Prendendo Erdogan con quel che merita, si potrebbe dire che oggi è difficile sapere se Papa Francesco troverà un volo disponibile e un posto libero, magari vicino al finestrino, per poter essere venerdì a Istanbul, dove il presidente turco lo ha invitato per assistere alla prima preghiera nella moschea di Santa Sofia.
Ma seguitando sulla stessa piega si dovrebbe aggiungere che è anche difficile sapere se il presidente turco inviti i suoi congiunti, magari alla cena post preghiera del prossimo venerdì, con così breve preavviso. Il termine congiunto viene in mente ricordando le prime riaperture post coronavirus, dunque applicabile anche ai primi inviti post riconquista di Santa Sofia. Ma anche ricorrendo al termine “congiunti” per sorridere non si riesce a non dire che anche Erdogan dovrebbe sapere che un invito con così poco preavviso non è educato.
E siccome il vescovo di Roma non ha la sventura di essere un suo congiunto, neanche un lontanissimo parente, forse far sapere il martedì di aver invitato per venerdì il vescovo di Roma e successore di Pietro ad andare a Istanbul ha il sapore, francamente, della più grave provocazione. Ma potrebbe non essere tutto qui. Erdogan sa benissimo di aver fatto una frittata anche secondo un turco su due, tanti sono i suoi connazionali che hanno osato criticarlo nei sondaggi d’opinione sulla trasformazione di Santa Sofia in moschea da museo. E visto che cosa è diventata la stampa turca con lui al potere c’è veramente da sbarrare gli occhi dalla sorpresa. Così, probabilmente, ora vuole scaricare sul papa un comportamento non appropriato, un diniego, un rifiuto. Chi potrà credere a una simile assurdità? Anche questo è difficile da immaginare.
Ma è la conferma della deriva imboccata dal leader turco, che taglia, separa, divide, allontana i figli dell’unico di Dio. Lui che ha trovato il tempo per andare a controllare di persona come procedono o i lavori per consentire la copertura dei fantastici mosaici di Santa Sofia durante le funzioni religiose, non ha trovato il modo di dire di persona che ha invitato il papa alla cerimonia: neanche questo… Si deve essere vergognato e lo ha fatto dire da un suo stretto collaboratore.
Ma la pesantezza, in verità grave, dell’azione odierna di Erdogan forse sta nel fatto che appare tesa a mettere in cattiva luce agli occhi dei musulmani l’unico leader che ha opposto una diga ai tanti che volevano scavare un fossato tra Oriente e Occidente, tra cristianesimo e Islam.
Il grave sta proprio qui, nella bruttissima disposizione d’animo di un uomo che per il potere è pronto a tutto, anche a rovinare il lavoro fatto dal vescovo di Roma e dall’Imam di al-Azhar, per ricucire quel che tanti hanno interesse a strappare. Questa sembra dall’inizio la sua finalità: stimolare una reazione da “crociati” per far crescere di consenso attitudini da “califfo”. Ben altro infatti era lo spessore dei Sultani, che dimenticarono di essere anche califfi fino agli anni della prima guerra mondiale, quando davanti al rischio dei cannoni si ricordano del dimenticato titolo di Califfo per far intendere agli europei che loro potevano muovergli contro i sudditi, soprattutto nelle lontane indie, di fede islamica.
Se nella testa di Erdogan ci fosse stata la sapienza dei sultani e non la protervia di un sedicente califfo, che da un secolo nessun musulmano ha mai rimpianto, mai avrebbe pensato a un “invito” del genere.
I sultani infatti crearono dal nulla la sede arcivescovile di Istanbul per gli armeni. Ecco così un buon esempio: se fosse stato un leader accorto, visto quanto accade nel Caucaso tra azeri e armeni, se avesse voluto proprio fare un invito intelligente e non provocatorio, il califfo turco avrebbe potuto invitare l’arcivescovo armeno e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, non il papa: ma non ad assistere alla prima preghiera nella di nuovo moschea di Santa Sofia, ma a ragionare insieme su come organizzare il culto a Santa Sofia, rivendicando il merito di averne fatto non più un museo, ma un luogo da stabilire in che modo riaprire a ogni culto.
Ma questo appunto sarebbe stato un discorso da capo di stato, non da leader nazionalista che guarda con attenzione a quanto gli ex Lupi Grigi plaudono le sue gesta.