Israele al voto, Benjamin Netanyahu gioca la carta della guerra
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Israele al voto, Benjamin Netanyahu gioca la carta della guerra

Obiettivo del premier: la Jihad islamica palestinese. È di sei morti il bilancio dei raid aerei effettuati nelle ultime ore da Israele contro obiettivi della Jihad Islamica a sud della capitale siriana Damasco

Benjamin Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

24 Febbraio 2020 - 17.55


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A una settimana dal voto, Benjamin Netanyahu gioca la carta della guerra. Obiettivo: la Jihad islamica palestinese. È di sei morti il bilancio dei raid aerei effettuati nelle ultime ore da Israele contro obiettivi della Jihad Islamica a sud della capitale siriana Damasco. Lo riferiscono sul loro sito web gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui tra i sei ci sono due miliziani della Jihad Islamica e due combattenti filo-iraniani. Lo riferiscono sul loro sito web gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo cui tra i sei ci sono due miliziani della Jihad Islamica e due combattenti filo-iraniani. “Gli attacchi dei sionisti in Siria e la morte  di due dei nostri combattenti – ha affermato Abu Hamza, portavoce dell’ala militare della Jihad islamica – sono un episodio che non può essere ignorato e che non passerà sotto silenzio. Il conto resta aperto”. 

Guerra e voto

A seguito dei lanci di razzi della Jihad islamica da Gaza e della situazione in atto, l’esercito israeliano ha deciso di chiudere le strade e le aree attorno alla barriera di sicurezza con la Striscia. Lo ha detto il portavoce militare invitando i residenti delle zone a non sostare in prossimità delle strade stesse e ad attenersi alle disposizioni dell’esercito. Anche la spiaggia di Zikim, in prossimità del confine con Gaza, è stata chiusa ai visitatori. Già da ieri per la situazione le autorità israeliane delle stesse zone avevano stabilito per oggi la chiusura delle scuole, l’apertura dei rifugi e il blocco della linea ferroviaria da Ashkelon e Sderot,cittadina più volte obiettivo dei razzi. La decisione è stata presa come rappresaglia dopo che il Jihad Islamico aveva lanciato una ventina razzi verso il sud di Israele: un altro gesto di rappresaglia contro l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di un militante del gruppo mentre stava nascondendo una bomba al confine tra Israele e la Striscia di Gaza, stando a quanto detto dai militari israeliani.

La scorsa settimana un video circolato sui social network mostrava un bulldozer dell’esercito israeliano che spostava il cadavere mentre i soldati sparavano ad alcuni palestinesi che cercavano di recuperare il corpo. Naftali Bennett, il ministro della Difesa israeliano, difende l’operazione, respinge le accuse di brutalità, se la piglia con la sinistra, fra una settimana gli israeliani tornano a votare: “Anime belle pacifiste a essere inumani siete voi, non il nostro esercito”.

 Spiega che il corpo è stato preso per essere usato come scambio: Hamas tiene i resti di due soldati israeliani dai tempi del conflitto tra luglio e agosto del 2014, prigionieri sono anche due civili israeliani che probabilmente sono entrati nella Striscia volontariamente.

