Migranti, morti di stenti e di disperazione: la "Norimberga del Mediterraneo"
Top

Migranti, morti di stenti e di disperazione: la "Norimberga del Mediterraneo"

Una riflessione sul “decreto criminale” e le promesse non mantenute: il dramma dei disperati dell’Alan Kurdi e dei naufraghi del Mediterraneo.

Migranti
Migranti
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Aprile 2020 - 15.18


ATF

Il “decreto criminale” e le promesse non mantenute: il dramma dei disperati dell’Alan Kurdi e dei naufraghi del Mediterraneo.  Dopo undici giorni in mare con 149 persone a bordo, si aggravano le condizioni dei migranti sulla Alan Kurdi, la nave della ong Sea Eye ferma davanti alle coste siciliane in attesa che le autorità italiane individuino una nave dove far trascorrere la quarantena ai migranti soccorsi. Tre persone sono state evacuate nella notte, mentre a bordo si registra un caso di tentato suicidio da parte di un ospite. “Abbiamo bisogno di un porto sicuro, l’inattività dei Paesi europei sta diventando sempre più pericolosa”, denuncia la ong tedesca.

Jan Ribbeck, capo missione della Alan Kurdi, si è detto preoccupato perché “gruppi di diverse nazionalità stanno facendo degli atti di autolesionismo”. Oggi si è appreso che all’alba di ieri un ragazzo di 24 anni ha tentato il suicidio a bordo della nave. Come riferiscono i responsabili, il medico intervenuto per prestare assistenza al giovane ha constatato “il grave stato di ansia” in cui il paziente versava, causato “delle esperienze di violenza subite nel centro di detenzione in Libia e per via di rapporti conflittuali con altri naufraghi”.

Nella relazione trasmessa alla Guardia costiera italiana, la dottoressa Caterina Ciufegni, medico della nave,  ha dichiarato: “La disperazione dell’uomo era diventata così insopportabile che non vedeva altra via d’uscita se non il suicidio”. Pertanto il ragazzo “è un pericolo per se stesso e per gli altri e la situazione peggiorerà'”. I responsabili della Alan Kurdi denunciano che a bordo frustrazione e nervosismo hanno raggiunto un livello elevato. Un altro giovane “è così stressato che da giorni ricorre all’autolesionismo”. Pertanto il capitano Barbel Beuse ha invocato il trasbordo almeno dei naufraghi in condizioni sanitarie difficili e nel pomeriggio di ieri la Guardia costiera italiana è intervenuta “prontamente” dopo che la richiesta ha raggiunto il Comando generale della capitaneria di porto a Roma. Ma lo stato di forte stress psico-fisico non riguarda un solo ospite della nave.

Crimini contro l’umanità

Un altro ragazzo, riferiscono dalla Alan Kurdi, “da giorni ricorre all’autolesionismo“. Alcuni naufraghi, inoltre, hanno manifestato la volontà di gettarsi in acqua per tentare di raggiungere a nuoto le imbarcazioni italiane, nella speranza di guadagnare la terraferma. Fanpage.it ha contattato gli attivisti per verificare le condizioni a bordo: “Siamo in una condizione di estremo sovraffollamento 149 persone salvate più 17 membri dell’equipaggio, e soltanto due servizi igienici e una doccia. Fino ad ora nessuna delle persone salvate in mare ha manifestato alcun sintomo riconducibile al coronavirus, e neppure i membri dell’equipaggio. D’altra parte il nostro medico ha registrato evidenti segni di torture e maltrattamenti che alcuni migranti hanno dovuto subire in Libia. E la tensione aumenta di ora in ora, così come la pressione psicologica. I migranti mostrano segni di insofferenza, sono sempre più frustrati e disperati, non capiscono perché devono attendere così a lungo per una soluzione”.

Leggi anche:  Immigrazione, integrazione e diritti umani: 25 anni di sfide e prospettive tra Italia ed Europa

Il capo Dipartimento delle Libertà Civili ed Immigrazione del ministero dell’Interno, Michele Di Bari, è stato nominato soggetto attuatore per quanto riguarda la gestione dei migranti in arrivo. L’obiettivo, vigente il blocco dei porti per l’emergenza Coronavirus, come da decreto firmato di ministri De MicheliLamorgeseDi Maio e Speranza, è sistemare i restanti 146 naufraghi su una nave per il periodo di sorveglianza sanitaria. Si sta dunque cercando un’imbarcazione con le caratteristiche adatte. E intanto, c’è gente che tenta il suicidio.

Morti in mare

“Possiamo ora confermare che la barca respinta in Libia è la stessa che davamo per dispersa con 55 persone: 12 persone sono morte di sete o annegate perché Malta ha rifiutato di soccorrere. I sopravvissuti sono stati riportati alla guerra, le torture e gli stupri della Libia”: così Alarm Phone, la piattaforma telefonica che si occupa di fornire assistenza ai migranti nel Mediterraneo, ha annunciato che le 55 persone di cui non si avevano più notizie da giorni sono state intercettate e ricondotte in Libia, un Paese nel pieno di un conflitto civile e in cui sono stati ampiamente testimoniati abusi, violenze, e tortura. In realtà, non tutti i 55 migranti a bordo del barcone sono tornati in Libia: 12 di loro, a quanto riporta sempre Alarm Phone, sarebbero morti tentando di fuggire a nuoto, di fame o sete.

