Migranti, racconti dall'inferno: dove non esistono mascherine contro il "virus" della violenza
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Migranti, racconti dall'inferno: dove non esistono mascherine contro il "virus" della violenza

Hanno un sogno: raggiungere Paesi sicuri, per provare a ricostruire una vita degna di questo nome. Vivono un incubo: essere ricacciati indietro nell’inferno dal quale hanno tentato la fuga.

Migranti a Lesbo
Migranti a Lesbo
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Marzo 2020 - 11.50


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Hanno un sogno: raggiungere Paesi sicuri, per provare a ricostruire una vita degna di questo nome. Vivono un incubo: essere ricacciati indietro nell’inferno dal quale hanno tentato la fuga. Non hanno mascherine da indossare per difendersi dal “virus” della violenza che subiscono quotidianamente. Sono i disperati accampati al confine tra Turchia e Grecia.

La polizia di frontiera di entrambi gli Stati ha lanciato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, contro gruppi di persone, come racconta l’inviato di Euronews a Kastianes, Giannis Karagiorgas.

“Ha iniziato la polizia turca all’alba, con i gas lacrimogeni”, spiega. “Secondo le autorità greche non c’è stato alcun tentativo da parte dei migranti di passare il confine e i prodotti chimici sono stati lanciati dalla Turchia”. A causa dei gas lacrimogeni, l’aria si è fatta irrespirabile. Nel frattempo, ci arrivano informazioni dalla parte turca, secondo le quali sarebbe stato evacuato il campo allestito dai migranti.

I tentativi di ingresso

35 mila sono stati negli ultimi giorni i tentativi di ingresso illegali dalla Turchia verso la Grecia ai quali si sono opposte le forze di polizia di frontiera di Atene. Lo riferiscono le autorità greche. Le cifre sono pari a circa un quarto di quelle riferite dal governo di Ankara, che nel suo ultimo aggiornamento ha parlato di 138 mila migranti giunti alla frontiera da quando ha annunciato che l’Unione europea li avrebbe lasciati passare. Vengo dall’Iran – dice un migrante – Vivo in Turchia da due anni. Non posso tornare nel mio paese. C’è il virus, non c’è lavoro. La mia famiglia è in Inghilterra. Sono venuto qui, mi avevano detto che la frontiera era aperta, ma non è vero. E’ da una settimana che sto qui”.

A Erdine e dintorni, centinaia di migranti hanno dormito per terra vicino alla stazione degli autobus, per aspettare un mezzo che li porti al confine. Altri si sono accampati nei prati della città o nelle campagne limitrofe. Chi ha già provato ad attraversare la frontiera senza riuscirci vuole continuare a provarci, nonostante la polizia greca stia usando maniere forti.

“In Siria ora, gli aerei russi stanno bombardando – dice Mohammed, 39 anni, rifugiato siriano – Anche l’Iran è coinvolto nella guerra. Ci sono anche Hezbollah e Bashar al- Assad. Sono tutti a Idlib a combattere. La vita è diventata molto difficile. E’ impossibile vivere in Siria”. Una testimonianza, quella di Mohammed, che inchioda alle loro responsabilità due “carnefici” che dovrebbero accomodarsi sul banco degli imputati in una “Norimberga siriana”: Vladimir Putin e Bashar al-Assad.

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Oltre ai rifugiati siriani qui ci sono molti migranti provenienti dall’Afghanistan, Pakistan e Iran. Si vive così nel limbo, intrappolati tra Turchia e Grecia, sognando l’Europa.

Intanto la scorsa notte sono salpate ancora delle imbarcazioni dalle coste turche che, cariche di migranti, sono giunte nelle isole greche dopo aver attraversato il Mar Egeo. A bordo soprattutto profughi siriani, iracheni, afghani e palestinesi.

Morte in diretta

Lo scorso 2 marzo un giovane migrante siriano è morto negli scontri al confine turco con la polizia greca, ucciso da un colpo di arma da fuoco. La notizia, diffusa dalla Turchia e in un primo momento bollata come una fake news dal portavoce del governo greco Stellos Petsas, che l’aveva definita un esempio della “propaganda turca”, è stata ora invece confermata da Forensic Architecture un gruppo di ricercatori e giornalisti britannici specializzato nel verificare l’autenticità di filmati e immagini provenienti da zone di guerra. Il team ha analizzato un video amatoriale che ha ripreso i momenti successivi al ferimento del ragazzo, e ne ha dimostrato l’autenticità.

Il filmato è stato girato poco dopo che nella mattinata del 2 marzo un gruppo di migranti ha provato a superare il confine con la Grecia. Tra questi, anche il ragazzo siriano, che si chiamava Mohammad Arab, aveva 22 anni ed era scappato 5 anni fa da Aleppo. Alcuni testimoni hanno raccontato che il giovane è rimasto vittima di un colpo d’arma da fuoco – forse un proiettile di gomma – all’altezza del viso. Nel filmato si vede il ragazzo sanguinante a terra e il successivo soccorso, prima con un’imbarcazione e poi su un’ambulanza. Forensic Architecture, dopo aver ottenuto il filmato dall’autore, che si chiama Ali Idris, ha verificato che il video fosse effettivamente stato girato il 2 marzo, alle 8.35 ora locale. Hanno poi dimostrato che è stato girato in un’ansa del fiume Evros fra la città turca di Edirne e quella greca di Kastanies, in territorio turco. È stata infine verificata l’identità del 22enne.

