L’impatto della pandemia da coronavirus in Yemen rischia nelle prossime settimane e mesi di portare il Paese letteralmente sull’orlo del collasso. Potenzialmente devastante l’impatto sanitario: si contano già quasi 400 casi e oltre 80 vittime ad oggi, con il contagio che ufficialmente ha già raggiunto 10 governatorati su 22, ma potrebbe essersi già esteso a quasi tutto il Paese e aumentare esponenzialmente nelle prossime settimane.
L’allarme arriva da Oxfam, che denuncia la quasi totale mancanza di test e strumenti di prevenzione non solo tra la popolazione, ma anche nelle poche strutture sanitarie in funzione: medici e infermieri in prima linea non hanno mascherine, guanti, ossigeno per le terapie intensive, la metà degli ospedali è stata distrutta da 5 anni e mezzo di guerra, le poche strutture in funzione sono già sature e in diversi casi pazienti con febbre alta e crisi respiratoria non possono essere curati.
Altrettanto grave l’impatto su un’economia già in ginocchio: le rimesse dei rifugiati yemeniti dall’estero sono crollate dell′80% in almeno 6 aree dello Yemen, da gennaio ad aprile, per effetto del lockdown in molti Paesi. Rimesse da cui dipende la sopravvivenza di 1 yemenita su 10 e che nel 2019 ammontavano a 3,8 miliardi di dollari, pari al 13% del Pil, denuncia l’Oxfam all’indomani della Conferenza internazionale sulla crisi, che ha visto ancora una volta i Paesi donatori girarsi dall’altra parte.
L’appello delle Nazioni Unite per la risposta umanitaria per il 2020 infatti ad oggi è finanziato solo per poco più di un terzo di quanto necessario a scongiurare un vero e proprio disastro umanitario. Dal summit di ieri è infatti uscito un impegno per appena 1,3 miliardi di dollari in aiuti sui 3,4 necessari a salvare centinaia di migliaia di vite nei prossimi mesi. Le Nazioni unite alla vigilia si aspettavano di arrivare quantomeno a 2,4 miliardi di dollari in aiuti.
Dall’Italia – che sino ad oggi aveva stanziato appena 5 milioni l’anno per l’emergenza – è arrivato un aumento di appena 160 mila euro. Una cifra che è appena sufficiente a garantire 2 mesi di interventi umanitari di un’organizzazione come Oxfam nel Paese e che si fa ancora più piccola se paragonata ai 195 milioni di euro di armamenti italiani di cui è stata autorizzata nel 2019 l’esportazione verso Arabia Saudita e Emirati Arabi, entrambi coinvolti in un conflitto che ha già causato oltre 100 mila vittime.
“Morire di fame prima che di Covid. Non si può lasciare un intero popolo di fronte a questa allucinante alternativa – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – La priorità è che gli stanziamenti promessi alla Conferenza internazionale di ieri, calati non poco rispetto ai 2,6 miliardi stanziati nel summit dell’anno scorso, siano resi subito disponibili per un’adeguata risposta umanitaria. Senza sono a rischio 5,5 milioni di vite, con diversi programmi di aiuto sul campo che potrebbero chiudere in poche settimane. Mentre il Covid avanza, 10 milioni di persone sono sull’orlo della carestia, 17 milioni non hanno accesso ad acqua pulita e servizi igienico-sanitari.
Serve uno sforzo straordinario per fronteggiare la pandemia, non solo in termini di stanziamenti, ma anche per un immediato cessate il fuoco, senza il quale sarà sempre più difficile soccorrere la popolazione. Allo stesso tempo l’Italia, che si è già espressa su questo fronte, così come sull’intenzione di facilitare l’accesso umanitario per la popolazione, deve dare maggior concretezza possibile al proprio impegno. Non solo aumentando gli aiuti per la risposta all’emergenza, ma ad esempio trovando una soluzione che le permetta di essere più presente nel paese”.
Con circa 3,6 milioni di sfollati interni, di cui 100 mila dall’inizio dell’anno, lo Yemen vive una delle più gravi emergenze profughi al mondo. Centinaia di migliaia di famiglie, nella stragrande maggioranza dei casi, è costretta a vivere in condizioni di promiscuità, in alloggi di fortuna senza poter rispettare il distanziamento necessario, senza accesso a cure di base, acqua pulita e sapone per lavarsi le mani. Più della metà sono donne, il 27% è composto da bambini e ragazzi con meno di 18 anni. Sono loro tra i più esposti al contagio in questo momento, dipendono in gran parte dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Con il crollo delle rimesse dall’estero, il loro numero è destinato ad aumentare. Il tutto nel contesto di un paese in cui oltre 24 milioni di yemeniti già dipendono dagli aiuti per acqua, cibo, medicine e beni di prima necessità, tra cui 12 milioni di bambini e 1,4 milioni di donne in gravidanza che soffrono di grave malnutrizione.
“Da quando mio figlio, che si trova in Arabia Saudita, ha smesso di lavorare lo scorso aprile sono costretto a compare cibo a credito al mercato e non riesco a pagare l’affitto”, racconta Abu Ameer, che oggi vive da sfollato a Sanàa dopo che i combattimenti lo hanno costretto a fuggire da Haradh tre anni fa. I trasferimenti di denaro da suo figlio, per lui e la sua famiglia di 7 persone, hanno rappresentato fino ad un mese fa l’unica fonte di sostentamento. “Le rimesse non solo rappresentano l’unica chance di vita per milioni di persone, ma anche un argine al default dell’intera economia yemenita, essendo un’importante iniezione di valuta estera – continua Pezzati -.
Nel 2018 abbiamo assistito ad una forte svalutazione del Rial yemenita, che ha portato a un aumento esponenziale del prezzo del carburante, del cibo e dei medicinali, che vengono quasi totalmente importati nel Paese. Adesso con il crollo delle rimesse estere potrebbe verificarsi la stessa cosa a causa della riduzione delle riserve di valuta estera. E ancora una volta i primi farne le spese saranno famiglie innocenti”.
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