Mediterraneo, il "ricatto dei barconi" e la strage di innocenti
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Mediterraneo, il "ricatto dei barconi" e la strage di innocenti

Haftar, Serraj e i tanti capi e sottocapi: è il ricatto dei signori della guerra libici  all’Italia: dateci soldi, tanti, e armi, altrimenti vi inondiamo di barconi

Migranti dalla Libia
Migranti dalla Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Aprile 2020 - 14.49


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Il “ricatto dei barconi” è ricominciato. Un ricatto che mette in conto la morte di centinaia di “disperati della terra”: i migranti. E’ il ricatto dei signori della guerra libici  all’Italia: dateci soldi, tanti, e armi, altrimenti vi inondiamo di barcon. E a fermarli non sarà certo il decreto “porti chiusi” emanato dal governo italiano come parte, sbagliata, del contrasto al Covid-19.  “Dobbiamo fronteggiare gli attacchi di Haftar e non abbiamo equipaggiamento e risorse sufficienti anche per il controllo delle acque”, spiega a l’Avvenire una fonte militare da Tripoli, lasciando intendere che serve altro denaro fresco per fermare le partenze, proprio mentre la nave Alan Kurdi si sta avvicinando alle acque territoriali italiane nessuno più può fermare né salvare i naufraghi. Perché l’Europa ha deciso di svuotare il Mediterraneo dalle navi “salva vite” delle Ong, rendendosi complice della strage di innocenti che ha nel Mediterraneo il “mare della morte”.

Strage di innocenti

“Quattro barche sono alla deriva nel Mediterraneo Centrale, due nell’area Sar maltese – ha confermato Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo -. Gli imperativi umanitari devono prevalere mentre si proteggono le comunità ospitanti”. Ieri, nell’omelia della messa della Resurrezione Papa Francesco ha pregato perché Cristo “riscaldi il cuore delle tante persone rifugiate e sfollate, a causa di guerre, siccità e carestia” donando “protezione ai tanti migranti e rifugiati, molti dei quali sono bambini, che vivono in condizioni insopportabili, specialmente in Libia e al confine tra Grecia e Turchia”.

Un appello che per l’ong tedesca Sea Watch non viene ascoltato: “250 persone erano alla deriva” da sabato su quattro gommoni che avevano a bordo un numero variabile tra 47 e 85 persone e una di queste imbarcazioni si è capovolta, ha denunciato l’Ong. “Lasciati morire soli nel giorno di Pasqua da un’Europa che parla a vuoto di solidarietà verso le persone che soffrono”, ha commentato Sea Watch ricordando che la situazione era già stata segnalata da Alarm Phone e che aveva chiesto l’intervento del Commissario europeo per i diritti umani “per chiarire che i diritti delle persone salvate in mare devono essere garantiti a prescindere da quale sia la nave che li soccorre”.

Ricatto mortale

La “guerra dei barconi” con il ricatto all’Italia, è condotta da coloro che si contendono il territorio, prim’ancora che il potere centrale, in Libia: l’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar e il primo ministro del Governo di accordo nazionale (GNA) Fayez al-Sarraj. Loro, ma non solo. Perché nella “guerra dei barconi” sono attivi anche altri soggetti in armi: milizie, tribù, bande criminali, jihadisti, spesso in affari con i trafficanti di esseri umani. Haftar si propone, con la forza e i ricatti, come “Garante” di un piano “partenze zero”. Haftar , spiegano analisti e diplomatici profondi conoscitori della realtà libica, è in grado di garantire un parziale controllo su quei territori attraverso l’alleanza con le tribù Tebu sempre pronte a proporsi, a seconda del momento, come controllori dei confini o di collaboratori dei trafficanti. Il generale punta a ottenere l’aiuto dell’Italia e dell’Europa per addestrare i Tebu, trasformarli nei guardiani delle frontiere e ridimensionare le tribù Tuareg nemiche sia dei Tebu che del generale in virtù dei loro solidi legami con i gruppi jihadisti. Ma tutto questo costa. E tanto. Venti miliardi di dollari per addestrare le sue forze e controllare i 4.000 chilometri di confine sud della Libia.

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L’Italia è nel mirino. D’altro canto, per contrastare gli scafisti e affrontare la “guerra dei barconi” scatenata da milizie vicine ai due contendenti libici, al-Sarraj e Haftar, occorrerebbe implementare un blocco navale, dentro o fuori le acque costiere libiche.

Ebbene, per implementare il blocco navale – rileva un report del GeopoliticalCenter – dovrebbero  essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni di comando e capacità di appoggio aereo per la quale immaginiamo la portaerei Cavour, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti.

Se si vuole stabilizzare per davvero la Libia, dice a Globalist il generale Fabio Mini, ex comandante Nato, ora brillante saggista, servirebbero ”come minino 50 mila uomini per controllare il territorio, fermare le auto, sorvegliare gli spostamenti, schedare le persone”. E occorrerebbe mettere in conto almeno 50 morti a settimana.

