Crescono le tensioni tra Usa e Cina, Trump: "I cinesi cambino il regime"
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Crescono le tensioni tra Usa e Cina, Trump: "I cinesi cambino il regime"

L'offensiva di Mike Pompeo contro la Cina segna un cambio di strategia dell'amministrazione Trump.

Xi e Trump
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24 Luglio 2020 - 16.21


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“È ora che i cinesi cambino la guida del partito comunista”. Stavolta il segretario di stato americano Mike Pompeo, parlando alla Richard Nixon Presidential Library, si rivolge direttamente ai cittadini della superpotenza asiatica, e il suo appello è di quelli destinati a segnare una svolta nell’escalation dei rapporti tra Washington e Pechino. Per la prima volta, rotti gli indugi e superate le ultime cautele, l’amministrazione Trump in pieno clima da Guerra Fredda ipotizza un cambio di regime in Cina. E quello del tycoon, per ora tramite le parole del capo della diplomazia Usa, rappresenta un vero e proprio schiaffo a Xi Jinping: un leader finora guardato con benevolenza dalla Casa Bianca, ma adesso dipinto da Pompeo come “un presidente che crede nell’ideologia totalitaria”, alla stregua di altri dittatori e tiranni in giro per il mondo.

“Il Partito Comunista cinese – ha affondato il segretario di stato – ha paura delle opinioni oneste dei cinesi più di qualsiasi altro nemico straniero, e gli Stati Uniti devono impegnarsi a rafforzare i cinesi”. Sono lontani i tempi in cui Trump lodava Xi, non nascondeva la sua invidia per la forza e la longevità della leadership del presidente cinese e sognava di avere con lui uno storico incontro.

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Le ultime settimane hanno cambiato lo scenario: il pugno duro di Pechino a Hong Kong, la repressione degli uiguri, le accuse sulle responsabili della pandemia di coronavirus, la corsa al vaccino, le mire espansionistiche di Pechino sul Mare del Sud della Cina. L’amministrazione Trump – oltretutto in costante ricerca di nemici su cui fondare la propria campagna elettorale – ha assunto una posizione molto più dura. È la linea del “law & order” traslata nello scacchiere internazionale. 

In questo quadro non è un caso la mossa senza precedenti della chiusura con l’accusa di spionaggio del consolato cinese di Houston, in Texas, con il tycoon che ha minacciato nelle ultime ore di agire contro altre sedi diplomatiche di Pechino in Usa. Mentre l’Fbi assedia il consolato di San Francisco dove si è rifugiata una biologa cinese accusata di avere legami con l’Esercito di liberazione e sfuggita all’arresto. L’ira di Pechino per gli ultimi episodi non si è fatta attendere: l’amministrazione Trump “sta sorvegliando, molestando e reprimendo studenti e ricercatori cinesi negli Stati Uniti, attribuendo loro colpe presunte che rappresentano una persecuzione politica chiara e che viola gravemente gli interessi dei cittadini cinesi”, ha denunciato il portavoce del ministero degli esteri Wang Wenbin. Altra contromossa: Pechino ha ordinato la chiusura del consolato americano a Chengdu, nel sud-ovest della Cina, parlando di “risposta legittima e necessaria alla mossa ingiustificata da parte degli Usa”.

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Il Ministero degli Esteri cinese, in una nota rilanciata dall’agenzia Xinhua, aggiunge che “l’attuale situazione nelle relazioni Cina-Usa non è quello che la Cina desidera vedere e gli Stati Uniti sono responsabili di tutto questo. Chiediamo ancora una volta agli Usa di revocare immediatamente la loro decisione sbagliata e di creare le condizioni necessarie per raddrizzare i rapporti bilaterali”. 

Ma Pompeo è stato chiaro: “Sono decenni che l’America non reagisce, non risponde all’offensiva cinese. Ora basta, è una questione di sicurezza nazionale, sempre più a rischio. Bisogna ripristinare un equilibrio nelle relazioni”, ha insistito il segretario di stato americano, accusando Pechino anche di usare metodi coercitivi contro i diplomatici Usa in Cina e di impedire loro di incontrarsi con membri della legislatura o considerati dell’opposizione: “Questa assenza di reciprocità, come ha detto più volte il presidente Trump, è inaccettabile”.

Per nulla sullo sfondo c’è la questione del 5G. Sulle pagine della Stampa si fa sentire nuovamente la voce americana che fa pressioni sull’Italia perché rinunci alle tecnologie di Huawei per la nuova generazione di telecomunicazioni. “Siamo fiduciosi – dice Philip Reeker, capo del Bureau of European and Eurasian Affairs al Dipartimento di Stato – che sulla questione del network 5G il Governo italiano prenderà la decisione giusta per il popolo italiano, allo scopo di garantire che i vostri dati e la vostra sicurezza siano pienamente protetti”. Tradotto dal linguaggio diplomatico, attraverso Huawei la Cina vi spia, per cui Roma deve rinunciare ai cinesi. 

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