Addio a Gianni Mura, campione di giornalismo e di solidarietà
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Addio a Gianni Mura, campione di giornalismo e di solidarietà

La firma storia della stampa sportiva colpito da un infarto. Grande esperto di cucina aveva collaborato con Emergency e con la Caritas Ambrosiana

Gianni Mura
Gianni Mura
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Marco Buttafuoco Modifica articolo

21 Marzo 2020 - 12.55


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E’ morto stamattina, improvvisamente, Gianni Mura. La sua morte, causata da un infarto, non è collegata all’epidemia, ma rende ancora più tristi i giorni che stiamo vivendo.
Nato a Milano nell’ottobre del 1945, aveva cominciato la sua carriera di giornalista sportivo alla Gazzetta dello Sport.

Nel 1976 era passato a Repubblica, quando il giornale non usciva il lunedì e aveva una sola pagina sportiva, dal 1983 era entrato in redazione.
Erede di Gianni Brera, seguì il calcio, il ciclismo (memorabili le sue cronache dal Giro d’Italia e dal Tour de France, nelle quali descriveva sia l’andamento della corsa sia il paesaggio, anche umano che scorreva dai finestrini della sua auto), varie Olimpiadi. Era uno scrittore ironico e molto colto. Scriveva con grande competenza tecnica ma, allo stesso tempo, era una delle poche voci pacate di un mondo, quello del calcio, che vive troppo spesso di grida e atteggiamenti sopra le righe. Aveva misura, senso dell’equilibrio, distacco. La sua rubrica domenicale su Repubblica “ Sette giorni di cattivi pensieri”, uno zibaldone d’invettive, di ricordi, di considerazioni sparse era uno dei primi pezzi che il lettore cercava. Quello che sarebbe dovuto uscire domani parla di un ex giocatore della Juventus degli anni 70/80, oggi opinionista TV, Giandomenico Marocchino, descritto come “uno che sembra appena caduto dal letto, ma era, ed è, sveglio” elogiandone lo spirito ribelle. Marocchino agiva “ …Ignorando tutte o quasi le sacre regole. Il calcio era un gioco, la vita era bella perché c’erano (nell’ordine) le ragazze, le sigarette, il cinema, le mostre d’arte, i vini rossi.”
Già le regole, Mura le detestava, quanto detestava l’arroganza, i toni urlati. Era un feroce antisalutista, faceva campagne contro le campagne antifumo, contro l’alimentazione sana. La vita era per lui anche la libertà di mangiare infischiandosene del colesterolo e dei trigliceridi.

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Celebre come i “Sette giorni” era quindi la sua rubrica fissa sul magazine di Repubblica “Mangia e Bevi”, un tour infinito fra i migliori ristoranti d’Italia, insieme alla moglie Paola. Un piccolo inno settimanale al desiderio e al buon vivere. Amava anche la poesia, tanto da dedicarle una parte de suoi cattivi pensieri settimanali. Sicuramente in gioventù aveva scritto versi e Gianni Brera aveva ironizzato su questa sua passione, invitandolo in rima, in uno dei suoi celebri pezzi sul Guerin Sportivo, a lasciar perdere. Forse temeva che l’amore della poesia potesse sviare Mura dalla sua strada di grande giornalista.
“La parola buonismo è scomparsa, spero per sempre ma non m’illudo, e con forza ricompaiono solidarietà, doveri, responsabilità, unione, sacrifici. E sotto questo ombrello, difesa e coesione, ci stanno tante cose: la maglietta esibita dall’Atalanta a Valencia, dopo una serata stordente per emozioni, e dedicata a Bergamo: mai mollare.” Così aveva scritto sui nostri tempi oscuri del virus.
Non amava il buonismo come atteggiamento, ma amava i bei gesti, i buoni sentimenti (aveva collaborato con Emergency e teneva una rubrica anche su Scarp de Tennis, giornale di strada edito dalla Caritas Ambrosiana).

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Oggi che, sotto i colpi del virus, linguaggi, sentimenti e relazioni rischiano di tracollare come una maionese impazzita, la perdita di una voce tanto libera, leggera e indignata è pesante: come una montagna.

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