In Libano la piazza vuole la testa del presidente-generale Aoun
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In Libano la piazza vuole la testa del presidente-generale Aoun

Una settimana dopo l'esplosione di Beirut, un collettivo, presieduto dall'ex magistrato Chucri Sader ha chiesto la destituzione del presidente e l’uscita di scena di tutta la classe politica.

Proteste in Libano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Agosto 2020 - 15.21


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Il capo dello Stato va rimosso. La piazza libanese non fa sconti al presidente-generale, Michel Aoun.

Una settimana dopo la micidiale doppia esplosione nel porto di Beirut, un collettivo, presieduto dall’ex magistrato Chucri Sader e composto da un centinaio di associazioni della società civile, ha chiesto ieri la destituzione del presidente Michel Aoun e l’uscita di scena di tutta la classe politica. E’ stato durante una conferenza stampa tenutasi in strada, di fronte al porto di Beirut devastato da una doppia esplosione martedì 4 agosto, che queste associazioni si sono riunite sotto il nome di “Rally per la Rivoluzione”, e hanno lanciato il loro appello.

Via Aoun

“Chiediamo la rimozione del presidente della Repubblica, l’istituzione di un governo di transizione ancorato alla rivoluzione e le dimissioni dei deputati, tutti membri di un Parlamento monopolizzato per trent’anni dal suo leader (Nabih Berry) e dai suoi padroni stranieri”, ha affermato Chucri Sader, leggendo una dichiarazione a nome del collettivo, che comprende il comitato promotore della “liberazione nazionale del 12 giugno”. Questo comitato, che riunisce una trentina di personalità maronite tra cui Sader, l’ex vice Farès Souhaid, l’autore e attivista Nada Saleh Anid e l’avvocato Chibli Mallat, aveva infatti richiesto le dimissioni  di Aoun in un  manifesto pubblicato nel giugno scorso. “Chiediamo l’immediato disarmo di Hezbollah e rifiutiamo qualsiasi collaborazione con esso, sia ufficiale che individuale, fino a quando non avrà dichiarato che sta rinunciando al suo arsenale”, rimarca la dichiarazione. “Un nuovo Libano sta emergendo sotto i nostri occhi. Facendo eco alla determinazione del popolo – “tutti significa tutti” (in riferimento allo slogan dei rivoluzionari di ottobre, ndr) – chiediamo a chi tra i funzionari ha ancora coscienza e dignità di abbandonare l’attuale mandato ora in stato di morte clinica”, prosegue il testo, che chiede anche l’attuazione della risoluzione 1559 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che prevede il disarmo e lo scioglimento di tutte le milizie in Libano.

Sporcizia politica

Parlando con  L’Orient-Le Jour  (il giornale in lingua francofona di Beirut) a margine della conferenza stampa, Chucri Sader ha invitato “il Presidente della Repubblica a rendersi conto che la sua presenza a capo dello Stato non è più in linea con le aspirazioni del popolo. L’ex magistrato, che ha anche denunciato la negligenza della “sporcizia politica”, ha detto che “la voce del popolo alla fine sarà ascoltata, soprattutto perché la corruzione della classe politica è sempre più decretata a livello internazionale. “La comunità internazionale sostiene il popolo libanese, ed è la prima volta che fa una distinzione tra il popolo e lo Stato”, spiega Sader. “La corruzione avrebbe potuto essere tollerata se i politici avessero servito gli interessi dello Stato… Ma ora ci troviamo di fronte a un incidente molto grave che rasenta la criminalità premeditata”, rimarca deo l’ex presidente del Conseil d’État. “Duemilasettecento tonnellate di nitrato di ammonio arricchito, conservate per sei anni in un porto civile della capitale, sono assolutamente folli. E’ un crimine. “E ancora: “Mai un leader ha mai preso i suoi cittadini, che dovrebbe servire, per sciocchi”, ha aggiunto, in un possente j’accuse al capo dello Stato. Il magistrato ha anche criticato il fatto che sia la Corte di giustizia libanese a condurre le indagini, e non una commissione internazionale, come suggerito da parte della società civile e dal presidente francese Emmanuel Macron. “Abbiamo visto, nel corso degli anni, che le indagini interne non sono arrivate a nulla”, sottolinea Sader, che ha ricordato che il capo dello Stato ha ammesso di essere a conoscenza della presenza di nitrato di ammonio nel porto in una conversazione con la stampa pochi giorni fa.

