di Delia Vaccarello
Non c’è pace per Chelsea Manning. Transgender e gola profonda di WikiLeaks graziata da Obama poco prima dell’avvento di Trump, adesso si vede chiuse le porte di Harvard. La prestigiosa università Usa, dove hanno studiato tra gli altri Obama e Bill Gates, l’aveva invitata come visiting fellow ma ha deciso di fare marcia indietro dopo le polemiche sollevate da altri invitati, tra questi Mike Pompeo direttore della Cia dal gennaio 2017. Pompeo ha scritto al decano minacciando di dare forfait: “Essere con Manning come visiting fellow sarebbe tradire la mia coscienza, e sarebbe vergognoso per Harvard approvarne l’operato “, si legge sul sito della CNN. Così , dopo che il dipartimento di Politica aveva reso noto i nomi, il decano Elmendorf ha ritirato l’invito, precisando che Manning avrebbe potuto partecipare ad un forum con gli studenti ma certamente non avendo un suo speech. Porte chiuse, dunque. Eppure Chelsea Manning di cose da insegnare ne avrebbe eccome, per il suo percorso umano e per la vicenda che l’ha vista decidere che c’è una etica superiore ai doveri di un militare.
Per lei, che ora si chiama Chelsea Elizabeth, si sono mobilitati in tanti. E’ stata scarcerata a maggio dopo sei anni di reclusione per aver consegnato all’organizzazione di Assange documenti segreti sugli abusi dell’esercito Usa. Nel 2013, il giorno dopo la sentenza di condanna a 35 anni di prigione, ha fatto coming out, dicendo di non sentirsi uomo. Da analista dell’Intelligence Usa ai tempi della guerra in Iraq, con il nome di battesimo Bradley, vive momenti cruciali. Ha accesso a tutte le informazioni segrete. I suoi occhi restano calamitati. Le prove sono tutte lì: i prigionieri di Guantanamo reclusi senza processo, il video con due giornalisti della Reuters rimasti uccisi dopo un attacco dell’elicottero Usa, le sevizie ai detenuti, il numero delle morti di civili nella guerra in Iraq superiore alle stime ufficiali. Manning resta di pietra. La rete di computer nella quale entra con un clic gli permette di copiare centinaia di migliaia di documenti, compresi 250 mila cablogrammi diplomatici, schermate di conversazioni, giudizi, dossier, video. Ne scorre uno, poi decine, poi centinaia. E’ tutto vero, maledizione. Viene fuori l’altra faccia dell’esercito Usa. Torture, omertà. Una doppia immagine.
Fermiamoci. Pur indossando la divisa da uomo, con i capelli a zero e la barba rasata, Manning si sente donna. Ma ufficialmente resta Bradley, l’analista dell’Intelligence. Ancora non ha fatto coming out e vive una doppia vita. Si sente donna, ed è un militare Usa. Non può non aver subito le attenzioni di qualche compagno di branda che sa o che ha fiutato il suo segreto. O i ricatti, o chissà, le aggressioni. Fino a quel momento ha taciuto. Arriva però il momento di scegliere. Dinanzi all’orrore di quanto ha visto, sceglie la verità, anche se il prezzo sarà altissimo. Consegna all’organizzazione di Assange documenti segreti sugli abusi dell’esercito Usa. Viene scoperta e processata. E, il giorno dopo il verdetto, dichiara: mi sento donna. In carcere ha una vita dura, viene posta in isolamento, rischia di non farcela. Chiede aiuto.
“Chelsea mi ha contattato dal carcere per il mio ruolo nell’associazione “Fight for the future” “- rivela Evan Greer alla testa di Fft – e perché sono transgender. Siamo diventate amiche, noi dell’associazione abbiamo organizzato una campagna per denunciare i maltrattamenti che ha subito per mano del governo. Ho lottato per lei perché è incredibilmente umile e compassionevole, animata dal profondo desiderio di cambiare le cose in meglio, difendere i diritti umani, battersi per i transgender in prigione“. Come avete agito? “Abbiamo reso pubblici gli abusi subiti da Chelsea in carcere che l’hanno spinta a tentare il suicidio. Abbiamo chiesto che il governo provvedesse alle cure mediche necessarie per lei, abbiamo moltiplicato gli interventi quando è stata posta in isolamento come conseguenza del suo tentato suicidio. Chelsea è stata tenuta in una forma estrema di confino per sette mesi, una misura che le Nazioni Unite chiamano tortura. Per molto tempo la stampa americana ha ignorato le sue condizioni”. Come avete rotto il silenzio? “Organizzando campagne massicce, lanciando petizioni, raccogliendo centinaia di migliaia di firme. Coinvolgendo celebrità e musicisti. E le abbiamo inviato una valanga di cartoline di compleanno per tenerle su il morale. Abbiamo coordinato una rete di giornalisti in contatto con i suoi avvocati per informare l’opinione pubblica”. A maggio per Manning, ora Chelsea Elizabeth, si sono aperte le porte della prigione. E l’America si è divisa: traditrice o eroina perseguitata? Ora per lei si sono chiuse le porte di Harvard. Chi meglio di Chelsea Manning potrebbe tenere una lectio magistralis di politica e diritti umani?
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