Cohn-Bendit: "L'annessione è la morte della pace e Israele come Stato democratico"
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Cohn-Bendit: "L'annessione è la morte della pace e Israele come Stato democratico"

Quello che Globalist pubblica è la lettera aperta che oggi è pubblicata da Le Monde.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Giugno 2020 - 10.44


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Il loro è un atto d’amore per Israele. Ma per l’Israele che include e non opprime. L’Israele dei padri fondatori e non dei falchi annessionistici. Quello che Globalist pubblica è la lettera aperta che oggi è pubblicata da Le Monde.” Desideriamo esprimere la nostra preoccupazione per il piano del governo israeliano di annettere parti della Cisgiordania a partire dal 1° luglio. Un tale progetto minerebbe i diritti del popolo palestinese e, allo stesso tempo, sfigurerebbe il progetto sionista per la creazione di uno Stato ebraico e democratico. L’annessione unilaterale sarebbe contraria al diritto internazionale e violerebbe tutte le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite relative al conflitto israelo-palestinese, in particolare la risoluzione 2334 del 23 dicembre 2016. Se attuata, l’annessione unilaterale significherebbe la fine della soluzione dei due Stati e distruggerebbe ogni speranza del popolo palestinese di raggiungere l’autodeterminazione con mezzi non violenti. È inutile credere che la realtà sul terreno prevalga sempre e per sempre sul diritto internazionale. Una petizione firmata da quasi 300 ex alti ufficiali militari, del Mossad e della polizia, tutti membri della Ong “Commanders for Israel’s Security”, sottolinea che l’annessione scatenerà una reazione a catena su cui Israele non avrà alcun controllo, portando al collasso dell’Autorità Palestinese. Ciò richiederebbe a sua volta che Israele prendesse il pieno controllo dell’intera Cisgiordania e si assumesse la responsabilità diretta l’esistenza di 2,6 milioni di palestinesi.

Nel caso della Giordania, fortemente popolata da rifugiati palestinesi, l’annessione rischierebbe di destabilizzare il governo e di costringerlo a riconsiderare il trattato di pace con Israele. Anche il trattato di pace con l’Egitto sarebbe messo a repentaglio.

Benjamin Netanyahu ha annunciato che Israele non intende concedere ai palestinesi residenti nei territori annessi da Israele gli stessi diritti civili e politici degli israeliani. Un tale rifiuto sarebbe in totale contraddizione con il regime democratico in vigore nello Stato di Israele. L’annessione, se dovesse avvenire, metterebbe a dura prova le relazioni di Israele con i Paesi democratici di tutto il mondo e potrebbe portare a un’ondata di delegittimazione dello Stato di Israele. Ciò creerebbe un cuneo tra Israele e la maggior parte degli ebrei della diaspora, che sono impegnati a rispettare i principi dei diritti umani e della democrazia. Nell’ambito della mobilitazione internazionale lanciata da J-Link, una rete creata da più di 50 organizzazioni ebraiche progressiste in tutto il mondo, trasmessa in Francia da La Paix Maintenant e JCall, chiediamo a tutti coloro che condividono la preoccupazione per il futuro di Israele in pace con i suoi vicini di agire il più rapidamente possibile, affinché il governo israeliano rinunci a questo progetto di annessione. È in gioco una certa idea di Israele, della democrazia e del giudaismo”.

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I firmatari :

Daniel Cohn-Bendit, ex deputato al Parlamento europeo

Alain Finkielkraut, filosofo, membro dell’Accademia di Francia

Bernard Henri-Levy, filosofo, saggista

Dominique Moïsi, geopolitologo, consulente speciale dell’Ifri (Istituto francese per le relazioni internazionali)

Pierre Nora, storico, membro dell’Académie française

Diane Pinto, storica, consulente del Consiglio d’Europa

Alain Rozenkier, Presidente di Peace Now 

Anne Sinclair, giornalista, scrittrice

Parla “Dany il rosso”

E’ una presa di posizione doverosa, in un momento cruciale nella storia d’Israele e per la pace in Medio Oriente – dice in esclusiva a Globalist Cohn-Bendit -. L’annessione è una forzatura che non trova alcuna giustificazione sul piano della sicurezza, anzi, al contrario, ne rappresenta una minaccia, perché l’annessione getterebbe i palestinesi nelle braccia di coloro che hanno sempre contrastato la soluzione a due Stati. In più, determinerebbe una frattura profonda tra Israele è la maggioranza degli ebrei della diaspora, che credono e continuano a battersi per il rispetto dei diritti umani e della democrazia”.

Senza ritorno

Dal 1967, Israele ha intrapreso molte azioni in Cisgiordania che sono considerate “annessione strisciante” o “annessione di fatto” – ad esempio l’espansione di insediamenti e avamposti e il loro collegamento con Israele mediante infrastrutture, insieme a restrizioni e demolizioni delle costruzioni palestinesi nell’area C (il 60 per cento della Cisgiordania sotto il controllo militare israeliano). La mossa in discussione fornirebbe un quadro giuridico per la realtà sul campo, rendendola “de jure”, ma la approfondirebbe anche.

