Giggino e “Giuseppi” possono mettersi il cuore in pace. Il primo, si e ci risparmierà di recitare, e noi di decifrare, compitini ripetitivi, di un politically correct che sprofonda nella banalità assoluta. Il secondo, più colto, potrà evitare di esibire amicizie internazionali di alto bordo che, al momento della verifica dei fatti, evaporano sistematicamente. Nella partita libica, l’Italia è ormai relegata ai margini.
Game over
Mettiamola così: se vince Fayez al-Sarraj, a capo del Governo di accordo nazionale (Gna), a trarne vantaggio, soprattutto nella spartizione della ricchezza petrolifera libica, saranno i Paesi che lo hanno sostenuto sul campo (di battaglia), a cominciare dalla Turchia di Erdogan. Se, cosa al momento alquanto improbabile, a prevalere dovesse essere l’uomo forte , ma ora non più tanto, della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar, a battere cassa saranno i suoi sponsor interni, in primis l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Poi, ovviamente, al tavolo della spartizione, se non territoriale di certo dei pozzi petroliferi, in una “Yalta libica” a capotavola siederà colui che comunque vadano a finire le cose, sarà “win win”: Vladimir Putin. Gli Stati Uniti saranno della partita, ma senza particolari interessi da parte di Trump, e a cercare un posto in prima fila sarà la Francia di Macron, sempre più attiva nel Mediterraneo. Conte sarà invitato, forse si trascinerà appresso il suo imbarazzante ministro degli Esteri, ma non andrà più in là di una photo opportunity.
Patto di ferro
A Tripoli, al di là dell’eroico attivismo del “bersagliato” (e non in senso metaforico), ambasciatore Buccino Grimaldi , la popolarità del nostro Governo rasenta lo zero. Non date retta alle dichiarazioni ufficiali, che pure non trasudano di riconoscenza. Fuori dall’ufficialità, come ha potuto constatare Globalist, chi conta davvero nel fronte pro-Sarraj, quando deve parlare dell’Italia, oscilla tra delusione e irritazione: i termini più usati, vanno da “inaffidabili” a “doppogiochisti”. E, in una sorta di quadratura del cerchio in negativo, lo stesso atteggiamento, non certo benevolo verso Roma, lo si riscontra a Bengasi, tra i fedelissimi di Haftar.
Quanto a Sarraj, ha smesso di volare a Roma, con o senza mascherina. Certo, i collegamenti con Conte, via Buccino, rimangono, ma il premier libico sa che il suo destino è legato indissolubilmente alla determinazione con cui il Sultano di Ankara continuerà a sostenerlo militarmente. E se Erdogan chiama a rapporto, Sarraj risponde: presente.
Il presidente del Gna ha discusso con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, i passaggi esecutivi dei memorandum d’intesa firmati tra le due parti il 27 novembre 2019, e le relazioni bilaterali tra i due Paesi. In una conversazione telefonica di domenica sera, Erdogan ed al-Sarraj hanno affrontato gli ultimi sviluppi in Libia, le ripercussioni della guerra a Tripoli e una serie di fascicoli di cooperazione e questioni di interesse comune.
L’ufficio stampa del presidente del Consiglio libico, ha rivelato che al-Sarraj ed Erdogan hanno esaminato gli sforzi compiuti da entrambi i Paesi per affrontare la pandemia di Coronavirus, e i passi da intraprendere per realizzare i due memorandum d’intesa firmati in novembre 2019, sulla sicurezza e la cooperazione militare, e controllo esclusivo del Mediterraneo orientale.
Secondo l’ufficio stampa, al termine della chiamata al-Serraj ha accettato l’invito di Erdogan a visitare la Turchia. ringraziando e riservandosi di fissare la data del suo viaggio in un secondo momento.
Muzaffer Aksoy, presidente del Consiglio economico turco-libico, ha precedentemente rivelato in una intervista alla Reuters che Sarraj si sarebbe impegnato, in cambio del sostegno militare turco, a risarcire i danni economici subiti da Ankara in Libia con l’inizio del conflitto del 2011.
Ciò prevede una lettera di garanzia da 1 miliardo e 500 milioni di dollari per i danni a macchinari e attrezzature e debiti non pagati di 1,2 miliardi. Con gli attuali progetti in Libia sospesi a causa dei combattimenti, l’arretrato di lavori turchi in Libia ammonta a 16 miliardi di dollari, compresi 400-500 milioni per progetti che non sono ancora iniziati, ha aggiunto Aksoy.
Nonostante l’interruzione, il commercio libico-turco rimane sostenuto, con le esportazioni turche che raggiungono i 2 miliardi all’anno e le importazioni a 350 milioni. Gli accordi tra Tripoli ed Ankara consentiranno inoltre ad Erdogan di avviare trivellazioni nel Mediterraneo orientale, anche a danno di Paesi terzi, compresi Egitto, Cipro, Grecia, Italia e Francia.
L’Unione europea ha rigettato tali Memorandum poiché in violazione del diritto internazionale.
