Donald Trup vuole che Sayfullo Suipov, l’uzbeko che ha fatto strage di ciclisti a New York, sia condannato a morte. Una richiesta espressa, secondo il suo stile, non davanti ad un pubblico o, magari, davanti ad esponenti politici, ma via twitter, per evitare qualsiasi contraddittorio.
“Il terrorista NYC [di New York city, ndr) era felice ed ha chiesto che la bandiera dell’Isis sia appesa nella sua stanza d’ospedale. Ha ucciso 8 persone e ha ferito gravemente 12 . DOVREBBE ESSERE CONDANNATO A MORTE! (tutto in caratteri maiuscoli, ndr)”.
Un cambio di linea rispetto a quello che, sempre via Twitter, poche ore prima aveva detto di volere fare dell’atteantore: spedirlo nella prigione di Guantanamo, nell’isola di Cuba, insieme a tutti gli altri accusati di terrorismo jihadista.
Con le sue sortite che sono frutto del suo carattere, ma che in questo momento sono viste quasi di sapore propagandistico ed in ogni caso con un risvolto politico, Donald Trump rischia di creare un caso mediatico. Parlando di pena di morte, il presidente si è rivolto al suo elettorato, quello che lo ha portato alla Casa Bianca, ma anche a chi – non repubblicano – vede immanente il pericolo del terrorismo islamico e forse non si accontenta di pene che siano afflittive, ma non estreme, come la condanna capitale.
Le due accuse formulate contro Suipov (violenza e distruzione di veicoli e sostegno ad una organizzazione terroristica straniera) già lo espongono ad una condanna a vita. Anche se, come ha detto il procuratore di Mahattan, Joon Kim, esiste un percorso per incriminarlo con accuse che prevedono la pena di morte.
Come accade, nelle ore immediatamente successive ad un evento di simile gravità, anche la strage dei ciclisti ha aperto negli Stati Uniti il vaso di Pandora delle reazioni più variegate, dalla rabbia alla richiesta di capire. Ma su tutte emerge quella dei due massimi esponenti delle istituzioni di New York, il sindaco Bill De Blasio ed il governatore dello Stato Andrew Cuomo, che hanno chieso di mettere da parte le stumentalizzazioni politiche. Una frase neutra che però aveva un bersaglio evidente, Donald Trump ed il suo concetto di giustizia. Come ad esempio considerare l’attentatore come un ”combattente nemico”, che non è solo una etichetta, perchè pone limiti severi all’azione della difesa.
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