Erano arrivati ad un passo da un sogno pagato a caro prezzo. Erano arrivati sulle spiagge della Libia, avendo negli occhi il mare che aspettava solo d’essere scavalcato, anche se a bordo un malandato guscio di legno o plastica, o di gommoni che i potenti motori ai loro occhi non rendevano certo più sicuri. Ma, quando hanno scoperto quanto sta succedendo in Libia, in oltre 250, tutti camerunensi, hanno deciso di tornare a casa. E tra di loro ce ne sono anche che sono sfuggiti alle prigioni dei trafficanti libici.
A fare scemare lentamente le loro speranze sono state le notizie di quel che accade ad altri neri in Libia, di quella tratta di schiavi che colpisce migliaia di quelli che, arrivati dalle regioni subsahariane dopo viaggi pericolosissimi spesso attraversando il deserto, finiscono nelle mani di aguzzini che, così come accadeva nel 18/mo secolo, li vendono al migliore offerente.
Notizie drammatiche che, giunte a loro con un passaparola che ha attraversato i confini, hanno voluto confermare con gli operatori umanitari che hanno detto che era vero. Hanno confermato che in Libia il sogno di migliaia di migranti era diventato un incubo e che la speranza di arrivare in Europa imponeva troppi rischi.
Prima c’è stato lo scoramento, seguito dalla rabbia e poi dall’indignazione sapendo quello che altri migranti stavano subendo nei campi di raccolta che i trafficanti hanno creato in Libia e che sono diventati un luogo di dolore. Per questo 250 migranti camerunesi, che erano riusciti ad arrivare in Libia, hanno negoziato il loro ritorno in patria con i rappresentanti dell’Organizzazione mondiale per i migranti. Un viaggio di ritorno che ha avuto la sua prima tappa nell’aeroporto di Nsimalen, a Yaundè, capitale dal Niger, da dove hanno intrapreso il viaggio verso casa. Grazie anche all’equivalente di un centinaio di euro dato loro dagli operatori umanitari dell’Oim.
Tra coloro che sono arrivati a Yaoundè, c’erano anche alcuni che erano riusciti a fuggire dai campi e le loro testimonianze sono drammatiche e forse anche di più.
”In Libia era l’inferno totale – dice Maxime Ndong -: non consiglierei nemmeno al mio peggiore nemici di andarci”. Maxime dice di avere vissuto un incubo e spiega il perché: ”i libici non hanno alcuna considerazione per i neri. Ci trattano come animali. Violentano le donne. Eravamo ammassati dentro magazzini, bastonati, non magiavamo bene. C’era poca acqua e riuscivano a lavarci a malapena. Là (nei campi in Libia, ndr) c’è il commercio dei neri. C’è gente che vuole degli schiavi come accadeva all’epoca della tratta dei neri. Vengono (nei campo, ndr) per comparne. Se cerchi di resistere ti picchiano e ci sono stati anche dei morti”.
Maxime Ndong è stato otto mesi nell’inferno di un campo in Libia. C’era finito con la moglie, che aspettava un bambino e di cui ha perso le notizie dopo tre mesi.
”Non so – dice senza alcuna espressione sul volto – se sia viva o morta”.
Secondo Maxime altri 1700 camerunensi sono reclusi in Libia e la loro sorte è appesa ad un filo: vivono in un clima di angoscia,