Innanzitutto, sarebbe possibile sostituire l’amministrazione militare con la legge e l’amministrazione israeliane. In linea di principio, oggi l’esercito è la massima autorità legale nei territori occupati, rispondendo al ministero della Difesa. Ciò è in parte fatto attraverso le leggi che esistevano nell’area prima dell’occupazione israeliana. Tuttavia, come parte della stessa “annessione strisciante”, la legge israeliana si applica sostanzialmente già ai coloni stessi (ma non ai palestinesi che vivono nelle stesse aree). È possibile che l’annessione israeliana fornisca una base legale per la situazione esistente, in cui esistono sistemi giuridici separati per israeliani e palestinesi, ma potrebbe anche includere l’applicazione della legge israeliana in molte aree in cui vivono attualmente i palestinesi. Il loro numero dipenderà dalla mappa finale.

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“Quest’ultimo scenario – annota Noa Landau, firma di punta di Haaretz – solleva alcune difficili domande sullo status di questi palestinesi. Israele concederebbe loro la cittadinanza? Potrebbero esserci conseguenze anche per i proprietari palestinesi di terre annesse, che potrebbero perdere la proprietà privata Un altro problema è la Legge sui referendum, in base alla quale la consegna di terreni soggetti alla legge israeliana richiederebbe la maggioranza della Knesset di 80 legislatori o un referendum pubblico. Fino ad ora, la Cisgiordania non era inclusa in quella legge poiché la legge israeliana non si applica ufficialmente lì. Applicare la legge israeliana a tutta o parte della Cisgiordania renderebbe molto difficile fare future concessioni come parte degli accordi di pace, se mai ce ne fossero. Per queste e altre ragioni, la sinistra sta prendendo atto che l’annessione seppellirebbe sostanzialmente la soluzione dei due Stati e porterebbe a un unico Stato che metterebbe in pericolo l’identità ebraica d’Israele  o sarebbe ufficialmente un regime di apartheid, con un sistema legale discriminatorio per i palestinesi”.

In morte del sionismo?

In questo caso, dice a Globalist  Zeev Sternhell, il più autorevole storico israeliano, “a morire sarebbe la democrazia e ciò che resta degli ideali originari del sionismo. Quel Piano distrugge ogni speranza di una pace giusta e duratura. È la legalizzazione di un regime di apartheid che vige nei Territori occupati palestinesi. È la legittimazione delle posizioni più oltranziste della destra israeliana. È un affronto al diritto internazionale. E potrei continuare a lungo nell’elencare le nefandezze di questa vergogna che Gantz ha ingoiato senza fare una piega”. E a chi vede proprio nel sionismo la radice ideologica e l’esperienza politica “fatta Stato” che è alla base dell’espansionismo israeliano, Sternhell ribatte: “No, non è così. Questa è una caricatura del sionismo o, comunque, ne è una traduzione politica strumentale, in alcuni casi funzionale ad ammantare di idealità positiva una pratica intollerabile. Il sionismo si fonda sui diritti naturali dei popoli all’autodeterminazione e all’autogoverno. Questi diritti naturali dei popoli valgono per tutti, inclusi i palestinesi. Come ebbi a dire in una nostra precedente conversazione, resto fermamente convinto che il sionismo ha il diritto di esistere solo se riconosce i diritti dei palestinesi. Chi vuole negare ai palestinesi l’esercizio di tali diritti non può rivendicarli per se stesso soltanto. Purtroppo, la realtà dei fatti, ultimo in ordine di tempo il moltiplicarsi dei piani di colonizzazione da parte del governo in carica, confermano quanto da me sostenuto in diversi saggi ed articoli, vale a dire che gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la Linea verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo, e questo perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare. Da questo punto di vista, per come è stata interpretata e per ciò che ha innescato, la Guerra dei Sei giorni è in rottura e non in continuazione con la Guerra del ’48. Quest’ultima fondò lo Stato d’Israele, quella del ’67 si trasformò, soprattutto per la destra ma non solo per essa, da risposta di difesa ad un segno “divino” di una missione superiore da compiere: quella di edificare la Grande Israele”.

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Il dado è tratto. Scrive Gideon Levy, icona vivente del giornalismo israeliano: “Non importa quale sarà il risultato del processo al primo ministro. Comunque andrà a finire, il suo risultato è completo: il processo è entrato nel cuore del discorso pubblico, non c’è quasi nessun altro argomento, tutto il resto è stato spinto in disparte e rimosso dall’agenda. Questo non è un risultato da poco: consentirà di perpetuare per generazioni occupazione, apartheid e falsa democrazia. La destra può dormire sonni tranquilli, la strada per continuare le sue ingiustizie e crimini è stata lastricata”.

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