La Corea del Nord non perseguita gli stupri
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La Corea del Nord non perseguita gli stupri

Un rapporto di Human Rights Watch denuncia che le donne sono vittime di violenze e prevaricazione da parte di chi dovrebbe proteggerle: poliziotti, giudici e funzionari.

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2 Novembre 2018 - 09.44


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Poco più che “giocattoli sessuali”. Bastano queste parole a comprendere la portata della violenze e delle prevaricazione che le donne della Corea del Nord subiscono da parte di funzionari governativi, guardie carcerarie, inquirenti, poliziotti, pubblici ministeri e soldati.

Lo rivela un nuovo rapporto di Human Rights Watch, secondo cui le avances indesiderate sono una costante nella vita quotidiana per le donne che lavorano nel fiorente mercato nero.

HRW ha intervistato 54 persone fuggite dalla Corea del Nord dal 2011, l’anno in cui Kim Jong-un è salito al potere. Ci sono voluti più di due anni per mettere insieme le storie che raccontano l’orrore quotidiano per chi è nato del sesso ‘sbagliato’. Gli uomini al potere operano impunemente e “quando una guardia o un ufficiale di polizia” sceglie “una donna, non ha altra scelta che soddisfare le richieste, che siano sesso, denaro o altri favori”, dice il rapporto.

Le violazioni dei diritti umani in Corea del Nord sono state ampiamente documentate e le stime delle Nazioni Unite tra 80.000 e 120.000 prigionieri politici sono detenuti in quattro grandi campi. L’Onu parla di casi di “sterminio, omicidio, riduzione in schiavitù, tortura, carcere, stupro, aborti forzati e altre violenze sessuali, persecuzioni per motivi politici, religiosi, razziali e di genere, trasferimento forzato di popolazioni, sparizione forzata di persone e l’atto disumano di provocare consapevolmente una fame prolungata”.

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Ma le donne, scrive il Guardian, rimangono particolarmente vulnerabili in un Paese in cui la polizia, gli ispettori del mercato e i soldati sono prevalentemente maschi. E i mercati neri, diventati una fonte vitale di reddito per molte famiglie, sono un luogo in cui la violenza sessuale dilaga.

Per molte donne l’abuso che hanno subito è così ‘normalizzato’ che quasi nessuno ha nemmeno pensato di sporgere denuncia contro i responsabili. La Corea del Nord tenta di dipingersi come un paradiso socialista privo di criminalità, e in un rapporto presentato all’Onu l’anno scorso ha dichiarato che solo cinque persone sono state condannate per stupro nel 2015 e sette nel 2011.

Ma il rapporto Human Rights Watch dipinge un quadro diverso. Otto donne che erano ex detenute hanno descritto di aver subito “abusi sessuali, verbali e fisici” per mano delle autorità. La questione è stata discussa così poco in Corea del Nord che i ricercatori hanno scoperto che concetti come la violenza domestica e la violenza sessuale non avevano una definizione chiara: la lingua stessa usa una serie di eufemismi che spesso minimizzano la gravità dell’atto.

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