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È in questo contesto che il “ Rassemblement pour la révolution” ha chiesto ieri nel suo comunicato “l’istituzione di una procedura per il perseguimento di tutti i responsabili all’interno del governo, ora che Michel Aoun ha riconosciuto ufficialmente di essere consapevole della gravità della situazione nel porto di Beirut senza agire per prevenire il massacro, lui che è vincolato dal suo giuramento costituzionale di proteggere il Libano e i libanesi. Dopo l’esplosione, i funzionari politici, giudiziari e di sicurezza si sono accusati a vicenda. Il magistrato ha anche criticato il fatto che sia la Corte di giustizia libanese a condurre le indagini, e non una commissione internazionale, come suggerito da parte della società civile e dal presidente francese Emmanuel Macron. “Abbiamo visto, nel corso degli anni, che le indagini interne non sono arrivate a nulla”, ha detto ancora Sader, che ha ricordato che il capo dello Stato ha ammesso di essere a conoscenza della presenza di nitrato di ammonio nel porto in una conversazione con la stampa pochi giorni fa. “Nello spirito di questa richiesta di responsabilità penale per il massacro del 4 agosto, la nostra richiesta è di un’indagine internazionale”, dice il testo.

La piazza ed Hezbollah.

Annota su Internazionale, Rami Khouri: “Il Libano sta vivendo la stessa dinamica che ha segnato altri paesi arabi dopo il 2010, con la forza irresistibile di una cittadinanza impoverita e scesa in strada per abbattere una struttura di potere che si rifiuta di farsi da parte. Come in Sudan, Algeria, Siria, Egitto, Iraq e altrove, la popolazione esausta e umiliata del Libano ha dovuto scontrarsi con un regime militarizzato. La struttura di potere del Libano è diversa da quelle di tutti gli altri paesi arabi, ed è ancora più difficile da riformare. I principali partiti confessionali – sunniti, cristiani, drusi e altri – hanno dimostrato che sanno reagire alle minacce: fanno finta di fare un passo indietro, ma poi tornano in gioco, si spartiscono di nuovo il controllo del governo e continuano ad accumulare ricchezze.  Gli eventi dell’anno scorso hanno screditato i principali partiti agli occhi della maggioranza dei libanesi, compresi alcuni sostenitori di quegli stessi partiti. Ora quei politici sembrano incapaci di aggirare la richiesta di un cambiamento strutturale. Forze come il Movimento patriottico libero del presidente Aoun e il Movimento il Futuro di Saad Hariri possono governare solo con il sostegno di Hezbollah, come abbiamo potuto constatare negli ultimi anni.  Hezbollah però rappresenta qualcosa di molto diverso. L’organizzazione è più potente dello stato sul piano militare e più coesa di qualsiasi altro partito settario. Inoltre è legata strutturalmente all’Iran, alla Siria e ad altri partiti del fronte della ‘resistenza’ regionale. Hezbollah opera soprattutto dietro le quinte, attraverso alleanze mutevoli con i gruppi cristiani, sciiti e sunniti che hanno fatto parte dei diversi governi sostenuti dall’organizzazione nel corso degli anni.  È possibile che il Libano sia entrato in una fase in cui i due gruppi più potenti sono Hezbollah e il movimento di protesta, disorganizzato ma probabilmente inarrestabile, che vuole sostituire l’attuale struttura di potere con un sistema di governo più democratico e basato sullo stato di diritto.  Se i manifestanti riusciranno a sfruttare l’immenso supporto popolare per dar vita a un processo politico efficace, potrebbero davvero sconfiggere e rimuovere le élite del potere, per poi organizzare elezioni parlamentari con la supervisione di gruppi indipendenti. In questo modo verrebbero raggiunti due dei principali obiettivi della protesta. È probabile che assisteremo a un negoziato intenso per la creazione di una nuova legge elettorale non confessionale che possa permettere un ritorno al voto e successivamente l’elezione di un nuovo presidente e la costruzione di un sistema di governo completamente rinnovato. Questo processo, idealmente, dovrebbe essere gestito da un governo di emergenza formato da tecnici rispettati, il cui obiettivo sarebbe solo quello di stabilizzare l’economia e aiutare una popolazione allo stremo.  Senza dubbio molti esponenti dell’élite si opporranno a questo scenario, ma probabilmente, se rispetterà una serie di criteri, Hezbollah lo accetterà. L’organizzazione non permetterà allo stato libanese di sgretolarsi e non vuole governare il Libano da sola, ma allo stesso tempo non ha intenzione di cedere le sue sofisticate armi che per due volte hanno costretto Israele a un cessate il fuoco e hanno messo in piedi un meccanismo di deterrenza al confine tra Israele e Libano.  Quindi – sostiene Khouri – la grande sfida per i manifestanti e per tutti i libanesi è quella di fare un compromesso con Hezbollah che permetta a un governo serio di assumere il potere per un lungo periodo di transizione, dando il via alla rinascita del paese e tenendo le divisioni di Hezbollah momentaneamente fuori dal tavolo del negoziato. Se tutto questo succederà davvero e arriverà il giorno in cui i libanesi chiederanno a Hezbollah di rinunciare alle sue strutture militari autonome, forse sarà possibile che queste vengano gestite dal ministero della difesa”. 

