Un interrogatorio drammatico, nel quale la vittima della violenza sessuale del branco di Pamplona ha dovuto rispondere a domande sgradevoli, soprattutto quella dei difensori dei violentatori, che hanno tentato in tutti i modi di farla passare per una ragazza vogliosa di sesso, ubriaca e su di giri, consensiente a tutte le schiefezze accadute.
Ma lei no. La ragazza di 18 anni di Madrid non si è fatta intimorire e ha raccontato punto per punto l’orribile violenza subita. Puntualmente. Dal momento nel quale si era persa di vista con i suoi amici ed era rimasta sola e senza poter tornare a casa a quando aveva accettato un passaggio dai ragazzi che poi si sono trasformati nei suoi aguzzini.
Da parte sua nessuna avance (come sosteneva la difesa) nessun riferimento al sesso. Ma la violenza subita da una ragazzina afferrata per la gola dagli stupratori. Talmente violenti – e ci si perdoni il particolare vergognoso, ma considerato importante dall’accusa – che ad un certo punto gli stupatori del branco con forza l’afferrarono per la mandibola costringendola a fare ciò che volevano.
Nulla di più lontano dalla favoletta della ragazza ubriaca, consensiente e famelica di sesso.
Del resto tutta questa storia è stata un continuo tentativo di colpevolizzare e delegittimare la ragazza. Un’azione così vergognosa che le donne spagnole e moltissimi gruppi per i diritti civili hanno scelto di scendere in campo contro la cultura machista e misogena che trasuda da tutta questa storia.
La storia
Siamo nel 2016, luglio, a Pamplona. Durante la corsa dei tori, cinque uomini abbordano una ragazza di vent’anni che aspetta l’amico che ha perso nell’incredibile caos per ritornare insieme a Madrid. Lei ha già bevuto un po’, loro le offrono un altro bicchierino e da quel momento le cose peggiorano perché la ragazza inizia a sentirsi confusa.
Si offrono di aiutarla, invece da osceno copione la stuprano in un portone. La violano in ogni modo, riprendono ogni nefandezza. Quando finiscono la lasciano disperata, seminuda, ferita nel corpo e nell’anima. La giovane viene soccorsa da una coppia. In ospedale la violenza viene confermata. Le indagini portano a individuare cinque uomini, tra cui un militare e un agente della Guardia Civil, come autori materiali dello stupro. Fanno parte di un gruppo che si fa chiamare La Manada (vuol dire il branco, ma rappresenta anche il potere patriarcale e il suo disprezzo delle donne).
Un gruppo di 21 maschi che si muove da Siviglia con obiettivi precisi: cercare ragazze e abusarne. Un gruppo su WhatsApp che si messaggia su come e in che modo stuprare usando corde, droghe, farmaci per intontire le ragazze. Che posta i video e le foto degli abusi per dileggiare le vittime, mortificarle. Donne usate come trofei. La notizia fa il giro dei media, dei social. Gli amici del branco minimizzano, i “goodfellas” sono già assolti, che mai sarà uno stupro? Le indagini vanno avanti, si scopre che l’agente della Guardia Civil ha un precedente per abusi sessuali, un altro stupro di gruppo.
Ma durante il processo né il video della violenza, né i messaggi del branco vengono considerati prove. Invece viene ammessa la relazione di un detective privato, pagato dalla Manada, per seguire la vittima, dimostrare che nella sua vita non è successo nulla dopo quella notte perché continua a studiare, a viaggiare, a incontrare gli amici. Come se questa fosse una colpa.
La ragazza stuprata affronta i suoi aguzzini: così sono stata violentata
Il processo al branco va avanti. La vittima ha confermato le accuse nonostante i tentativi della difesa di farla passare come una poco di buono
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5 Dicembre 2017 - 17.15
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