E’ di una decina di morti il bilancio di nuovi raid aerei governativi sulla Ghuta orientale, l’area a est di Damasco assediata dalle truppe lealiste e controllata da gruppi anti-regime. Lo riferiscono fonti mediche, citate dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani, secondo cui i bombardamenti più intensi proseguono nella parte sud della Ghuta, in particolare a Kfar Batna, dove si registrano le prime vittime di stamani.
Un mese esatto dopo l’inizio dell’offensiva turca su Afrin, nel nord della Siria, milizie fedeli al regime di Damasco sono entrate oggi nell’enclave per cercare di dare man forte alle unità curde, portando a livelli di guardia le tensioni tra Ankara e Damasco. L’artiglieria turca ha immediatamente risposto, costringendo le milizie filo-Assad a ritirarsi di una decina di chilometri, secondo l’agenzia turca Anadolu. La televisione siriana ha mostrato immagini dei bombardamenti, che hanno costretto anche alcuni giornalisti a fuggire per mettersi al riparo. Alle porte di Damasco, intanto, si consuma una delle peggiori tragedie dei sette anni di conflitto civile. Quasi 250 civili, di cui 57 bambini o adolescenti, sono stati uccisi a partire da domenica dai bombardamenti governativi con artiglieria, aerei ed elicotteri sulla regione della Ghuta orientale, controllata da una congerie di gruppi ribelli e fondamentalisti. Questi ultimi hanno risposto facendo piovere razzi e obici di mortaio su alcuni quartieri della capitale, dove almeno 8 civili, di cui 3 bambini, sono stati uccisi e 15 feriti.
Quello a cui si sta assistendo è “un eccidio peggiore di quello di Aleppo”, ha affermato Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef per l’Italia, ricordando il sanguinoso assedio della seconda città siriana, conclusosi nel dicembre del 2016. Iacomini ha parlato di “strage di innocenti”, sottolineando le condizioni disperate in cui vivono i 400.000 civili assediati nella Ghuta orientale. “Se abbiamo imparato qualcosa da Aleppo, è ora di evitare tutto questo”, ha affermato da parte sua l’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura. Ma gli occhi delle potenze mondiali e regionali sembrano essere puntati in queste ore più su quello che avviene ad Afrin, tenuto conto delle possibili ripercussioni sul piano internazionale. Nei giorni scorsi il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva avvertito che il suo Paese avrebbe attaccato anche le milizie lealiste siriane se queste avessero cercato di fermare l’offensiva turca e dei ribelli fedeli ad Ankara contro l’enclave controllata dalle forze curde dell’Ypg, alleate degli Usa e affiliate al Pkk turco, e per questo considerate dai turchi “terroriste”. E oggi la promessa è stata mantenuta e la minaccia ribadita: in futuro “non tollereremo altri passi sbagliati di questo tipo”. I cannoni turchi hanno aperto il fuoco quando, nel primo pomeriggio, le cosiddette “forze popolari”, di cui fanno parte miliziani siriani e stranieri addestrati dall’Iran, sono entrate a bordo di convogli nel distretto di Afrin attraverso il posto di blocco di Ziyara. Erdogan ha detto che si è trattato di un’iniziativa isolata di combattenti a bordo di non più di una dozzina di automezzi, che sono stati respinti. Lo scontro in atto sembra poter rimettere in discussione la cooperazione avviata con i colloqui di Sochi fra la Turchia, la Russia e l’Iran per cercare una soluzione al conflitto siriano. Ma Mosca, che secondo diversi osservatori non si era opposta all’offensiva turca, ha reagito oggi con una dichiarazione in cui il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha cercato di non scontentare nessuno. “Sono fiducioso che gli interessi legittimi della Turchia in materia di sicurezza possano essere attuati e soddisfatti attraverso un dialogo diretto con il governo siriano”, ha detto il capo della diplomazia russa, aggiungendo che il suo Paese “riconosce” le preoccupazioni di Ankara e, allo stesso tempo, “le legittime aspettative curde”. Ma Erdogan non fa marcia indietro, promettendo di far pagare “un prezzo alto” alle milizie filo-Assad che dovessero cercare di rientrare nella regione di Afrin.