La notizia dello sbarco a Tripoli era stata confermata ieri dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) attiva in Libia: “I migranti sono stati soccorsi da una nave commerciale nella zona Sar (ricerca e soccorso) maltese, e consegnati alla guardia costiera libica. Ribadiamo che i naufraghi soccorsi in mare non dovrebbero essere respinti a porti non sicuri. Un’alternativa allo sbarco in Libia deve essere trovata urgentemente”, aveva sottolineato Oim.  Stando a quanto denunciato dalla stessa Oim Libia, “i migranti sono stati soccorsi da una nave commerciale nella zona Sar di Malta e consegnati alla Guardia costiera libica”. Se così fosse, si tratterebbe di un “respingimento» vietato dalle norme internazionali, che vedrebbe ancora una volta coinvolta Malta, già in passato accusata di avere riconsegnato ai libici barche di migranti giunti nella loro zona Sar, l’area di ricerca e soccorso di loro competenza. “Nessuno può essere riportato in Libia da acque internazionali”, ha sottolineato in un tweet Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per il Sud Europa.. L’addetto stampa in Libia dell’Unhcr, Tarik Argaz, dal porto di Tripoli ha fatto sapere che le operazioni di sbarco sono avvenute, dopo 12 ore di attesa, solo nel primo pomeriggio di oggi. L’organizzazione umanitaria internazionale aveva nel frattempo fornito viveri e coperte.

Leggi anche:  Rilanciare la cooperazione internazionale si deve, si può

Da giorni le organizzazioni umanitarie che salvano vite nel Mediterraneo lanciavano l’allarme: “Dove sono le 55 persone disperse? Stanotte il cargo battente bandiera portoghese Ivan aveva ricevuto l’ordine di soccorrere una barca ma ha proseguito verso nord. Malta non ha soccorso, mandando solo un assetto aereo. Il meteo è terribile e la nostra speranza che siano vivi sta diminuendo…  nostri compagni sono morti di fame e di sete, questo è successo, scriveva Alarm Phone pochi giorni fa.

Morti di stenti e disperazione per colpa di un’Europa che ha scelto di non salvarli. Alcuni si sono buttati in acqua. Dodici delle 55 persone respinte in #Libia dopo 6 giorni in mare non ci sono più. È la fine che fanno le vite di serie B ai tempi di #Covid”. Lo scrive, in un tweet, Sea Watch Italy.

Questa mattina una fonte di alto livello della diplomazia maltese aveva assicurato che “non ci sono migranti né dispersi in mare”, negando però di sapere dove fossero i 55 che ancora mancavano all’appello. Una menzogna che sta suscitando irritazione negli organismi internazionali che da giorni chiedevano notizie certe senza mai avere risposta. “Sarebbe il gruppo di persone in mare da giorni?”, domanda Carlotta Sami, portavoce di Unhcr-Acnur. “Ritardi nei soccorsi inaccettabili – aggiunge -. Nessuno può essere riportato in Libia da acque internazionali”. Secondo l’Oim i migranti sono stati salvati da una nave non meglio precisata “nave commerciale nella zona di ricerca e salvataggio maltese e consegnati alla guardia costiera libica”.

Un respingimento in violazione delle norme internazionali che vietano di riportare in Libia profughi e richiedenti asilo “Ribadiamo che le persone soccorse in mare – aggiunge l’agenzia Onu per le migrazioni – non devono essere restituite ai porti non sicuri. Un’alternativa allo sbarco in Libia deveessere trovato urgentemente”.

Leggi anche:  Il Consiglio d'Europa boccia i centri di rimpatrio: migranti maltrattati e sedati con psicofarmaci

“Da venerdì sera – come scrive su Repubblica Sara Cretas, tra le giornaliste più informate delle vicende libiche e dell’emergenza migranti – Alarm Phone, aveva ricevuto diverse richieste d’aiuto dal Mediterraneo e comunicato con i centri di coordinamento per i soccorsi in mare di Roma e La Valletta. Anche i velivoli di Frontex in pattugliamento nel Mediterraneo erano al corrente della situazione. Nella serata di lunedì, Malta – che stava coordinando l’operazione – aveva inoltrato un Navtex a tutte le navi nel Canale di Sicilia, con richiesta di intervento, precisando di provvedere ad un porto di sbarco. Numerose le telefonate dal mare: “aiutateci, stiamo morendo”. Un cargo portoghese partito dalla Libia e diretto a Genova era stato dirottato, senza riuscire a portarli in salvo. Qualche ora più tardi, una nave da pesca ha recuperato i naufraghi per riportarli alla base navale di Abu Sitta a Tripoli. Il peschereccio, conosciuto con il nome di “Maria Christiana”, è stato utilizzato anche in passato per effettuare soccorsi al largo. Dopo lo sbarco, il gruppo di superstiti è stato trasferito al centro di Tarik Al Sikka – regolarmente visitato dalle nazioni unite, ma le richieste d’aiuto continuano: “non abbiamo nemmeno il sapone per lavarci e vestiti puliti, siamo stremati”.

Negli ultimi mesi, i migranti nei centri di detenzione di Tripoli sono diminuiti, sarebbero meno di 1500, secondo una fonte del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale in Libia, “è difficile gestirli, manca il cibo. Li tratteniamo per alcuni giorni dopo lo sbarco, poi a volte li facciamo uscire. Ora con il Coronavirus siamo preoccupati. Molti centri dovrebbero essere disinfettati continuamente, altri sono vicini ai combattimenti come Abu Salim, dove ci sono 45 persone”, conclude. Mohammed al-Shibani, sottosegretario del Governo di accordo nazionale (Gna) – guidato da Fayez al-Sarraj, l’unico riconosciuto internazionalmente –  al ministero degli interni ribadisce “tutti sono in pericolo. Rifugiati e libici”.

Ma all’Italia e all’Europa questo non sembra interessare. L’importante è chiudere i porti e svuotare il Mediterraneo dalle navi delle ong. Testimoni scomodi di crimini contro l’umanità.

Native

Articoli correlati