Armi all'Egitto e Caso Regeni: Conte si conferma maestro di cerchiobottismo
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Armi all'Egitto e Caso Regeni: Conte si conferma maestro di cerchiobottismo

Una sequela di affermazioni tanto ridondanti quanto prive di sostanza. Niente da dire; il premier divernta un instancabile “arrampicatore sugli specchi”.

Conte e Palazzotto alla commissione Regeni
Conte e Palazzotto alla commissione Regeni
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

19 Giugno 2020 - 15.04


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Una sequela di affermazioni tanto ridondanti quanto prive di sostanza. Niente da dire: Giuseppe Conte è davvero diventato un maestro di “cerchiobottismo” o, se la metafora aggrada di più, di instancabile “arrampicatore sugli specchi”. Nell’audizione di ieri notte alla commissione parlamentare sulla morte di Giulio Regeni, “Giuseppe l’equilbrista”, non ha smentito se stesso.

Il mantra di Conte

“L’Italia tutta continua ad attribuire incessante priorità alla ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni”, esordisce Conte. Affermazione ripetuta decine di volte in questi anni. Risultati? Nessuno.  . “Io per primo ho posto la questione sempre in cima all’agenda nei colloqui con il presidente egiziano al-Sisi”, ha aggiunto, sorvolando, però, sugli impegni assunti e mantenuti  dal presidente-autocrate di Egitto. Risultati? Nessuno.  “Le autorità politiche non hanno mai smesso di sollecitare con forza alle controparti egiziane progressi tangibili nell’identificazione dell’efferato delitto”. “I nostri rapporti bilaterali non potranno svilupparsi pienamente finché non sarà stata fatta luce sul barbaro assassinio di Regeni”. E poi: “Su queste basi mi sono rivolto al presidente egiziano anche durante la telefonata del 7 giugno. In occasione di questa conversazione ho chiesto una collaborazione più intensa. Il presidente ha sempre manifestato nei nostri colloqui, anche in quello di domenica, per perseguire questo obiettivo ritenuto essenziale per le nostre relazioni”. Quindi, la questione della barbara uccisione di Regeni rimarrà al centro dell’attenzione del governo fino a quando io lo presiederò”, ha assicurato ancora Conte: “Questa postura ci dia la speranza di potere raggiungere la verità. Un obiettivo verso il quale rimarremo inflessibili fino a quando non lo otterremo”. Postura? Ma che diavolo voleva dire l’avvocato Conte. Per cercare di capirci qualcosa, abbiamo consultato il vocabolario Treccani: Nel linguaggio medico, sinon. generico di posizione: assumere una corretta p.; la p. del busto, della colonna vertebrale; in fisiologia, l’atteggiamento abituale di un animale, determinato dalla contrazione di gruppi di muscoli scheletrici che si oppongono alla gravità. 3. ant. a. Accordo segreto, soprattutto a danno d’altri; congiura: . b. Accordo tra artigiani e mercanti per manovrare i prezzi a proprio favore. Non resta che affidarsi all’immaginazione…

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“Ricordo – ha aggiunto Conte – che con il primo mio governo ho chiesto subito un incontro ai genitori di Regeni, che ho poi incontrato anche una seconda volta, per acquisire elementi e informazioni di prima mano e per testimoniare la sensibilità mia personale  oltre che come autorità di governo nella vicenda del loro figliolo”.

Una sensibilità che non ha impedito al Governo da Conte presieduto di fare affari miliardari con lo Stato di polizia egiziano in forniture militari (di cui le due fregate Fremm sono solo l’antipasto).

“La cooperazione giudiziaria tra le due procure ha dato segni di una certa ripresa dopo la nomina del nuovo procuratore egiziano”, ha quindi affermato Conte, nel corso dell’audizione in commissione. Non si capisce se questa è una affermazione, ma basata su che cosa non si sa, o un auspicio.

