Il No way tanto citato da Salvini è una triste pratica iniziata agli inizi degli anni 90, e che negli ultimi anni ha trovato maggiore forza. E’ una forma di politica di respingimento dei migranti in mare o di collocazione nei centri di detenzione – lager delle isole a nord dell’Australia, Nauru e Manus.
Se nel 2015 il primo ministro australiano Tony Abott affermava: «Abbiamo fermato le navi, questo è bene per chiunque voglia un mondo migliore», l’attuale ministro degli interni Peter Dutton ha detto, lo scorso febbraio, che «bisogna ridurre i migranti, è nell’interesse nazionale». Per capire qualcosa di più Mattia Gallo di globalproject.info ha posto qualche domanda a Piergiorgio Moro, attivista australiano che vive a Melbourne, delegato del sindacato Australian Services Union VicTas, e membro di Australia Asia Worker Links (AAWL); fa parte della radio antagonista 3CR Radio.
Quando è iniziata la politica anti – migrazioni basata sul sistema “No Way” in Australia, e chi l’ha voluta? Quali sono stati gli effetti di questa politica sui flussi migratori verso il vostro Paese?
Questa fase è iniziata nel 1991 quando il ministro dell’immigrazione del Partito Laburista (ALP) Gerry Hand (dall’ala sinistra del partito) ha iniziato a premere al fine di adottare una politica più dura nei confronti dei migranti e fermare le barche di rifugiati che arrivavano dal Nord, attuando una politica di detenzioni ai nuovi arrivati, “manadatory detention”.
Ad iniziare dal 1994, tutti gli arrivi “non autorizzati” su vari tipi di imbarcazione sono stati fermati e le persone messe automaticamente in luoghi di detenzione. Tale periodo di detenzione era a tempo determinato per un massimo di nove mesi. Questa incarcerazione è stata successivamente allungata fino ad arrivare ai giorni nostri dove non c’è un limite di tempo, si parla infatti di detenzione a tempo indeterminato.
Nel 2001, il governo Australiano, questa volta guidato dal conservatore John Howard del partito Liberale, ha intercettato, attraverso la marina australiana, una nave container, la Tampa, che aveva salvato un centinaio di rifugiati al Nord Ovest dell’Australia. Questo caso, il cosiddetto Tampa Affair, ha poi registrato l’intensificarsi della politica repressiva e razzista contro gli arrivi di profughi dall’oltre oceano.
Da allora si è continuato a perseguire questa linea politica, ossia di salvaguardare i confini, garantire la stabilità dell’Australia e la sicurezza interna.
Inoltre le leggi sui richiedenti asilo, in particolare la possibilità per chi richiede asilo politico di ricevere assistenza sociale o l’attivazione dell’iter per la cittadinanza Australiana, sono diventate ancora più restrittive.
Parlando del sistema di gestione dei flussi migratori in Australia, si fa riferimento alle isole utilizzate come centri di detenzione per migranti, a Nauru e Manus. Quali sono le critiche mosse dalle associazioni antirazziste e antixenofobe a questo sistema di detenzione? Quali sono le ultime notizie che arrivano da quei luoghi?
Il movimento australiano antirazzista e a favore dei diritti dei migranti, che oramai comprende tanti gruppi, sta lottando dai primi anni degli anni novanta del secolo scorso. Ci sono state tantissime manifestazioni, occupazioni di uffici, occupazioni di centri di detenzione, petizioni, ricorsi legali sia a livello nazionale ed internazionale, supporto morale, legale e materiale a migliaia di rifugiati che vivono in Australia, ma che non hanno diritti ad assistenza sociale o al diritto di lavorare.
I campi di concentramento in Papua Nuova Guinea (Isola di Manus) e Nauru sono stati creati appunto per rendere più difficili le proteste, essendo quasi totalmente inaccessibili. L’accesso è molto difficile anche per giornalisti, medici e rappresentati di organizzazioni dei diritti umani.
I governi di PNG e Nauru sono molti poveri e il governo Australiano ha speso miliardi negli ultimi anni per mantenerli e convincerli a tenere aperti questi centri di detenzione.
Le condizioni in questi siti sono scadenti e la gente letteralmente muore dopo aver perso ogni speranza. Le notizie più recenti che arrivano da Manus e Nauru sono terribili e scandalose. Non posso adeguatamente descrivere il livello di disperazione che queste centinaia di persone intrappolate nei campi di concentrazione stanno affrontando. Proprio in questi giorni ci sono giunte le notizie che una bambina di 12 anni ha tentato di uccidersi mentre un altro bambino di 12 anni è caduto in un tale stato di depressione tanto da non mangiare più. I casi di suicidio, di depressione cronica o di autolesionismo ormai non si contano più.