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Il clima da trincea fa decollare nei sondaggi “Bibi”. Ad una settimana dalle elezioni del 2 marzo, il Likud di Netanyahu scavalca, a sorpresa, nei sondaggi il rivale Blu-Bianco di Benny Gantz, finora dato in testa.  I media principali testimoniano il sorpasso del partito di destra a scapito di quello centrista nonostante le inchieste giudiziarie che vedono al centro il primo ministro N e che arriveranno in tribunale a Gerusalemme il 17 marzo. Ago della bilancia resta, però, il partito laico nazionalista Yisrael Beiteinu e il suo leader Avigdor Lieberman che ha 7 seggi.   E’ incertezza su chi potrà formare il governo visto che nessuno dei due blocchi – quello di centrosinistra e quello di destra – raggiungono i 61 seggi su 120 della Knesset. La scelta di Lieberman a favore di uno o dell’altro schieramento potrebbe essere, quindi, l’unica in grado di determinare la possibilità di un nuovo esecutivo. Si potrebbe, tuttavia, arrivare ad una quarta votazione, eventualità che molti osservatori non escludono.   “I sondaggi di ieri non sono un semplice segnale di avvertimento, bensì sirene di allarme vere e proprie”, lo afferma su twitter Yair Lapid, numero due del partito centrista Blu-Bianco.  “Se Bibi (Netanyahu) vincerà, nei prossimi 4 anni avremo un’opposizione declinante che sarà paralizzata con la violenza, mentre la democrazia israeliana sarà eliminata”. Lapid prevede anche che l’esecutivo di Netanyahu farà tutto il possibile per scrollarsi di dosso i limiti impostigli dal sistema giudiziario attuale. “E’ il momento di svegliarsi” avverte Lapid. Il ministro della Difesa Naftali Bennett ha annunciato che il governo israeliano non cederà mai un solo centimetro di terra agli arabi, secondo quanto riferito da Al Watan Voice. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo continuare l’impresa di insediamento”, ha riferito Al Watan.  E a Israel Hayom, giornale vicino alla destra oltranzista, Bennet ha aggiunto: L’insediamento è uno dei poli del sionismo, quindi dobbiamo espanderci e continuare ad andare avanti con esso”. Lo stesso quotidiano ha rivelato che il comitato israeliano di pianificazione e costruzione dovrebbe approvare 1.900 nuove unità di insediamento nelle colonie in Cisgiordania. Questa è la decisione del ministro della Difesa Naftali Bennett, ha confermato il giornale. “In base ai suoi ordini, il comitato si riunirà mercoledì per approvare i piani prima delle elezioni”. Un episodio per dar conto del clima della campagna elettorale: nei giorni scorsi Ron Huldai, il sindaco di Tel Aviv, ha ordinato di rimuovere il manifesto gigante in cui Abu Mazen e Ismail Haniyeh, in ginocchio e bendati, implorano la resa. Lo slogan del manifesto di un gruppo della destra estrema dice “La pace è possibile SOLO con i nemici che sono stati sconfitti”. Il presidente della Autorità palestinese e il capo di Hamas sono quindi nemici da sconfiggere, da bendare e mettere in ginocchio prima di poter far una pace che evidentemente è quella proposta dal “piano del secolo” di Donald Trump. Il sindaco Ron Huldai, laburista, ex pilota dell’aeronautica militare israeliana, ha detto che tutti i manifesti verranno rimossi perché “incitano alla violenza e richiamano le azioni dell’Isis e dei nazisti, ai quali noi non vogliamo essere accostati”

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Bruxelles alza la voce

Israele ha annunciato di procedere alla costruzione di insediamenti nei quartieri di Givat Hamatos e Har Homa a Gerusalemme est. Tali passi sono estremamente dannosi per una soluzione a due stati”. Così l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell. “Come detto chiaramente più volte dall’Ue tali misure taglierebbero la contiguità geografica-territoriale tra Gerusalemme e Betlemme, isolerebbero le comunità palestinesi che vivono in tali aree e minaccerebbero una soluzione a due stati, con Gerusalemme capitale di entrambi. “Gli insediamenti sono illegali ai sensi del diritto internazionale. L’Ue non riconoscerà alcuna modifica alle frontiere precedenti al 1967, anche per quanto riguarda Gerusalemme, diverse da quelle concordate dalle parti. Chiediamo a Israele di riconsiderare questi piani”, conclude Borrell. Ma “Bibi” non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro. Tra una settimana si vota, e Bruxelles non conta. Neanche un po’.