“Il Cairo può avere un ruolo non marginale in dossier come il conflitto in Libia, così anche nella gestione dei flussi migratori e la collaborazione in campo energetico. Interessi che vanno al di là della mera collaborazione economica”, ha poi detto il presidente del Consiglio. E qui ci si avvicina alla verità: per provare a contare ancora qualcosa nella partita libica, l’Italia deve scegliere a chi fare la corte: al Sultano di Ankara (Erdogan) o al Faraone d’Egitto (al-Sisi). “Lo scenario libico, anche nell’ultima conversazione” con al-Sisi “è stato centrale nello scambio”. Il presidente del Consiglio prima di riferire le affermazioni del presidente egiziano ha chiesto la secretazione dell’audizione dinanzi alla Commissione di inchiesta parlamentare. “Riferirò quando passeremo alla modalità riservata perché mi sembra corretto quando si riferiscono affermazioni di un premier o capo di Stato. Io rispondo delle mie dichiarazioni, ma se devo riferire quelle dell’interlocutore credo che per la credibilità mia e per la riservatezza che devo assicurare alla prossima telefonata che farò a un capo di Sato o di governo, preferisco passare all’altra modalità”.

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Bon ton diplomatico, verrebbe da dire. Ma la realtà è un’altra. Conte non può dire ciò che al-Sisi non ha interesse a far uscire fuori, e cioè che l’Egitto sta trattando la spartizione della Libia con gli attori esterni che davvero contano su quel fronte: Russia, Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Francia e, in ultimo, con gli Stati Uniti. L’Italia in questo schema non rientra se non in maniera marginale, comunque dipendente da Il Cairo (o da Ankara). E se ancora abbiamo qualche carta da giocare, questo lo si deve all’Eni, non certo all’inconcludente affabulazione del duo Conte-Di Maio.

A tutto ciò c’è da aggiungere un nota bene, pesante come un macigno. Nonostante le genuflessioni all’inquilino, si spera in uscita, della Casa Bianca, in Libia, e più in generale nel Mediterraneo, Trump e i suoi consiglieri hanno scelto Ankara, non certo Roma. E lo hanno fatto già da quando il Tycoon di Washington aveva dato luce verde al Sultano di Ankara per far piazza pulita dei curdi siriani nel Rojava. Una luce verde che oggi si riaccende per dare via libera alle operazioni militari turche in Iraq.

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Quanto poi al fatidico pressing giudiziario-politico annunciato da Conte, il risultato è già scritto: un fallimento magari condito con le solite promesse di collaborazione, mai mantenute in questi anni , dai magistrati egiziani. Perché non c’è nulla, ma proprio nulla, che possa far sì che l’uomo del Cairo conceda all’Italia di poter processare coloro che la procura di Roma ha indagato come coinvolti nel sequestro e nell’omicidio di Giulio Regeni. Perché coloro che andrebbero alla sbarra fanno parte di quel sistema repressivo, funzionante h24, che è uno dei pilastri su cui si poggia il regime autocratico di al-Sisi.

Come documentato da Globalist, nello Stato di polizia di al-Sisi si contano, in difetto, oltre 43mila desaparecidos, molti di più di quanti sono scomparsi ai tempi, nefasti, in cui a comandare in Argentina erano i generali. Chiedere al capo dei carnefici di Stato di scaricare alcuni dei suoi esecutori, è una mera illusione. Peggio, un espediente per salvarsi la coscienza.

“In realtà – scrive Alberto Negri su Il Manifesto – è chiaro come il sole che al-Sisi un processo ai responsabili non lo vuole e non può neppure farlo perché si tratta di risalire ai capi dei servizi tra cui c’era anche uno dei suoi figli. Dell’indirizzo dei suoi assassini, come chiesto da Roma, non sapremmo che farcene. Del resto – prosegue Negri – il clima nel nostro Paese favorisce non la giustizia ma l’occultamento. La verità è che nel Mediterraneo siamo passati dalla cabina di regia al gabbiotto del portiere di condominio…”.

Un portiere di nome “Giuseppi”.

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