Negli Stati Uniti i quattro principali sport professionistici (basket, baseball, american football ed hockey) sono seguitissimi e, soprattutto, tutelati da contratti televisivi ricchissimi che, ad esempio, quest’anno hanno consentito alle franchigie della Nba di potere offrire alle loro star (ma anche a giocatori di secondo livello) una impressionante pioggia di milioni di dollari. Sport in cui la competitività è elevatissima, nonostante il meccanismo non preveda retrocessioni, né promozioni dalle leghe minori in modo da consentire solo agli ”eletti” di spartirsi la ricchissima torta delle televisioni.
Ma, per essere credibile, ogni sport deve garantire correttezza perché alla gente puoi vendere solo un prodotto sul quale non si possono avere dubbi. Perché negli Stati Uniti tutto può essere perdonato meno la menzogna, meno l’avere agito scientemente per finalità truffaldine. Ma in queste settimane il mondo dello sport americano vive un periodo in cui i dubbi tornano ad insinuarsi perché sembra di rivivere, all’improvviso, i tempi in cui il baseball fu scosso da scandali a ripetizioni legati all’uso di farmaci dopanti, soprattutto steroidi che moltiplicavano le prestazioni dei battitori, di quelli – lo spiego a chi conosce poco lo sport del batti e corri – che devono colpire palline che arrivano loro a quasi duecento chilometri all’ora.
Questa stagione, però, si sta assistendo a performance che sono assolutamente incredibili e qualcuno comincia a pensare, mosso dal dubbio, che esse non siano realmente frutto della bravura degli atleti, ma che, invece, godano di qualche aiutino che viene dalla chimica.Uno di quelli che sembra non avere dubbi è Martin Leclerc, esperto di sport professionistici per Radio Canada, l’emittente di Stato canadese.Leclerc non si lascia prendere dalla sensazioni, ma parla per dati di fatto sui quali invita ad una riflessione.Giancarlo Stanton, esterno dei Miami Marlins, in questi giorni è diventato il sesto giocatore nella storia ultracentenaria della Mlb – la maggiore lega pro americana – a mettere a segno 50 fuori campo (cioè ha mandato per 50 volte la pallina oltre il terreno di gioco) prima della fine del mese di agosto. Un club esclusivo di cui fanno parte però tre giocatori – Mark McGwire, Samy Sosa e Barry Bonds – rimasti invischiati nello scandalo doping che sconvolse il baseball americano tra la fine degli anni ’90 e l’inizio della decade successiva. E Leclerc cita un altro caso eclatante, secondo la rigorosa legge delle statistiche: il rookie (cioè al primo anno nell’Mlb) Rhys Hoskins, dei Philadelphia Phillie, nelle prime 18 partite della stagione ha messo a segno ben 18 home run, un rapporto mostruoso per un giocatore alle prime armi. Numeri che ricordano quelli di McGwire e Barry Bonds che però giocavano in un momento storico in cui i vertici del baseball americano non erano attenti alle problematiche del doping, accettando che di sostanze che aumentavano le prestazioni – come l’ormone della crescita – ne girassero praticamente indisturbate nell’ambiente.
In proposito Leclerc cita un passaggio nell’autobiografia di Joe Torre, mitico manager degli Yankees (la squadra più famosa della Lega ed anche quella con un monte salari stellare) in cui ricorda, esterrefatto, come, in una conferenza, i medici che promuovevano l’uso di sostanze che miglioravano, barando, le prestazioni fisiche ne magnificavano le caratteristiche senza avere il pudore di parlarne sottovoce.
Anche se ormai il ricorso alle sostanza dopanti è severamente perseguito, questa stagione sta però dando motivo per qualche dubbio. Senza speculare più di tanto, i numeri parlano da soli. Se la media di fuoricampo di questa stagione (1,27 a partita) dovesse proseguire, alla fine del campionato gli home run salirebbero a quota 6187. Un numero che ai neofiti dice poco, ma che se raffrontato a quello del 2014 (tre anni fa, non 20 o 30), porterebbe ad un incremento di 2000 home run, con un aumento del 47,57 per cento. Allucinante, per Leclerc. E’ come se, facendo un paragone con il calcio di casa nostra, il totale delle reti segnate in un campionato raddoppiasse in un paio d’anni senza che le regole siano state cambiate, quindi a parità di condizioni.
Che qualcosa stoni in questa vicenda lo conferma la circostanza che, dopo la pubblicazione nel 2007 del rapporto redatto dall’ex senatore George J.Mitchell, sull’uso di steroidi nel baseball, il numero dei fuoricampo diminuì drasticamente del 10 per cento, a conferma che qualcosina che non andava ci doveva pur essere.Tutto lascia pensare, quindi, che il doping, passando attraverso le maglie dei controlli, ancora resista anche perché ogni anno c’è sempre qualche giocatore che finisce per essere pescato (quest’anno già 54). Come accaduto all’italo-americano Chris Colabello (che ha anche vestito la maglia azzurra) beccato e pesantemente sanzionato e che ora, costretto a giocare nelle serie minori, ha difficoltà a ricalcare i palcoscenici della Major League.