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Stato d’emergenza

Intanto,  il Parlamento libanese ha approvato lo stato di emergenza dichiarato a Beirut dopo la doppia esplosione nel porto della capitale, così come le dimissioni di otto deputati che ritengono il governo responsabile della Alla sessione parlamentare straordinaria,  durata poco più di un’ora, hanno partecipato solo tre ministri del governo dimissionario di Hassane Diab – il vice primo ministro e ministro della Difesa Zeina Acar, il ministro degli Interni Mohammad Fahmi e il ministro della Cultura e dell’Agricoltura Abbas Mortada – e in assenza di deputati indipendenti e membri delle Forze libanesi, il leader maronita Samir Geagea.

”Il Libano sta morendo davanti ai nostri occhi”, ha sostenuto ail  presidente del Parlamento libanese Nabih Berri, leader del partito sciita Amal, durante la seduta al Palazzo dell’Unesco ”Non abbiamo altra scelta se non quella di effettuare un intervento chirurgico, che è possibile attraverso la Costituzione”, ha proseguito. Secondo Berri serve modificare la ”Costituzione basata sugli accordi di Taif ed è necessaria ”una legge elettorale che non si basi su un sistema settario”. Invocando ”un intervento chirurgico sulla Costituzione di Taif”, Berri ha suggerito un sistema elettorale che sia ”permetta in voto nei luoghi di residenza”. Infine Berri ha sottolineato che ”l’esercito libanese è un simbolo di unità” per il Paese dei Cedri, che deve quindi ”fidarsi” dei militari. L’esercito è stato inviato sul luogo dell’esplosione nel porto di Beirut in cerca dei dispersi e per rimuovere i detriti e le macerie.

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Lo stato di emergenza è stato dichiarato per due settimane, fino al 18 agosto, dal governo di Hassane Diab, che si è ora dimesso in seguito al disastro. Per qualsiasi stato di emergenza che duri più di otto giorni, il Parlamento deve dare la sua approvazione. Durante questo periodo, che può essere prolungato, l’esercito libanese avrà sotto il suo comando tutte le forze di sicurezza del Paese e la responsabilità di mantenere l’ordine.Con queste prerogative eccezionali, l’esercito può, caso per caso, imporre diversi tipi di misure nella zona in stato di emergenza, come il coprifuoco”, rimarca l’ex ministro dell’Interno Ziad Baroud.

Baroud si riferisce, tra l’altro, alla possibilità di imporre gli arresti domiciliari o di adottare misure specifiche in relazione all’importazione o al consumo di determinati beni. Durante lo stato di emergenza, chiunque commetta un reato che mina la sicurezza può essere finalmente portato davanti a un tribunale militare.

Ma la dichiarazione dello stato di emergenza era giustificata?

“Di fronte alle dimensioni del disastro, l’esercito doveva avere la possibilità di gestire la situazione”, è la risposta dell’ex ministro dell’Interno.  Tuttavia, secondo lui, “allo stato attuale delle cose, non sarà necessaria una proroga oltre il 18 agosto”.

La rivoluzione continua

La piazza non smobilita. E rilancia la sua sfida ad una classe politica che ha fatto bancarotta. A dar conto di questa determinazione a non mollare è Lina Boubess, 60 anni, una dei partecipanti alla manifestazione che si è svolta davanti al Palazzo dell’Unesco, dove era in corso la seduta del Parlamento.  “Non gli bastava rubare i nostri soldi, le nostre vite, i nostri sogni e i sogni dei nostri figli? Cosa abbiamo ancora da perdere? Sono criminali, tutti, senza eccezioni”.

A cominciare da colui che avrebbe dovuto rappresentare l’unità del Paese: Michel Aoun.

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