Se fossimo un Paese serio avremmo scaricato questa compagnia di dilettanti allo sbaraglio a cui l’Italia ha affidato la politica estera e di difesa. Sfidando il ridicolo, l’improponibile ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha ribadito in ogni dove, sostenuto in questa improvvida narrazione dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che la vendita di due fregate Fremm all’Egitto era motivata da ragioni geopolitiche che riguardano soprattutto la Libia.
L’ineffabile titolare della Farnesina e il premier iper mediatizzato hanno ripetuto anche in Parlamento che l’Egitto del presidente-gendarme Abdel Fattah al-Sisi, è un soggetto decisivo per la stabilizzazione della Libia.
Ora, lasciando per un momento da parte la vergognosa subalternità verso le autorità egiziane dimostrata in tutti questi anni dai nostri governanti sulla vicenda Regeni, concentriamoci sul disastro libico. Sintetizzabile così: l’Italia sostiene il Governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al-Sarraj, contro il quale è schierato il generale di Bengasi, Khalifa Haftar. E chi sostiene militarmente l’uomo forte della Cirenaica? Al-Sisi, supportato dagli Emirati arabi. Oggi, il “faraone” armato dall’Italia che combatte un governo sostenuto dall’Italia, ha detto che ogni passo avanti delle forze del Gna, supportato, con tanto di droni e mercenari, sdalla Turchia verso la città strategica di Sirte potrebbe indurre l’Egitto ad un intervento “diretto” in Libia. “Se il popolo libico ci chiede di intervenire, è un segnale inviato al mondo che l’Egitto e la Libia condividono interessi comuni, sicurezza e stabilità”, ha detto al-Sisi in un intervento alla televisione egiziana riportato dalla France Presse. Immediata la replica di Tripoli. In un comunicato, il Consiglio presidenziale libico ha denunciato che l’intervento negli affari interni libici e la violazione della sovranità sono “un atto ostile ed una dichiarazione di guerra”. Il Consiglio presidenziale ha quindi ricordato che Tripoli “da anni chiede, senza successo, una soluzione politica” della crisi libica, “ma ora che il progetto di tirannia è stato sconfitto, alcuni Paesi hanno cominciato a parlare di dialogo minacciando pubblicamente il ricorso ad un intervento militare”. “Noi – prosegue la nota – risponderemo con forza a qualsiasi minaccia contro il nostro Paese e gli Stati che di minacciano farebbero meglio a occuparsi dei loro problemi di sicurezza”.
E così, come più volte documentato da Globalist, il conflitto in Libia si trasforma sempre più da guerra per procura a guerra totale tra Stati: Egitto contro Turchia. E tutto questo avviene alle porte di casa Italia.
Davvero complimenti al duo Conte&Di Maio. Quello che hanno combinato, e continuano a combinare, sulla Libia è come riuscire a fare zero al totocalcio: un’impresa sbagliarle tutte. Ma i due ci sono riusciti. Presi per i fondelli da Erdogan e al-Sisi, ritenuti inaffidabili doppiogiochisti, da Sarraj e Haftar, mai presi seriamente in considerazione da Putin e Trump, per non parlare di Macron.
Si dice: in Italia la politica estera è poco seguita, non porta voti. Ma può portare guai molto seri, oltre che minare ciò che resta, davvero poco o niente, della nostra credibilità internazionale. Abbiamo flirtato con tutti, sultani, generali, rais, zar, tycoon, come se avessimo messo in scena, in chiave diplomatica, “Arlecchino servitore di due padroni”, grande commedia di Carlo Goldoni. Ecco in che mani siamo: in quella di due “arlecchini” senza arte ma, purtroppo, con parte.
Argomenti: giuseppe conte