Il Papa in un colloquio, riferito dal gesuita Antonio Spadaro sul prossimo numero della Civiltà cattolica, è anticipato oggi dal Corriere della Sera ha dichiarato: “Gesù Cristo oggi si chiama Rohingya”, a proposito della minoranza musulmana perseguitata in Myanmar che ha incontrato in Bangladesh.
Quello in Myanmar è stato “un viaggio molto difficile, sì. Forse ha rischiato pure di essere cancellato, a un certo punto. Ma proprio perché difficile, dovevo farlo! Il Popolo di Dio è popolo povero, umile, che ha sete di Dio. Noi pastori dobbiamo imparare dal popolo. Perciò, se questo viaggio appariva difficile, sono venuto perché noi dobbiamo stare nei crocevia della storia”. Lo ha detto Papa Francesco nel corso dell’incontro con i gesuiti di Myanmar e Bangladesh nel corso del recente viaggio nei due paesi asiatici.
“Ho visitato finora quattro campi di rifugiati. Tre enormi: Lampedusa, Lesbo e Bologna. E là il lavoro è di vicinanza. A volte sono veri campi di concentramento, carceri” dice il Santo Padre.
“Io cerco di visitare, parlo chiaro, soprattutto con i Paesi che chiudono le loro frontiere. Purtroppo in Europa ci sono Paesi che hanno scelto di chiudere le frontiere. La cosa più dolorosa è che per prendere questa decisione hanno dovuto chiudere il cuore. E il nostro lavoro missionario deve raggiungere anche quei cuori che sono chiusi all’accoglienza degli altri. Queste cose non arrivano ai salotti delle nostre grandi città. Abbiamo l’obbligo di denunciare e di rendere pubbliche le tragedie umane che si cerca di silenziare”.