In due mesi di pieni poteri, Orban ha emesso 180 decreti contro trans, giornalisti e opposizione
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In due mesi di pieni poteri, Orban ha emesso 180 decreti contro trans, giornalisti e opposizione

Orban si è riservato il diritto di decidere - senza l'autorizzazione del parlamento - se l'Ungheria si trova in un nuovo stato di emergenza. In quel caso, rientrerebbe in possesso dei pieni poteri

Viktor Orbán
Viktor Orbán
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16 Giugno 2020 - 15.43


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Dopo due mesi, Viktor Orban ha restituito i pieni poteri che gli aveva concesso il Parlamento ungherese, sebbene il Paese sia uno dei meno colpiti dalla pandemia di Coronavirus. Orban ha creato un piccolo capolavoro di politica sovranista e autoritaria: ha sì restituito i poteri, ma si è riservato il diritto di decidere – senza l’autorizzazione del parlamento – se l’Ungheria si trova in un nuovo stato di emergenza. In quel caso, rientrerebbe in possesso dei pieni poteri, che fino ad oggi gli hanno dato la possibilità di legiferare via decreto, senza passare per il voto. 
La stessa modalità, ha fatto notare Giorgia Meloni, che ha adottato Conte qui in Italia. Con una differenza non da poco: Conte ha emesso decreti che riguardavano esclusivamente l’emergenza Coronavirus. Viktor Orban, negli scorsi due mesi, si è scatenato: sono 180 i decreti emessi senza voto parlamentare, e solo pochissimi di essi riguardano l’emergenza sanitaria. Il primo, per esempio, è stato il divieto per le persone transessuali di operarsi e di cambiare il proprio sesso biologico. 
“Ci sono stati decreti fatti passare come straordinari, nonostante non abbiano niente a che fare con la diffusione del virus – racconta Dávid Vig, direttore di Amnesty International Ungheria – Provvedimenti pubblicati in Gazzetta Ufficiale in piena notte. Altri che sono legati all’emergenza in corso, ma con sproporzionate violazioni dei diritti umani. E, infine, leggi approvate dal Parlamento (dove Fidesz, il partito di governo, gode della maggioranza assoluta) che, dopo il 31 marzo, possono però essere modificate dal capo dell’esecutivo. Ci sono poi le sempre più numerose azioni della polizia per reprimere il dissenso. Una violazione del ‘patto’ stipulato con i cittadini proprio due mesi fa”.
I decreti contro l’opposizione
Un decreto ha tolto fondi importanti alle casse dei partiti dell’opposizione, con la scusa di una ‘redistribuzione delle entrate’. Questi soldi sono finiti nelle mani di Fidesz, il partito di Orban, con l’idea di creare delle ‘zone economiche speciali’ nelle quali dare impulso a investimenti e progetti di sviluppo infrastrutturali che, nel caso in cui siano superiori ai 14,2 milioni di euro verseranno le proprie tasse non alle singole municipalità, ma all’intera contea perché, sostiene il governo, questi progetti potrebbero influenzare la vita degli abitanti di un territorio più ampio delle singole città in cui nascono. “Guarda caso, però, – spiega Vig – queste ‘zone speciali’ comprendono soprattutto città e Comuni conquistati dall’opposizione alle ultime elezioni di ottobre, mentre le contee sono governate da Fidesz. Secondo molti analisti politici, si tratta di una mossa per colpire gli altri partiti”.
Tra l’altro, un altro decreto prevede che il 50% dei finanziamenti pubblici destinati ai partiti ungheresi venga destinato al fondo pubblico per combattere l’epidemia. “Un provvedimento del genere colpisce anche e soprattutto le opposizioni – continua il direttore di Amnesty Ungheria – che hanno un accesso più limitato ad altri tipi di risorse, fondamentali per svolgere anche le campagne politiche ed elettorali”. Una visibilità di cui invece Fidesz gode grazie proprio al suo premier, al governo ormai da dieci anni.
La stretta contro i cittadini
Orban ha modificato il codice penale per mandare in carcere fino a 5 anni chi diffonde fake news contro il coronavirus. In questi due mesi sono stati avviati ben 80 procedimenti penali: “Alcuni casi rispecchiano le accuse – continua Vig -, ma a finire nel mirino sono state anche persone comuni che esprimevano un semplice parere sulla gestione della pandemia da parte del governo, magari sui social. Il giorno dopo la pubblicazione di un post, questi cittadini si sono visti arrivare la polizia a casa che li ha informati del procedimento a loro carico e ha perquisito l’abitazione e analizzato i pc. Qualcuno è stato anche arrestato”.
Tra questi, il sindaco di Mohács, Ferenc Csorbai, che ha pubblicato un video in cui ipotizzava che nella sua città fosse scoppiato un focolaio. Il sindaco è stato accusato di ‘attentato alla pubblica sicurezza’ e ora rischia fino a 3 anni di detenzione. 
“C’è stato anche il caso di un giovane, legato a nessuna sigla politica, che dopo aver scritto sui social che il primo ministro era un dittatore è stato interrogato dalle forze dell’ordine. Gli hanno chiesto se quel ‘primo ministro’ fosse riferito ad Orban. In quel caso, non si sarebbe trattato di opinione personale, ma di fake news e sarebbe stato incriminato” racconta ancora Vig. 
Contro i giornalisti
“Ne abbiamo interpellati molti – continua Vig – Alcuni ci hanno detto di non essere preoccupati perché si sentono protetti da una magistratura indipendente. Altri, invece, ci hanno confessato che dentro alle redazioni i caporedattori e i direttori ormai discutono sulla pubblicazione o meno di un articolo sul coronavirus per paura di finire nel mirino della polizia”.
Contro i medici
A metà marzo la Camera dei Medici ungherese sosteneva che gli strumenti forniti ai professionisti in prima linea contro il Covid non garantivano una protezione adeguata per medici e infermieri. “Giorni dopo, il governo ha risposto negando la ricostruzione e attaccando i medici, sostenendo che si trattava di ‘un ricatto dei vertici del Mok nei confronti del governo che non ha precedenti in una situazione d’emergenza’. Contro di loro non è stata applicata la legge, ma l’esecutivo ha comunque inviato un messaggio. Non a caso, sono pochi i medici che hanno espresso il loro dissenso nei confronti del governo”.

Contro il dissenso
Chi ha cercato di manifestare, pur rispettando le regole del distanziamento sociale, è stato multato con sanzioni fino a migliaia di euro: “Ad esempio – continua Vig – un gruppo di persone ha manifestato contro il governo scendendo in strada con le proprie auto, a finestrini chiusi, suonando i clacson. Una forma di protesta pacifica che è costata anche più di 2mila euro di contravvenzione. Punizione sproporzionata per chi non stava mettendo a rischio la salute pubblica”.
Contro i migranti
Nel caso in cui l’Ungheria decida di espellere un cittadino straniero, questo non potrà fare ricorso contro la decisione e appellarsi a un giudice: “Fino a oggi, nel rispetto degli accordi europei sulla libertà di movimento tra Paesi Ue, era possibile – spiega Vig – Ma con la nuova normativa questo diritto è stato eliminato”.

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