle auto divenute bersaglio di sassi e bottiglie) sono rimasti solo gli antifascisti mentre i simpatizzanti de La Meute se ne sono stati buoni buoni ed alla fine hanno fatto una manifestazione silenziosa, accogliendo l’invito delle forze dell’ordine.
Ed ora arriva il nodo della faccenda, perché il portavoce de La Meute, Sylvain Brouillette, ha detto che ”il miglior modo di mostrare che siamo con la gente è di rispettare l’ordine pubblico, di fare una manifestazione silenziosa. Questo – ha chiosato – accresce l’attenzione”.
Ed allora cosa rimane negli occhi di chi ha assistito alla movimentata giornata di Quebec City, la manifestazione silente de La Meute o i disordini provocati dai suoi oppositori?
Nell’epoca della globalizzazione e della Rete, ormai veicolo di politiche populistiche spericolate e scorrette, dove in decine di migliaia abboccano a notizie fasulle o artatamente costruite per captare consensi, appare difficile pensare che certe cose, certe strategie nascano sul momento e non invece siano conseguenza di una accurata preparazione. Per dirne una, i torvi mazzieri de La Meute (dall’aspetto di buttafuori più che di raffinati politici) sventolavano la bandiera del Quebec, con i quattro gigli di Francia su sfondo azzurro, e cartelli in cui ribadivano la loro solidarietà alla Grc (la Gendarmeria reale del Canada, in francese; la Rcmp, in inglese) alle prese con il problema delle migliaia di arrivi di clandestini alle frontiere con gli Stati Uniti.
Fatte le debite proporzioni, è la stessa politica di grana grossa che si fa in Italia quando, ad esempio, esponenti di formazioni che certo di sinistra non sono colgono ogni occasione data da eventi di cronaca – soprattutto quelli che hanno per protagonisti negativi stranieri immigrati – per ribadire la loro vicinanza alle forze di polizia, ma facendo mancare il loro solidale appoggio a chi, magari italiano, subiscano prevaricazioni per il colore della pelle.
Spregevole cinismo o acuta strategia? Quel che appare certo è che ormai il fenomeno dell’immigrazione (in Canada, negli Stati Uniti, in Italia, Francia, come nelle civilissime Svezia e Finlandia) sta diventando il fulcro per politiche di destra aggressive, velate da proposizioni che chiedono maggiore sicurezza e che, nella sostanza, appaiono solo un nemmeno tanto velato tentativo di parlare alla pancia della gente.

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