Se in Italia il Ministro dell’Interno Salvini millanta continuamente la sua politica contro i migranti, anche le dichiarazioni dei politici australiani non sono certo inferiori in quanto a schiettezza xenofoba. Ad esempio, il senatore del partito di destra “Katter Party” ha parlato recentemente di «soluzione finale» per il problema dei migranti in Australia. Quali sono state le reazioni a questa infelice frase da parte dei media e degli altri politici? Quali le reazioni della società australiana?
Anning è solamente l’ultimo di una lunga fila di politici razzisti ed è stato eletto in Parlamento solo per la dimissione di un altro senatore. In ogni caso ha cercato di ricrearsi nuovo consenso attraverso una dichiarazione agghiacciante in cui sostanzialmente chiedeva «la fine dell’immigrazione di persone Islamiche», e ad un ritorno alla White Australia policy per cui solo gente europea e cristiana sarebbe ammessa, con uno spinto riferimento alla «soluzione finale».
Però si deve ricordare che il discorso di Fraser Anning era indirizzato alla fascia di popolazione di destra (la quale ha accolto molto bene il discorso) e il tentativo era anche quello di togliere consensi agli altri partiti di destra, specialmente One Nation (quello di Pauline Hanson). Oramai siamo in una vera corsa sempre più a destra e qualsiasi politico/leader cerca di apparire ancora più radicale di quello di ieri, come ad esempio Pauline Hanson di One Nation, a sua volta celebre perché nel suo primo intervento in Parlamento nel 1996 affermò che «Siamo in pericolo di essere sommersi dagli asiatici», e che venti anni dopo, nel 2016, nel Senato federale australiano ha detto «adesso siamo in pericolo di essere sommersi dai musulmani».
In più c’è tutta una sfilza di commentatori politici e giornalisti che soffiano su quest’aria razzista e xenofoba alimentando la deriva a destra del Paese. Così facendo danno ossigeno a veri gruppi fascisti che inevitabilmente stanno crescendo sempre di più.
Quello che manca è una vera campagna di opposizione al razzismo. Ad esempio i sindacati australiani, che anche se indeboliti sono ancora forti, per via del loro legame col partito ALP sono incapaci di fare battaglia su questo terreno.
Si può dire che, in connessione con le politiche securitarie ed anti – migranti, negli ultimi anni si sta assistendo ad una crescita del razzismo in Australia?
Veramente, se sei un Aborigeno la situazione non è cambiata di molto in questi anni. La popolazione indigena è sempre all’ultimo posto e soffre un razzismo strutturale. La situazione del razzismo in Australia verrà risolta solamente una volta che si riconoscerà il fatto che l’Australia è un paese fondato sull’esproprio delle terre aborigene e il tentato genocidio delle società aborigene.
In Australia c’è sempre state la paura del “Yellow Invasion”, letteralmente l’«invasione gialla» dal nord dalle popolazione dell’Indonesia, Cina, Vietnamita, Giappone etc… Nel dopoguerra questo razzismo si è poi spostato sui migranti dalla regione del Mediterraneo, per poi ancora spostarsi sulla popolazione vietnamita e poi quella libanese.
Quello che è cambiato negli ultimi 10-15 anni è che la xenofobia contro i musulmani si è aggravata a causa dell’errata connessione con la questione di sicurezza nazionale. Analogamente, c’è anche una polemica dura contro le popolazioni africane basata sulla paura del diverso e l’ordine pubblico.
L’unico consiglio che posso dare è che bisogna fermare/sconfiggere questa politica il prima possibile. Anche perché a questa politica razzista e xenofobe non c’è limite. Si va solo a peggiorare e qui in Australia abbiamo visto che, uno dopo l’altro, arriva sempre “il nuovo” politico che tenta di essere ancora più duro del precedente.
Il nuovo Primo Ministro, Scott Morrison, che ha appena vinto la guida del partito Liberale è un altro “duro” sulla linea della immigrazione. Da poco si è diffuso un video in cui lui affermava nel 2014, da Ministro dell’Immigrazione, che i migranti avrebbero fatto meglio a tornare indietro se non avessero voluto affrontare una “very very long detention”.
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