Bombarda l’ospedale per il Coronavirus. Asseta Tripoli. Alla faccia degli appelli a fermare la guerra per combattere, tutti assieme, la pandemia virale!. Khalifa Haftar non indossa una mascherina ma calza l’elmetto e ordina ai suoi di continuare ad “assediare Tripoli. “Haftar ha fatto tagliare l’acqua a Tripoli: una città di 3 milioni di abitanti rischia rapidamente di raggiungere livelli insostenibili per la sua popolazione, siamo di fronte a un nuovo gravissimo crimine di guerra”. Il ministro dell’Interno di Tripoli Fathi Bishaga lancia nuove accuse contro il generale Khalifa Haftar, capo della milizia che dal 4 aprile assedia la città. Dopo aver fatto chiudere il 17 gennaio tutti i pozzi di petrolio, il governo di Tripoli lo accusa di aver fatto chiudere anche l’acqua. Bishaga si è appellato alla comunità internazionale perché “contrasti l’ultimo crimine di guerra attuato da Haftar e aiuti la popolazione libica a sopravvivere”.
La guerra continua
L’autoproclamato Esercito libico nazionale (Lna) al servizio dell’uomo forte della Cirenaica, ha annunciato che le sue forze hanno abbattuto ieri due droni di fabbricazione turca usati dalle forze del Governo di accordo nazionale libico (Gna) ad est di Misurata. Queste ultime infatti stanno tentando di avanzare sul fronte aperto ad est di Misurata nella zona di Abu Grein, di al Qadaha, di al Sadada, di al Washka e Wadi Zamzam dove si combatte da ieri mattina in modo intenso con l’uso anche dell’aviazione. L’ufficio stampa dell’Lna sostiene che le proprie forze abbiano conseguito successi sul fronte di Abu Grein. Proseguono quindi gli scontri in Libia nonostante gli appelli internazionali per una tregua che permetta alle autorità di Tripoli e di Bengasi di concentrarsi sulla lotta alla pandemia da Coronavirus.
Al contrario, la diffusione del Coronavirus in Libia sta contribuendo a mettere in luce le divergenze tra il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli, Fayez al Sarraj, e i suoi alleati sulla gestione della crisi e il budget che dovrebbe servire a fermare la pandemia. Secondo quanto riporta il sito informativo libico Al Saa 24″,considerato vicino ad Haftar, e dunque ostile a Sarraj, con l’emergere dei contagi diversi comuni in Libia hanno rivelato di non aver ricevuto alcun sostegno materiale dal bilancio di emergenza annunciato dal Consiglio presidenziale e hanno minacciato di tagliare i loro rapporti con Tripoli. Uno di questi è il consiglio militare di Nalut, città berbera nell’estremo ovest del paese, vicino alla Tunisia, che ha annunciato il ritiro di tutte le sue forze da tutti i punti di confine. La ragione dietro l’annuncio del consiglio militare di Nalut, secondo le fonti di Al Saa 24, risiede nel mancato sostegno fornito dal governo di Tripoli per quanto riguarda la creazione di centri sanitari e centri di isolamento alle frontiere.
Caos armato
Più di due milioni di persone, tra cui 600.000 bambini, che vivono a Tripoli e nelle città circostanti, soffrono di tagli d’acqua da quasi una settimana. L’approvvigionamento idrico, parte del Grande fiume artificiale, è stato interrotto da un gruppo nell’area di Shwerif come tattica di pressione per garantire il rilascio dei membri della famiglia. Tutti gli sforzi di mediazione finora non sembrano aver prodotto una soluzione alla disputa mentre milioni di libici rimangono privati dell’acqua.
La situazione si fa sempre più drammatica.
“L’elettricità è stata tagliata ieri pomeriggio, è tornata per poche ore e da questa mattina non c’è più. Il pompaggio dell’acqua dipende dall’elettricità, i sistemi di filtraggio. Non possiamo rimanere senza elettricità, gli strumenti negli ospedali non funzionano senza corrente”. A raccontarlo a Vanessa Tomassini di Specialelibia.it è Osama al-Wafi, giornalista e portavoce del Sabha Medical Center .
Senza elettricità, non c’è ossigeno. Non c’è acqua corrente per lavarsi le mani spesso come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalle autorità locali che hanno imposto il coprifuoco. Questa è la drammatica realtà.
Osama afferma che a Sabha il black-out è dovuto alla chiusura della pipe line nella centrale elettrica principale. “Noi nel sud della Libia paghiamo il prezzo più alto del conflitto, dipendendo al 100% dalle città costiere anche per le bottiglie d’acqua potabile, nonostante il Great Man Made River estragga l’acqua dal nostro sottosuolo”. Le misure restrittive, per prevenire la diffusione del virus nel Paese nordafricano, stanno inoltre riducendo alla povertà molte famiglie. Entrambi i Governi, nell’est e nell’ovest della Libia, continuano a non prestare attenzione ai bisogni della regione meridionale, se non per campagne mediatiche, ma questo stato di esclusione e marginalizzazione non è più affrontabile e potrebbe costare loro caro nel prossimo futuro.
