L'esercito del Giappone non sarà più solo per autodifesa: i perché della svolta di Abe
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L'esercito del Giappone non sarà più solo per autodifesa: i perché della svolta di Abe

I tempi sono mutati e le forze armate giapponesi devono confrontarsi con una situazione internazionale che è gravida di pericoli, Per questo si vuole cambiare la Costituzione

La resa del Giappone
La resa del Giappone
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Diego Minuti Modifica articolo

1 Novembre 2017 - 15.06


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Quando, salendo a bordo della Uss Missouri, raggiunta a bordo di una lancia, il Ministro degli Esteri giapponese Mamoru Shigemitsu percorse, con il suo passo claudicante, i pochi metri che lo separavano dal tavolo sul quale era stato poggiato il documento che ufficializzava la resa dell’Impero, il generale Douglas McArthur vide coronati anni di battaglie e di una guerra di annientamento che aveva dichiarato contro quelli che, proditoriamente, avevano attaccato a Pearl Habour.
La prima firma fu quella di Shigemitsu, seguita da quella dei generale Yoshijiro Umezu, ”per comando e in nome dei quartieri generali imperiali giapponesi”.
Una cerimonia, durata 23 minuti e ripresa passo passo da cineprese, con immagini che, nel giro di pochi giorni, avrebbero fatto il giro del mondo. Un atto formale che sanciva la fine della guerra e del Giappone come potenza imperiale. Una missione per McArthur, che volle annientare, ma con lungimiranza, il Giappone della casta militare, sapendo che, per farlo, doveva ridimensionare l’orgoglio nazionale, senza però infierire troppo, ma anche mettere in sicurezza le pulsioni di un Paese che solo le mortali gemelle di Hiroshima e Nagasaki convinsero a deporre le armi.
La vittoria nel Pacifico, nella seconda Guerra mondiale, fu merito di Douglas McArthur, cui, ancora prima che finissero le ostilità, quando era abbastanza chiaro quale sarebbe stato l’esito finale del conflitto (al di là dei tempi e delle perdite umane che esso avrebbe comportato), furono attribuiti poteri mai concessi, in tempi moderni, ad un uomo che non fosse un dittatore.
McArthur, originario dell’Arkasas, della capitale Little Rock, era nato nel 1880 ed aveva costruito la sua vita solo in ottica militare, uscendo con voti altissimi da West Point e concependo solo la vittoria, sul campo e fuori. Quando il Giappone fece subire agli Stati Uniti disastrosi rovesci militari, giurò a se stesso che sarebbe entrato a Tokyo da vincitore, a qualsiasi costo. E ci riuscì. Ma, cosciente che gli Stati Uniti, come potenza mondiale, non potevano lasciarsi alle spalle macerie, sia materiali che in termini politici, capì che si doveva ripartire dall’architettura costituzionale, ben cosciente che questo passava per una assoluzione acritica del ruolo dell’imperatore Hirohito, cui fu risparmiata l’onta di un processo, quale ispiratore e complice dei suoi generali.
Il nodo della Costituzione del 1947, pensata, voluta e condizionata da McArthur (ed alla quale ora Shinzo Abe vuole dare una nuova veste con nuovi contenuti) era quello che occorreva riscrivere il futuro del Giappone come vincolato a quello degli Stati Uniti, ma senza più legami con un passato sanguinario. Ma McArthur sapeva che, nel Giappone dell’Imperatore Dio, soldi ed armi camminavano lungo la stessa strada. Per questo volle che venissero vietati gli zaibatzu (i potentissimi gruppi imprenditoriali su base familiare, capaci di condizionare la vita dell’Impero) e che l’esercito non mettese più il naso fuori dai confini nazionali, affidandogli compiti di autodifesa. Una formula che poteva andare bene settant’anni fa, quando il mondo intero non aveva voglia di guerre (ma la Corea era dietro l’angolo) e in fondo l’idea di un esercito che si accontentasse di compiti di difesa non era così lontana dalla speranza di tutti. Bisognava comunque rifondare  l’esercito, eliminando le scorie lasciate da una casta che aveva costruito una macchina bellica perfetta, almeno sino a quando riuscì a resistere all’ego del primo ministro, il generale Hideki Tojo, che pagò sul patibolo il sogno di un Giappone invicibile.
Ora i tempi sono mutati e le forze armate giapponesi, che peraltro sono efficienti, addestrate e dotate di un arsenale imponente, ancorchè votato a compiti di difesa, devono confrontarsi con una situazione internazionale che è gravida di pericoli perché ai confini preme la crisi coreana, un Paese (quello intero, senza la divisione sul 38/mo parallelo) con cui il Giappone ha da secoli contenziosi aperti, di cui le migliaia di donne usate come ”diletto” per l’esercito d’occupazione nipponico sono solo un esempio che i tirano fuori ad ogn occasione utile.

Un esercito non più di autodifesa, visti i paletti della Costituzione voluta da McArthur, vedrebbe comunque  condizionato o stoppato sul primo manifestarsi ogni disegno anche solo ipoteticamente egemonico o espansionistico. Ma Shinzo Abe sa che è giunto il tempo di mutare il proprio orizzonte e che il Giappone deve tornare ad essere presente sulla scenario militare del mondo. Ha la tecnoogia, ha gli uomini (formati secondo le regole americane e quindi, potenzialmente, vaccinati dalla tentazione del revanchismo), ha l’adddestramento. Ora manca solo un tratto di penna che cancelli la definizione ”autodifesa’ che, nel 2017, non è più proponibie.

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