Israele, la protesta non si placa ma, al contrario, si estende e si radicalizza. Da Tel Aviv a Gerusalemme: in decine di migliaia hanno manifestato nell’ultima settimana, contro il Primo ministro Benyamin Netanyahu, saldando il malessere sociale alla richiesta di legalità e al “no” al piano di annessione di parti della Cisgiordania.
La protesta non smobilita
Sono 50 i manifestanti arrestati dalla polizia ieri sera a Gerusalemme durante gli scontri seguiti alla dimostrazione di protesta contro Netanyahu per chiederne le dimissioni.
Lo ha fatto sapere oggi la polizia che ha accusato gli arrestati di pubblico disturbo, atti di vandalismo e attacco agli agenti e alla stampa. Per 8 degli arrestati sarà chiesto – ha aggiunto il portavoce della polizia – il prolungamento dello stato di detenzione mentre gli altri saranno rilasciati.
La protesta – con lo slogan ‘Bibi-Bastiglia’, visto che ieri era l’anniversario della Rivoluzione francese – era stata indetta per chiedere le dimissioni del premier in quanto accusato in tribunale di corruzione, frode e abuso di potere. Queste dimostrazioni rendono conto della prematura fine della “luna di miele” tra l’opinione pubblica israeliana e il governo Netanyahu-Gantz. A confermarlo è un recente sondaggio che certifica come il 61% degli israeliani non sia soddisfatto della gestione della crisi da coronavirus da parte del premier Benyamin Netanyahu anche se il suo partito, il Likud, se si votasse oggi conserverebbe, pur arretrando, la maggioranza dei seggi alla Knesset. Lo indicano due diversi sondaggi pubblicati dai media.
In base alla prima rilevazione, solo il 15% si è detto contento della gestione da parte di Netanyahu: un dato che riflette una caduta del gradimento popolare visto che un’analoga inchiesta lo scorso aprile assegnava al premier il 32,34% di consensi. Bocciati, secondo il sondaggio, anche il ministro delle finanze Yisrael Katz e quello della sanità Yuli Edelstein: entrambi ricevano il 10% dei consensi. Alla domanda più generale se il governo abbia saputo gestire l’attuale crisi, il 75% del campione ha risposto che non è stata “buona”. Per quanto riguarda invece il consenso elettorale, una seconda indagine fa scendere da 36 a 33 i seggi previsti per il Likud che tuttavia resta ancora al primo posto. Discesa anche per Blu Bianco, partito di Benny Gantz: da 14 seggi passerebbe a 9.
Il j’accuse di Noa Rabin
Una delle protagoniste di questa rivolta è Noa Rothman, la nipote di Yitzhak Rabin, il premier laburista assassinato la notte del 4 novembre del 1995 da un giovane estremista di destra, Tgal Amir, al termine di un imponente manifestazione:” Quella dell’annessione -dice a Globalist Noa Rothman- è una scelta gravissima, il responsabile che rischia di innescare una nuova ondata di violenza e di isolare Israele su piano internazionale. Un tale passo viola il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu crea una discriminazione istituzionalizzata. L’annessione -rimarca ancora la nipote di Rabin- rappresenta quindi una minaccia esistenziale per i palestinesi, per gli israeliani, per la stabilità regionale e per un ordine globale già fragile. L’annessione unilaterale che codifica la disuguaglianza e si fa beffe della dignità umane. Invece di concentrarsi sull’annessione, il Primo ministro dovrebbe una seria autocritica, ma dubito che ne sia capace, sul modo irresponsabile, degno del suo amico del suo amico Trump, con cui a fin qui affronttò l’emergenza Covid-19.
Il virus “infetta” Bibi
La diffusione del coronavirus ha registrato ieri un nuovo record giornaliero in Israele di 1.681 contagi fra gli oltre 27 mila test condotti (poco più del 6%). Secondo quanto reso noto dal ministero della Sanità, il numero complessivo dei casi positivi è salito a 41.235. I decessi finora sono 368.
Gli affetti dal virus sono ora 21.393, per lo più isolati nelle loro abitazioni o in alberghi predisposti dalle autorità.
Negli ospedali sono ricoverate oltre 500 persone, 177 delle quali versano in condizioni gravi (con 55 pazienti in rianimazione).
Le città più colpite sono Gerusalemme (con oltre mille contagi nell’ultima settimana), la cittadina ortodossa di Bnei Brak (594 casi in una settimana) e Tel Aviv (574). Secondo i media torna così a profilarsi la necessità di un lockdown nazionale, anche se il governo ha ribadito anche ieri che farà tutto il possibile per non dover ricorrere ad un provvedimento talmente drastico.