Il generale anti-virus
“Come la controparte tripolina – rimarca Mattia Giampaolo, analista del Cespi in un documentato rapporto per Ispionline – il generale Haftar ha preso misure restringenti per la popolazione e chiuso porti e aeroporti – non per il rifornimento di armi –, oltre a tutti gli uffici pubblici e privati.
Tuttavia, ciò che più spaventa Haftar, sembra sia l’alto numero di contagi del vicino Egitto soprattutto per i numerosi viaggi che gli emissari dei due paesi hanno svolto nell’ultimo periodo. L’annuncio del portavoce di Haftar, Ahmed al-Mismari, di essersi messo in quarantena volontaria dopo un suo viaggio proprio in Egitto, ha scosso e non poco Bengasi costringendo il governo a formalizzare l’Alto commissariato per la lotta al coronavirus con a capo il Comando generale dell’esercito.”.
“Le misure prese dal regime di Haftar, inoltre – annota sempre l’analista del Cespi – stanno dando un’ottima piattaforma alla macchina della propaganda. Gli account Twitter del suo esercito continuano a mostrare immagini degli uomini della sicurezza controllare i prezzi dei farmaci nelle farmacie o nei check-point nelle strade deserte delle città di Sirte, Sabha e Bengasi. Inoltre, il governo di Bengasi ha inviato due settimane fa aiuti e medicinali nell’ovest del paese. Tale mossa, seppur apparentemente del tutto normale, rappresenta la strategia di soft-power che il generale sta attuando per screditare le misure messe in campo dal governo di Tripoli il quale, dall’inizio dell’emergenza coronavirus, sta ricevendo dure critiche da parte della popolazione per la poca efficienza delle misure prese. Haftar sembra convinto che il momento sia più che mai propizio per un ennesimo attacco a Tripoli per corroderne le basi del potere e che il Gna abbia ormai le ore contate. Tuttavia, nonostante gli atti di forza del generale e le misure restrittive sulla popolazione per fronteggiare l’emergenza coronavirus, l’assenza di fondi per potenziare le misure sanitarie si fa sentire e Haftar in questo caso ne è più che mai consapevole. Tale necessità ha portato il parlamento di Tobruk a chiedere, tramite il suo più alto rappresentante, Aqila Saleh, alla Banca Centrale Libica – sotto il controllo del governo di Tripoli – finanziamenti per l’approntamento di centri per la quarantena. Un eventuale contagio di massa della Cirenaica o del Fezzan – le zone sotto il controllo del generale – potrebbero avere ricadute anche sul potere di Haftar soprattutto se la Banca centrale libica non concedesse a Bengasi – difficile – i fondi necessari per il rafforzamento sanitario”.
L’unica certezza in Libia è di non essere assolutamente equipaggiata per curare eventuali contagiati dal Coronavirus. Strutture sanitarie distrutte, dispositivi e attrezzature mediche inesistenti, risorse economiche scarse, caos politico, migliaia di rifugiati e sfollati interni ammassati, migranti tenuti in condizioni critiche in prigioni e centri di detenzione: in questo quadro la pandemia non potrà essere affrontata. E a pagare il prezzo più alto sono i più indifesi tra gli indifesi: i migranti. A poco sembra servire la campagna per sterilizzare i centri di detenzione a Tripoli. “Abbiamo paura di questa malattia – ha raccontato a Il Manifesto un eritreo – Se arriverà, sarà molto pericoloso. Viviamo in una casa dove tra le sei e le otto persone dormono in una stanza perché l’affitto è alto”.
Nei centri di detenzione le torture a scopo estorsivo continuano, le vessazioni continuano, ma fuori è peggio. E se a questi disperati chiedi se li spaventa il Coronavirus, per tutti vale la risposta di un ragazzo di 28 anni, arrivato in Libia dal Darfur e ora nel centro di detenzione di Zawiya: “Sono prigioniero in Libia, non mi spaventa più niente”.
L’allarme di un’imminente catastrofe umanitaria è forte. Per questo, la partenza disperata via mare non verrà bloccata dalla paura del virus in Europa. E gli sbarchi dei migranti continueranno, nonostante la chiusura dei porti decisa dall’Italia, seguita a ruota da Malta.
Una misura che ha scatenato la rivolta delle Ong e le critiche delle agenzie internazionali per i diritti umani. “Quello che stiamo dicendo – afferma in una intervista a euronews l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi – è che dobbiamo stare attenti perché chiudere le frontiere e impedire lo sbarco va contro i principi fondamentali di chi ha bisogno di quella protezione. Fuggono dalla guerra e dalle persecuzioni, cose che purtroppo non si fermano durante la pandemia. Stiamo dicendo ai governi che ci sono modi per preservare la pratica dell’asilo anche in queste circostanze e gli abbiamo fornito molti consigli tecnici su come farlo: attraverso sistemi di quarantena, attraverso colloqui virtuali con le persone, in questo modo è possibile farlo. Ma ancora più importante è che tutto questo sia temporaneo, che queste misure siano attuate per la durata della crisi. Una volta che la crisi sarà finita dovremo tornare alle normali pratiche di protezione dei rifugiati, perché se queste misure continueranno ad essere adottate anche dopo la crisi, allora avremo una situazione umanitaria molto seria”.
Consigli che dalle parti di Palazzo Chigi, come alla Farnesina o al Viminale, farebbero bene ad ascoltare.
Argomenti: covid-19