Storia di Asia Bibi che ha rischiato la pena di morte per un bicchier d’acqua
Top

Storia di Asia Bibi che ha rischiato la pena di morte per un bicchier d’acqua

Il caso della donna cristiana sfuggita all’ultimo momento alla forca porta sotto i riflettori una legge ispirata da un dittatore per compiacere gli integralisti

Asia Bibi assolta dalla Corte suprema del Pakistan
Asia Bibi assolta dalla Corte suprema del Pakistan
Preroll

globalist Modifica articolo

31 Ottobre 2018 - 14.03


ATF

Ora che Asia Bibi sfugge al boia il Pakistan deve fronteggiare la rabbia dei partiti integralisti islamici, e contemporaneamente avviare una riflessione su una delle leggi più criticate dentro e fuori i suoi confini nazionali. Quella, tanto dura da far parlare di vera e propria persecuzione, sulla blasfemia.

Una legge con pochissimi uguali al mondo, che si basa su alcuni articoli del Codice penale introdotti nel 1986 durante la dittatura di Zia ul Haq. Un generale filoccidentale in politica estera, ma anche il primo a rendersi conto che la Rivoluzione Islamica nel vicino Iran avrebbe cambiato molte cose. Diveniva fondamentale garantire la stabilità interna del suo Pakistan grazie ad un accordo con l’estremismo musulmano. Fu così che in Occidente iniziarono ad arrivare le foto che documentavano la reintroduzione della sharia, la legge coranica. Ma in pochi capirono la pericolosità di quanto stava avvenendo.

Da allora la legge sulla blasfemia è stata applicata, quasi sempre con arbitrio, in 1300 casi, ed ha provocato centinaia di vittime innocenti, 40 condanne a morte, oltre 60 esecuzioni extragiudiziali o assassini eccellenti. Tanto che lo scorso anno fu avviato l’iter per la sua revisione. Un iter bloccato dal no dei partiti integralisti.  

Il calvario di Asia Bibi, contadina di Ittanwali nel Punjab, inizia nel 2009. Durante una giornata passata a lavorare nei campi, due vicine si rifiutano di bere alla fontana dove ha bevuto lei. È cristiana, quindi è impura. Secondo alcune versioni lei avrebbe offerto dell’acqua, secondo altre le vicine avrebbero rifiutato un bicchiere perché reso impuro dal contatto con le sue dita. Ma le versioni sono divergenti, ed è questo che oggi le ha salvato la vita: nessuna è stata giudicata attendibile.

DI certo c’è che si scatena un litigio. Le vicine si rivolgono all’imam del paese, che non ha assistito alla scena ma che fa proprie le accuse di blasfemia lanciate contro Asia. La quale rischia l’immediato linciaggio, e poi viene arrestata. Passerà in prigionia quasi dieci anni.

L’11 novembre del 2010 il tribunale del distretto di Nankana la condanna a morte. I legali difensori della madre cattolica presentano ricorso all’Alta corte del Punjab., ma dopo tre anni l’Alto tribunale conferma la condanna. La difesa presenta il ricorso alla Corte Suprema mentre inizia a prendere forza un movimento d’opinione a livello internazionale.

Il caso viene esaminato diversi anni dopo: Asia rimane in carcere per tutto questo tempo, sottoposta a condizioni di detenzione molto dure.

L’esecuzione della pena – si tratta della prima vittoria processuale – viene sospesa. Ma per la piena revisione del caso ricominciano i rinvii. Intanto, nel 2017, uno dei suoi principali avvocati, il cristiano Sardar Mushtaq Gill, è costretto ad abbandonare la professione dopo
una raffica di intimidazioni e il sequestro della famiglia. Le resta un legale musulmano, molto combattivo, che si chiama Saiful Malook e che continua ad impstare la battaglia processuale sull’inconsistenza delle testimonianze a carico.

Nel marzo scorso Asia riceve nel carcere di Multan un rosario donatole da papa Francesco. All’inizio di ottobre nuovo rinvio: la Corte suprema ascolta l’appello della difesa contro l’esecuzione, ma si prende tempo per decidere, senza annunciare una data per la sentenza.

Il clima però sta cambiando, e mette sul piede di guerra gli islamisti pakistani, che minacciano “pericolose conseguenze” se la donna sarà assolta. “Se non sarà fatta giustizia e la condanna di Asia sarà trattata con indulgenza o con leggerezza o cercherà di fuggire in un altro Paese, ci saranno conseguenze pericolose”, si legge in una nota del partito politico radicale pachistano Tehreek-e-Labbaik (Tlp) che nelle ultime elezioni ha difeso con forza l’applicazione della legge sulla blasfemia. Il Tlp esorta il governo a non cedere alla pressione delle ong, “nemiche del Paese” o dell’Unione europea e quindi a confermare la condanna alla pena di morte.

Oggi l’assoluzione: piena ragione alla difesa. Il processo, si legge nella sentenza, si è basato sulla testimonianza poco chiara e molto contraddittoria dell’imam del villaggio. Asia Bibi torna libera, ma il suo caso ha compromesso la già fragile coesistenza tra parte della società islamica e le minoranze religiose. Ed ha avuto i suoi morti: martiri, se non della religione, del laico principio della tolleranza.

Sono il musulmano Salman Taseer, governatore della provincia del Punjab, ucciso il 4 gennaio 2011, e il cattolico Shabaz Bhatti, allora Ministro federale delle minoranze, assassinato il 2 marzo 2011. I due stavano sollecitando un riesame della legge sulla blasfemia, divenuta “mezzo di oppressione”. Un pezzo di Medioevo.

Native

Articoli correlati