Gaza, quella prigione dimenticata

Una prigione che torna a fare notizia quando si fa la conta dei morti, quando torna ad essere un teatro di guerra. Allora i riflettori si riaccendono, i media ne tornano a parlare. Dimenticando che la vera, grande tragedia di Gaza e della sua gente, è la normalità.  Ed è nella “normalità” che Gaza muore. Nel silenzio generale, nel disinteresse dei mass media, nella complicità della comunità internazionale, nella pratica disumana e illegale delle punizioni collettive perpetrate da Israele, nel cinico operare di Hamas, Gaza sta morendo. Un documentato grido d’allarme è stato lanciato da Oxfam. L’assedio sta privando una popolazione di 1,900milioni di abitanti, il 56% al di sotto dei 18 anni, del bene più vitale: l’acqua. A oltre quattro anni dal sanguinoso conflitto che nel 2014 distrusse buona parte del sistema idrico e fognario di Gaza, il sistema straordinario disegnato dalla comunità internazionale per la ricostruzione post-bellica (il cosiddetto Gaza Reconstruction Mechanism-Grm) non riesce ancora a rispondere ai bisogni dei quasi 2 milioni di abitanti della Striscia “intrappolati” in una delle zone più densamente popolate del mondo. Una situazione drammatica, rimarca il report di Oxfam, aggravata degli effetti del decennale blocco di Israele sulla Striscia, di cui le prime vittime sono oltre 1,9 milioni di persone che devono sopravvivere con uno scarsissimo accesso all’acqua e una situazione igienico-sanitaria in continuo peggioramento. Basti pensare che il 95% della popolazione – anche solo per bere e cucinare – dipende dall’acqua marina desalinizzata fornita dalle autocisterne private, semplicemente perché l’acqua fornita dalla rete idrica municipale (che presenta oltre 40% di perdite) non è potabile o perché oltre 40mila abitanti non sono allacciati alla rete. A questo si aggiunge un sistema fognario del tutto inadeguato con oltre un terzo delle famiglie che non è connesso al sistema delle acque reflue. Una situazione di carenza idrica di cui fanno le spese soprattutto donne e bambini, che in molti casi sono costretti a lavarsi, bere e cucinare con acqua contaminata e si trovano esposti così al rischio di diarrea, vomito e disidratazione. Gli effetti del blocco israeliano nella vita di tutti i giorni: commercio praticamente inesistente, famiglie divise e persone che non possono muoversi per curarsi, studiare o lavorare. Siamo all’annientamento di una popolazione: oltre il 65% degli studenti delle scuole gestite dall’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi)  a Gaza non riescono a trovare lavoro a causa delle dure condizioni di vita, dell’aumento della povertà e dei tassi di disoccupazione. Save the Children considera Gaza invivibile già oggi: con le condizioni attuali i bambini non riescono più a nutrirsi adeguatamente, dormire, studiare o giocare. La mancanza di energia elettrica sta penalizzando un’infrastruttura già paralizzata dal blocco e dal conflitto, costringendo a frequenti e lunghe sospensioni del trattamento delle acque reflue che hanno causato l’inquinamento e la contaminazione di più del 96% delle falde acquifere, non più utilizzabili dall’uomo, e del 60% del mare di fronte a Gaza. Ogni giorno si riversano infatti nel mare 108 milioni di litri di acque reflue non trattate, l’equivalente del contenuto di 40 piscine olimpioniche. La mancanza di energia elettrica ha un grave impatto sulla vita dei bambini di Gaza, che non possono avere accesso ad acqua potabile sufficiente o nutrirsi di cibi freschi, essere assistiti dai servizi sanitari e di emergenza quando servono o mantenere un livello minimo di igiene per mancanza di acqua corrente. Non possono dormire sufficientemente durante la notte per il troppo caldo ed essere quindi riposati per studiare a scuola, o fare i compiti o giocare a causa dell’oscurità. “Tutti conoscono la realtà di Gaza, la tragedia umana che in essa si consuma.  Ma questa consapevolezza non porta alla ricerca di un accordo, di una pace giusta, duratura, tra pari. Non impone rinunce per ridare speranza. Costa meno combattere, perché, tanto, a chi vuoi che possa interessare la sorte di due milioni di persone ingabbiate nella prigione chiamata Gaza.

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