Benny il temporeggiatore
Da giorni , sottolineano gli analisti israeliani, è in corso un braccio di ferro tra Netanyahu e il co-premier sulla tempistica e le dimensioni del piano di annessione. L’attuale ministro della difesa si “arma” del metro, e prova a delimitare quanto più possibile il perimetro dell’annessione. Quello di Gantz appare un tentativo tanto per dare l’impressione di essere più moderato di “King Bibi”, il premier più longevo nella storia d’Israele, che vorrebbe chiudere la partita quando alla Casa Bianca c’è ancora il suo grande amico e ispiratore, Donald Trump, che tutti i sondaggi danno in rotta rispetto al suo competitor democratico, Joe Biden.
Gantz è sotto pressione dopo che il suo partito Blu e Bianco è crollato nei sondaggi: se si rivotasse oggi attualmente otterrebbe solo nove seggi alla Knesset rispetto ai 33 guadagnati a marzo. Inoltre si intensificano le voci secondo cui Netanyahu sarebbe alla ricerca di un pretesto per sciogliere il governo di unità nazionale per impedire che
il ministro della Difesa Gantz diventi premier nel novembre 2021come da staffetta fissata. Questo proprio per i disaccordi
programmatici tra Likud e Blue e Bianco.
Noa Rothman nelle precedenti elezioni aveva sostenuto la candidatura a premier di Gantz come “l’anti-Netanyahu”. Alle nostra domanda se oggi si sentisse tradita dal comportamento di Gantz, la nipote di Rabin risponde così: “Più che tradita mi sento, e come me tantissimi altri, delusa, amareggiata. Gantz si era presentato come l’uomo del cambiamento, come un’alternativa, e non come un vassallo dal volto pulito, a Netanyahu. La realtà è stata un’altra: Gantz, pur di andare al potere, ha spaccato il suo partito (Blu e Bianco, ndr), avallato il piano Trump, ed ora cerca di ritagliarsi un ruolo di “moderatore” rispetto ai propositi di Netanyahu di annettere il 30% della Cisgiordania. Ma il problema non è la dimensione dell’annessione, è l’annessione in sé. E’ la logica che la sottende, e le conseguenze che inevitabilmente scatenerà. Mi lasci aggiungere che in gioco non c’è solo la pace con i palestinesi, ma anche l’identità stessa di Israele. A rischio vi sono i due pilastri che sono stati a fondamento della nascita dello stato di Israele: l’identità ebraica e la democrazia. Tutto il mondo è alle prese con la crisi pandemica che ha ricadute pesantissime non solo sul piano della salute ma anche dal punto di vista economico e sociale. Eppure in Israele la priorità del Governo sembra essere quella dell’annessione. Siamo davvero fuori dal mondo!”
Sulla stessa lunghezza d’onda è un’altra donna dal cognome “pesante”: Yael Dayan, scrittrice più volte parlamentare laburista, figlia di uno dei miti di Israele: l’eroe della Guerra dei Sei, il generale Moshe Dayan. A Globalist che le chiede come leggere lo slittamento dell’avvio del piano di annessione che Netanyahu aveva fissato per 1 luglio scorso, Yael Dayan offre questa interpretazione politica: “C’è un problema aperto con gli americani, sulle dimensioni dell’annessione. Per Netanyahu il fattore tempo è decisivo. E coincide con le elezioni presidenziali negli Sati Uniti. Se si è spinto fino a questo punto è perché sa di poter contare sul sostegno incondizionato del suo amico Trump. Ma se il nuovo presidente Usa dovesse essere, come spero, Joe Biden, allora molte cose cambierebbero e Netanyahu non avrebbe più carta bianca per portare a compimento il sogno che ha sempre coltivato la destra più radicale: quello della Grande Israele. Un sogno che si trasformerebbe in un incubo non solo per i palestinesi ma per quanti, nel mio Paese, si battono per il dialogo e per non fare dell’Israele di oggi il nuovo Sudafrica del Medio Oriente: lo Stato dell’apartheid”. La figlia del generale Dayan è convinta, e con lei le migliaia di israeliani che hanno manifestato in questi giorni che, non possa essere l’attuale governo a imboccare una strada diversa dall’annessione: “Una delle ragioni conclude Dayan è che per la destra oggi al potere, la sicurezza è sempre congiunta con disegni di grandezza che non contemplano il riconoscimento di uno Stato palestinese. Non esiste, non può esistere una pace vera, durevole, che possa conciliarsi con la massiccia colonizzazione dei Territori palestinesi occupati spinta fino all’annessione. Non è conciliabile per il semplice, inconfutabile, dato di realtà che la politica di annessione di terre palestinesi, la trasformazione, anche sul piano dello status, di colonie in città israeliane, minano dalle fondamenta un accordo fondato sul principio di “due popoli, due Stati”.
Ed è questa consapevolezza che riempie le piazze di Israele.
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