Lesbo, dove l’Europa si  è arresa

A Lesbo la tensione è alle stelle. L’estrema destra vicina ad “Alba dorata”, ma anche semplici cittadini, hanno aggredito addetti delle Ong e reporter. La tensione politico-militare si traduce immediatamente in sofferenze per i più deboli. Se a nord infatti a correre verso i lacrimogeni greci sono soprattutto giovani uomini, qui è invece impressionante il numero delle donne e soprattutto dei bambini., racconta l’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi. “Sono tantissimi. Numerosi gli infanti”, dice Vasilis Davas, vicedirettore del campo profughi di Morìa, posto una decina di chilometri da Mitilene e meglio conosciuto tra i giornalisti e gli operatori delle organizzazioni umanitarie internazionali come «la vergogna a cielo aperto della civile Europa». «Il nostro campo venne costruito nel 2015 per fare fronte alla prima grande ondata migratoria a Lesbo. Originariamente pensato per 2.850 persone, oggi ne ospita oltre 20 mila. Ma in realtà il numero preciso è sconosciuto, visto che tanti bivaccano in tende di fortuna negli uliveti tutto attorno. Valutiamo comunque che i bambini siano almeno il 35 per cento. Abbiamo 879 minori non accompagnati», aggiunge. Alla domanda su cosa capiterebbe se anche qui arrivasse il Coronavirus, la sua risposta non lascia illusioni: «Sarebbe una catastrofe! Tanti piccoli e anziani sono già indeboliti. Stiamo approntando un’area relativamente isolata per le emergenze. Ma è tutto precario».

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“A Lesbo la tensione è altissima, ci sono 20 mila persone in un centro che ha una capacità di meno di 3000 persone – dice Lucio Melandri, responsabile Unicef per la Grecia-. L’accesso al campo è stato bloccato per alcune ore. C’è stato anche il caso di una imbarcazione sulla quale stavano dei migranti alla quale è stato impedito di attraccare la porto di Mitilene. Questo perché  la popolazione residente di Lesbo si sente abbandonata e in questo abbandono alcune frange più violente e radicali prevalgono sulle altre. Se non si gestisce il problema, se non si identifica una soluzione il clima non potrà che deteriorare ulteriormente. D’altra parte lo Stato greco ha preso una posizione molto forte, cioè che nessun ingresso irregolare può essere tollerato…”

“Fino a quando l’Unione continuerà ad anteporre interessi di parte al rispetto dei diritti e alla dignità degli esseri umani, non potrà svolgere con efficacia un ruolo di leader come attore umanitario nel contesto internazionale. Lo spirito alla base dell’idea di Europa unita – già messo in discussione dalla gestione delle politiche migratorie in questi ultimi 5 anni – sta morendo al confine tra Grecia e Turchia. La mera difesa dei confini sta ancora una volta vincendo su ogni spirito di umanitàmentre bambini innocenti continuano a morire in mare, come successo ieri, nell’ennesima tragedia che continua a non smuovere le coscienze dei leader europei, rimarca  Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.” Non esiste alcune giustificazione  – aggiunge – per la decisione di lasciare migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da un conflitto atroce, che in quasi nove anni ha causato centinaia di migliaia di vittime e oltre 5.5 milioni di profughi fuori dalla Siria, intrappolati in una terra di nessuno senza cibo, riparo e cure mediche. La Ue invece di sostenere la politica di respingimento attuata dalla Grecia, dovrebbe ricordarsi dei propri obblighi di difesa dei diritti umani fondamentali, garantendo la sicurezza e la protezione di chi ha perso tutto”. 

In questo momento a preoccupare ulteriormente è l’annuncio del governo greco di non voler accettare nessuna richiesta di asilo per un mese. 

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Questa situazione, ricorda la disastrosa politica che ha portato all’accordo tra Ue e Turchia. – continua Pezzati – Un accordo vergognoso e inaccettabile, che ha trattato centinaia di migliaia di disperati come pedine in un cinico calcolo politico. I loro diritti sono passati in secondo piano, in palese violazione del diritto internazionale e comunitario. Per questo chiediamo con forza che la Grecia e i suoi partner europei collaborino, accogliendo e garantendo un futuro ai profughi siriani al confine greco; chegli Stati membri della Ue lavorino per trasferire quanto prima i bambini e i profughi più vulnerabili dalla Grecia, ridistribuendoli in altri Paesi europei. Una condivisione di responsabilità tra Grecia e Ue che allo stesso tempo deve portare a un immediato miglioramento delle condizioni disumane in cui sono costretti a sopravvivere i migranti intrappolati sulle isole greche. Muovendosi prima possibile per trasferimenti sulla terraferma”.

L’esempio tedesco

Una coalizione di Paesi “volontari” dell’Unione europea prevede di prendersi in carico fino a un massimo di 1.500 bambini migranti attualmente bloccati sulle isole greche, come misura di sostegno “umanitario”. Lo ha annunciato il governo tedesco. “A livello europeo, in questi giorni si stanno svolgendo negoziati su una soluzione umanitaria, con l’obiettivo di organizzare la cura di questi bambini nel quadro di una coalizione di volontari”, ha
sottolineato Berlino in un comunicato stampa, senza specificare quali siano i Paesi coinvolti. “Vogliamo aiutare la Grecia ad affrontare la difficile situazione umanitaria di 1.000-1.500 bambini sulle isole” del Paese, hanno aggiunto i partiti della coalizione di governo della cancelliera Angela Merkel. “Questi – hanno detto – sono bambini che, a causa di una malattia, hanno urgentemente bisogno di cure, o sono bambini non accompagnati di età inferiore ai 14 anni, per lo più femmine”. E l’Italia?

 

 

 

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