Come funziona il 'patto libico' e i traffici di petrolio e migranti
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Come funziona il 'patto libico' e i traffici di petrolio e migranti

Su Avvenire a firma di Nello Scavo una fotografia di come funzionano i traffici di petrolio ed esseri umani tra Libia, Malta e la Sicilia

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22 Giugno 2020 - 15.05


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Su Avvenire, a firma di Nello Scavo è comparso ieri un esaustivo articolo che spiega come funziona il ‘patto libico’ che vede i migranti scambiati per ingenti quantità di petrolio, con la complicità dei contrabbandieri maltesi e della mafia siciliana. 
Come spiega Scavo, nel 2017 la Procura di Catania ha portato a termine l’operazione ‘Dirty Oil’ che ha portato alla luce “un traffico di petrolio importato clandestinamente dalla Libia e che, grazie ad una compagnia di trasporto maltese, veniva introdotto sul mercato italiano sfruttando il circuito delle cosiddette pompe bianche”. Due giorni dopo l’omicidio della reporter Daphne Caruana Galizia, una retata tra Catania e Malta avrebbe confermato quanto sostenuto dalla giornalista, ossia che esistevano dei traffici illeciti tra Libia-Malta-Europa. Guarda caso, nel momento in cui il Governo di Malta – messo alle strette dalle inchieste e dalle manifestazioni – chiede una sanzione internazionale contro i boss del contrabbando di petrolio, dalla Russia arriva un veto al provvedimento con cui il Consiglio di Sicurezza Onu voleva disporre il blocco di patrimoni delle gang maltesi, libici e siciliani. 
Tra questi gangster che avrebbero avuto i conti bloccati se Mosca non fosse intervenuta per salvarli ci sono l’ex calciatore Darren Debono, l’uomo d’affari Gordon Debono e il libico Fahmi Bin Khalifa. Proprio loro tre, insieme al catanese Nicola Orazio Romeo, sono sotto processo per il presunto traffico di gasolio sottratto ai giacimenti libici controllati dalla milizia Al-Nasr, che ha a capo una vecchia conoscenza delle inchieste sui traffici di esseri umani: Bija, il trafficante-guardacoste al centro di uno scandalo per un incontro con il Ministero dell’Interno italiano. E non è un caso che i giacimenti da cui è stato sottratto il gasolio sia a un passo dal più grande lager per la detenzione dei migranti in Libia, che a capo ha sempre Bija. 
Gli esperti dell’Onu spiegano che esistono almeno “20 reti di contrabbando attive, che danno lavoro a circa 500 persone”. Reti di contrabbando che facilitano anche il traffico di esseri umani: come scrive Scavo a chiusura del pezzo, “chissà se l’aumento del 150% delle partenze sui barconi sia solo una coincidenza o non sia uno degli effetti di «Oil for migrants“. 

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I nomi dei vascelli sono noti e riportati in diversi documenti confidenziali. Impossibile che in Libia nessuno veda. In totale «esistono circa 20 reti di contrabbando attive, che danno lavoro a circa 500 persone», spiegano gli esperti Onu. Manodopera da aggiungere alle migliaia di libici arruolati dagli stessi gruppi per controllare il territorio, gestire il traffico di esseri umani, combattere per le varie fazioni.

Le inchieste, però, non fermano il business. Il catanese Romeo, indagato nel 2017 per l’indagine etnea “ Dirty Oil”, in passato era stato ritenuto dagli investigatori in contatto con esponenti della famiglia mafiosa Santapaola–Ercolano. Ipotesi, in attesa di un pronunciamento dei tribunali, sempre respinta dall’interessato. A confermare l’interesse di Cosa nostra siciliana per le petroliere sono arrivati i 23 arresti di gennaio. Tra gli indagati vi sono ancora una volta esponenti dei clan catanesi, stavolta della famiglia Mazzei, tornata ad allearsi proprio con i Santapaola– Ercolano. «Abbiamo riscontrato alcuni collegamenti con personaggi coinvolti nell’indagine Dirty Oil, dove era emersa proprio l’origine libica del petrolio raffinato», ha commentato dopo gli arresti il procuratore aggiunto di Catania, Francesco Puleio. Alcuni degli indagati hanno anche «cercato nuovi canali di fornitura e sono entrati in contatto con l’uomo d’affari maltese Gordon Debono, coinvolto nell’indagine Dirty Oil».

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Il collegamento tra mafia libica e mafia siciliana per il tramite di mediatori della Valletta è confermato da un’altra rivelazione contenuta nel dossier consegnato al Palazzo di Vetro a fine 2019. A proposito della nave “Ruta”, con bandiera dell’Ucraina, sorpresa a svolgere attività di contrabbando petrolifero, gli investigatori Onu scrivono: «Secondo le indagini condotte dal Procuratore di Catania», il vascello è stato coinvolto in operazioni illegali, compreso il trasferimento di carburante ad altre navi, «in particolare la Stella Basbosa e il Sea Master X, entrambi collegati alla rete di contrabbando di “Fahmi Slim” e, secondo quanto riferito, ha scaricato combustibile di contrabbando nei porti italiani in 13 occasioni ». Quello di “Fahmi Slim” altro non è che il nome di battaglia di Fahmi Musa Bin Khalifa, il boss del petrolio di Zuara, in affari con Mohammed Kachlav, il capo in persona della milizia al Nasr di Zawyah.

A ostacolare il patto tra mafie dovrebbe essere l’operazione navale europea Irini «che ha già dimostrato l’utilità in termini di informazioni raccolte, e per l’effetto deterrenza anche sul contrabbando di petrolio», ha detto nei giorni scorsi il commissario agli affari Esteri Josep Borrel. E chissà se l’aumento del 150% delle partenze sui barconi sia solo una coincidenza o non sia uno degli effetti di «Oil for migrants».

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