Siamo nel 1978, la stella di Chinaglia si è eclissata e il suo posto nel cuore dei laziali l’ha preso un ragazzo di Trastevere che da del tu al pallone e che porta il nome di un filosofo arso vivo dalla Santa Inquisizione, Giordano Bruno. Bruno è entrato nelle giovanili della Società, si può dire da quando ha acquisito l’uso della ragione, e ha debuttato in prima squadra a 19 anni, segnando tanti gol, tutti d’autore, ed è entrato prepotentemente nel mito della Lazio. Finirà la sua carriera in maniera trionfale nel Napoli, accanto a Maradona.
In quel campionato Bruno gioca quella che ancora viene considerata la più bella partita della sua vita. I tifosi più anziani, a distanza di anni, gli ricordano con gioia: «Quando facesti due gol a Dino Zoff…», il mitico portiere della Juventus, il capitano della Nazionale campione del mondo nel 1982. Uno dei giocatori più longevi della storia del calcio, il portiere che non mancò mai una partita, tanto da non far scendere in campo, neppure per un minuto, i suoi sostituti.
Così Bruno Giordano ricorda quella partita passata alla storia del calcio (nel libro che io gli ho dedicato Bruno Giordano, Una vita sulle montagne russe, Fazi Editore): “Quel giorno la Lazio era scatenata. Qualcuno scrisse che sembrava si fosse giocato a maglie invertite, la Lazio con i colori dei campioni d’Italia, che nello stesso anno vinceranno il loro diciottesimo scudetto. Il mio primo gol venne da un tiro al volo di sinistro. Il secondo fu un vero capolavoro perché feci passare la palla sopra la testa del difensore juventino Morini, la ripresi senza farle toccare terra e scavalcai Zoff in uscita con un pallonetto morbido morbido. Quasi da non crederci, se non ci fosse su YouTube la documentazione filmata. Andate a rivederla se non ci credete! Come non ci credeva Beppe Viola, il giornalista scrittore della Rai, che alla fine della partita mi chiese: “Ma ti rendi conto che cosa significa fare un gol così al portiere della Nazionale?”. Risposi con la mia solita sfrontatezza: “Quando sei lì non stai mica a pensare che quello è il portiere della Nazionale. Pensi a fare gol e basta”.
Quell’anno lavoravo con Alberto Sordi a un programma che è entrato, anche questo, nel mito della televisione italiana Storia di un italiano, in cui si raccontava questo straordinario attore che meglio di tutti ha saputo aderire alla storia del nostro Paese. Con noi c’era il grande musicista Piero Piccioni, il musicista preferito di Alberto, da cui non si separava mai. Piero era tifoso della Juventus, come suo fratello Leone, che invece aveva fatto una grande carriera come giornalista alla Rai e anche come professore universitario di letteratura italiana. I due Piccioni erano figli di Attilio, un importante esponente della Democrazia Cristiana che aveva fatto ripetutamente il ministro. Con Piero decidemmo di andare alla partita insieme, io tifoso laziale e lui tifoso juventino. Piero cercò di convincere anche Alberto ma non riuscì a vincere la pigrizia che la domenica pomeriggio lo prendeva. Io ero titubante perché sentivo che la presenza del Maestro Piccioni avrebbe frenato la passione di tifoso. Pensavo “e se la Lazio dovesse vincere saprò manifestare una sobria soddisfazione?”. Ci credevo poco ma mi venne in aiuto la Lazio: quel pomeriggio non ci fu partita perché la mia Lazio, grazie soprattutto ai gol di Bruno, umiliò quella squadra che proprio quell’anno vincerà il suo diciottesimo scudetto. La superiorità della Lazio fu talmente evidente che mi permise anche di consolare il Maestro sconfitto il quale, si allontanò, alla fine della partita dalla tribuna con grandissima dignità, quella dignità che sanno manifestare soltanto coloro, che abituati a vincere, hanno imparato ad accettare le poche sconfitte serenamente. A quelli che lo sbeffeggiavano, il Maestro Piero Piccioni rispose con gli inciampi della sua leggera balbuzie: “Certo è che dopo 17 scudetti siamo anche un po’ stanchi”. Come fai a non applaudire un così?! Applausi a Bruno Giordano ma anche applausi al Maestro Piero Piccioni