Tripoli avanza
Sul campo, le forze fedeli al Governo di Sarraj hanno conquistato la base di Al Watiya, il principale hub di Haftar per le operazioni in Tripolitania, circa 130 km a sud-ovest di Tripoli La base – come annota con la consueta precisione Pietro Batacchi, direttore di Rif (Rivista italiana difesa) – era sotto assedio da settimane e negli ultimi 2 giorni strike aerei, presumibilmente condotti da Uav turchi Bayraktar Tb2, avevano portato alla distruzione di 2 sistemi antiaerei a corto medio raggio Pantasir forniti dagli Eau alle forze di Haftar e posti a difesa della base. Nell’operazione sono stati catturati alcuni lanciarazzi, importanti quantitativi di munizionamento, qualche carro armato ed almeno un lanciatore Panasir. La caduta di Al Watiya – rimarca il direttore di Rif – è un grave smacco per il Generale, la cui posizione in Tripolitania, e di conseguenza a sud di Tripoli, si indebolisce ancora. In pratica, Haftar non solo ha fallito nel suo obbiettivo di prendere Tripoli, ma rischia di vedere compromesso tutto il suo dispositivo militare nell’ovest del Paese e, dunque, di dover “accorciare” le proprie linee logistiche. “Il generale Osama al-Juwaili, capo della Sala operazioni congiunte: le nostre forze eroiche hanno preso il controllo della base aerea di Al Watiya”, è scritto sull’account Facebook dell’Operazione “Vulcano di rabbia” delle forze che difendono il governo del premier al-Sarraj dall’attacco del generale.
Al Watiya è una enorme installazione creata ai tempi di Gheddafi, capace di ospitare i caccia Mirage venduti al colonnello dalla Francia e i Mig che arrivavano dai paesi dell’Est. Dall’aprile del 2019 Al Watiya è stata utilizzata dagli aerei del generale Haftar per attaccare Tripoli e tutte le strade lungo le quali si muovevano le colonne militari del Gna. Una pericolosa spina nel fianco di Tripoli, dalla quale il governo Sarraj è riuscito a liberarsi soltanto con l’aiuto della Turchia, con i suoi droni e le sue apparecchiature di difesa aerea.
Al-Sarraj ha descritto la vittoria come “la liberazione da bande criminali” ma ha avvertito che «la vittoria odierna non segna la fine della battaglia, ci porta soltanto più vicino al giorno della liberazione di tutte le città, e di tutte le regioni e all’eliminazione del progetto di dominazione e tirannia” di Haftar.
I caccia di Tripoli hanno anche distrutto a 6 chilometri a sud della base, lungo la strada “al-Rawagha”, un sistema difensivo aereo Bentsir di fabbricazione russa, e apparecchiature per il disturbo delle trasmissioni e delle intercettazioni, materiale anche questo diretto agli uomini di Haftar.
I recenti successi di Sarraj ad ovest di Tripoli – rimarca in proposito il direttore di Rif – sono dovuti principalmente al supporto turco in termini di consiglieri ed inquadramento, Uav, e di miliziani del Free Syrian Army fatti affluire dal settore siriano di Idlib. Il numero di questi ultimi, ad oggi, ha raggiunto le 9.000 unità, ai quali si aggiungono i consiglieri militari, turchi, diverse centinaia, che ormai da settimane sono stati integrati ai livelli più alti, e operativi, nella catena di comando militare di Sarraj.
L’appoggio turco ha decisamente cambiato i rapporti di forza. Gli Emirati, il principale alleato di Haftar, hanno a loro volta inviato con un gigantesco ponte aereo materiale militare e mercenari, in barba pure loro all’embargo decretato dall’Onu, ma non sono stati sufficienti. Le milizie fedeli ad Haftar sono state decimate dai droni. Il maresciallo ha chiesto sistemi anti-aerei, in particolare i russi Pantsir S-1, che si sono dimostrati efficaci ma in numero insufficiente. Uno è stato catturato nella base di Al Watiya e mostrato come trofeo sui social dai miliziani. Nelle loro mani è caduto anche un elicottero d’assalto Mi-35, blindati e altre armi.
Haftar peraltro, pur continuando a bombardare Tripoli con razzi, è sotto assedio anche nel suo quartier generale avanzato di Tarhuna a est di Tripoli e vede attaccate le proprie linee di rifornimento molto allungate perché in partenza dalla Cirenaica, la parte est della Libia. La perdita di Al Watiya, sommata a quella della cittadina di Sabrata un mese fa, porta quasi a zero le possibilità per Haftar di poter lanciare un nuovo assalto alla capitale, anche perché le forze di al-Sarraj, grazie al sostegno turco, possono adesso spostare uomini e mezzi sul fronte cittadino e rafforzarlo.
Molti analisti militari in queste ore rilanciano l’idea che Al Watiya possa diventare una base d’appoggio o di rischieramento per i caccia F16 turchi; la Turchia da novembre ha firmato un accordo militare con la Libia e di fatto ha permesso al governo Sarraj di sopravvivere. Se Ankara riuscisse a schierare aerei da caccia in Tripolitania, le sorti della guerra cambierebbero, con conseguenze politiche (una spartizione del Paese?) che sono ancora imprevedibili.
Droni, miliziani, consiglieri militari. Così Erdogan si appresta a conquistare la Libia. Resta da vedere quale sarà la reazione del suo competitor regionale, l’altrettanto ambizioso presidente-generale di Egitto, Abdel Fattah al-Sisi, e dei suoi agguerriti alleati emiratini. Cercheranno un accordo con il Sultano o rafforzeranno ulteriormente il loro sostegno militare ad Haftar, facendo della Libia il teatro di una guerra totale nel Mediterraneo? Gli scenari sono diversi, ma da tutti resta esclusa l’Italia. Per noi, davvero, game over.