Gli fa il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace “Libano 2” e delle Forze Terrestri Alleate del Sud Europa. “Voler considerare la Libia di oggi come se si trattasse di una nazione organizzata su principi di carattere politico e strategico tradizionali, è una bestemmia – annota Angioni -. L’attuale confusione esistente in quest’area nordafricana a noi particolarmente conosciuta non consente di esprimere sulla Libia di oggi qualsiasi considerazione logica e avveduta. A regnare oggi in Libia è il caos, un caos armato, è la confusione, l’illecito, la malvagità, gli interessi più abietti che possono essere presi in considerazione in una comunità umana. La tragedia della Libia coinvolge esseri umani che con la Libia non hanno nulla a che fare e che anzi sarebbero ben felici di non essere in quel territorio, in quell’inferno.  Purtroppo per l’umanità, la Libia è la meta di decine di migliaia di persone dell’Africa disperate al punto di essere disposte a correre il rischio di essere uccise pur di avvicinarsi all’Europa. La Libia – rimarca il generale Angioni – è oggi una ‘palestra’ di arroganza nella quale agiscono attori esterni che conducono una guerra per procura. Pensare di poter affrontare questa situazione con qualche nave è una sciocchezza, una pericolosa sciocchezza. Sarebbe auspicabile che un organismo sovranazionale, come l’Onu ad esempio, imponesse con decisione la propria presenza non tanto per risolvere la drammatica situazione che segna la Libia ma almeno per ridurre il numero delle vittime”.

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Libia, vergogna senza fine.

Non bastavano i tagliagole e i mercenari reclutati dalle due parti in guerra e dai loro sponsor esterni. Nel caos libico, s’inserisce ora un’altra pagina inquietante, vergognosa: o combatti, o ti ammazziamo. Il ricatto ai migranti. Le parti impegnate nel conflitto in Libia  stanno usando i migranti come combattenti. Lo denuncia l’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati. ”Abbiamo le prove, da parte di persone che si trovano nei centri di detenzione, che è stata offerta loro la proposta di restare lì per un periodo indefinito oppure di combattere al fronte”, ha detto alla Dpa il rappresentante speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel.  Al momento, Cochetel dice di non essere in grado di dire quanti migranti abbiamo accettato l’offerta. ”Se decidono di farlo, viene data loro una uniforme, un fucile e vengono immediatamente portati nel mezzo della guerriglia urbana”, ha aggiunto. ”Abbiamo visto che questi tentativi di reclutamento” dei migranti ”riguardano prevalentemente i sudanesi – ha proseguito Cochetel – Riteniamo questa scelta motivata dal fatto che parlano arabo. Entrambe le parti” in conflitto in Libia sono coinvolte”, ovvero le milizie fedeli al governo del premier libico Fayez al-Sarraj e all’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar.

Il mercato degli schiavi

 A denunciarlo è l’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar. Una fonte del Comando Generale di Rajma, fuori Bengasi, ha rivelato all’emittente televisiva al Arabiya l’esistenza di un vero e proprio mercato dove si vendono migranti come se fossero merce nel villaggio di Adiri, nel distretto di Wadi al Shatii, a nord di Sebha. Secondo questa fonte, nel villaggio del sud della Libia i trafficanti di esseri umani si vendono i gruppi di migranti come se fossero in un mercato essendo quella una tappa del lungo viaggio dei migranti che attraversano il Sahara diretti verso le coste della Tripolitania. I migranti vengono venduti in cambio di centinaia o di migliaia di dollari. Lo ha scoperto di recente l’apparato di intelligence dell’Lna che ha trovato questo mercato in uno dei punti di transito principali del flusso di migranti. L’indagine è partita  dal confine meridionale della Libia dove operano le bande di trafficanti di esseri umani che fanno capo alle tribù Tebu, i quali ricevono questi migranti dal vicino Niger a bordo di furgone. Ogni migrante una volta arrivato al confine tra Niger e Libia deve pagare 500 euro per poter entrare in territorio libico. I migranti poi, una volta arrivati nella città di Sebha, vengono ammassati nella sede della vecchia compagnia indiana e consegnati ad un’altra banda che fa capo alla tribù dei al Muqaraha la quale ha il compito di dividere i migranti mettendoli in diverse caserme e depositi. Dopo qualche giorno i migranti vengono di nuovo radunati in una piazza che si trova a circa 6 chilometri dal centro di Adiri. In quel posto si trova il mercato nel quale i migranti vengono venduti a dei mediatori libici i quali li selezionano: i più forti vengono usati come mercenari per i combattimenti in corso, chi invece non è in grado prosegue il viaggio verso l’Europa. Alcuni migranti vengono presi al prezzo di 2 mila dollari e portati a Bani Walid per poi essere distribuiti a due gruppi: una parte viene presa dalle bande di Misurata e un’altra da quelle di Zuwara. Queste due bande hanno il compito di portarli sulla costa per poi farli partire sui barconi verso l’Europa.

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“In Libia ci sono ancora uomini, donne e bambini che rischiano la vita ogni giorno – rimarca Riccardo Gatti, presidente di Open Arms – . In Libia il Coronavirus non è l’unico problema, la loro vita è violata. Tutti i giorni”. Ma questo popolo invisibile fa notizia solo quando produce allarme, quando viene vissuto come una minaccia, con un governo che insegue la destra sul terreno ad essa più congeniale: la demonizzazione dei migranti. Con l’aggravante che ora  si usa la pandemia per giustificare l’ingiustificabile: la mattanza dei dannati della terra. E del mare.

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