Husam Zomlot: "Quegli accordi vorrebbero la nostra resa. Non accadrà mai"
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Husam Zomlot: "Quegli accordi vorrebbero la nostra resa. Non accadrà mai"

Parla l'ambasciatore capo della missione palestinese nel Regno Unito: "Si tratta di una grande battuta d'arresto per le speranze di pace".

L'ambasciatore Husam Zomlot capo della missione palestinese nel Regno Unito
L'ambasciatore Husam Zomlot capo della missione palestinese nel Regno Unito
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

18 Settembre 2020 - 10.17


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E’ il diplomatico palestinese più abile e introdotto nelle “stanze” internazionali che contano. Alle luci della ribalta ha sempre preferito il lavoro sottotraccia, la costruzione di relazioni, anche personali che potessero rafforzare le ragioni dei palestinesi. L’ambasciatore Husam Zomlot è il capo della missione palestinese nel Regno Unito. In precedenza è stato capo della Delegazione generale dell’Olp presso il Consigliere per gli Affari strategici del presidente palestinese Mahmoud Abbas

Da abile diplomatico qual è, Husam Zomlot sa il valore delle parole, che vanno soppesate, limate, perché le parole contano, eccome, nelle relazioni internazionali. Soprattutto quando riguardano eventi che possono cambiare il corso della storia in Medio Oriente, come gli accordi di pace siglati martedì scorso alla Casa Bianca, tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. Le considerazioni che l’ambasciatore palestinese ha affidato ad un suo scritto per Haaretz, e che Globalist porta all’attenzione dei lettori italiani, hanno un peso rilevante, e fanno chiarezza.

“Qualunque siano i motivi alla base degli accordi firmati martedì tra Israele e due Paesi del Golfo, il progresso della pace tra Israele e noi, il popolo palestinese, non è uno di questi – annota Zomlot -.  Al contrario, si tratta di una grande battuta d’arresto per le speranze di pace. D’altra parte, la pace non è mai stata il punto. Per la Casa Bianca, lo sfarzo di martedì è stato un tentativo disperato di mostrare un qualche successo, un qualsiasi successo, in politica estera,  due mesi prima delle elezioni presidenziali americane. L’amministrazione Trump presenterà così le immagini dei governanti israeliani e dei dignitari degli Emirati Arabi e del Bahrein che stabiliscono relazioni diplomatiche come una svolta per la pace in Medio Oriente, anche se, naturalmente, Israele non è mai stato in guerra con nessuno dei due Paesi. Gli accordi sono anche una spinta interna a Benjamin Netanyahu, che sta affrontando proteste settimanali contro la sua leadership corrotta. Per tutto il tempo, e lontano dallo sfarzo della Casa Bianca, Israele continua a minare le possibilità di una pace giusta ed equa ad ogni passo. A parte i piani di annessione formale di Israele, la realtà sul campo è questa: Israele sta lentamente ma inesorabilmente annettendo, in cemento, malta e pietra, ogni parte del territorio occupato che ritiene opportuno.  Questa strisciante annessione che si sta verificando sotto i nostri occhi è in corso dal 1967 e non mostra alcun segno di diminuzione. Il fatto che ad Israele sia stato permesso di continuare la costruzione illegale di insediamenti in territorio occupato per così tanti decenni è la ragione più importante per cui gli sforzi di pace sono falliti, più e più volte.  Gli accordi che Israele ha firmato con il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti non affrontano la questione. Non fanno nulla per la pace. Non si parla di risoluzioni internazionali. Non si parla nemmeno dell’Iniziativa di pace araba del 2002. Questi accordi servono solo a normalizzare le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, la violenza quotidiana dell’occupazione contro il popolo palestinese e la continua negazione del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi. La dichiarazione che annunciava l’intenzione di normalizzare i legami a metà agosto trattava Gerusalemme Est occupata e i suoi luoghi santi come se fossero parte di Israele. Essi violano così il diritto internazionale che definisce Gerusalemme Est come una città occupata e minacciano lo status quo storico e giuridico della moschea di Al Aqsa e dei molti altri siti cristiani e musulmani della città occupata, minando al contempo la custodia giordana. E fanno di più. Mettono a repentaglio il consenso arabo e minano la premessa “’terra per la pace’ delle risoluzioni internazionali e dell’iniziativa di pace araba e di ogni altro serio sforzo per forgiare la pace. Alcuni sostengono che le  ‘vecchie strade’ sono fallite, che è tempo di provare qualcosa di nuovo. Ma, per una questione di logica di fondo, è chiaro che Israele non metterà fine alla sua occupazione per la bontà del suo cuore,  dopotutto, ha avuto molte opportunità.

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Avrebbe potuto farlo con incentivi adeguati, ma questi incentivi sono meno ora che gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein hanno premiato Israele per niente. Ci rendiamo conto delle pressioni cui erano sottoposti questi Paesi. Noi stessi abbiamo dovuto resistere a queste pressioni.  L’amministrazione statunitense ha tagliato tutti i finanziamenti al governo palestinese e all’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi, ndr) , ha trasferito la sua ambasciata in Israele a Gerusalemme e ha persino chiuso la nostra missione a Washington, quando ero l’ambasciatore palestinese negli Stati Uniti.  Ma ci siamo rifiutati di essere costretti ad accettare un atto che fosse dannoso per la nostra causa e per i legittimi diritti del nostro popolo. Siamo rimasti in piedi a testa alta, nonostante le conseguenze e la pura e semplice pressione. Abbiamo fatto ciò che era giusto, non ciò che era facile.

E questi ultimi accordi sono in effetti un perfetto esempio di ciò che è stato sbagliato in tutti i precedenti tentativi di pace. Ancora una volta, Israele ottiene qualcosa in cambio di nulla. Israele non ha mai dovuto affrontare alcuna ripercussione per aver violato gli impegni assunti in base ai precedenti accordi o per aver trasgredito il diritto internazionale. Non c’è mai stato un bastone, e Israele non ha mai avuto problemi a prendere una carota solo per violare i termini degli accordi, come ha fatto con l’accordo di associazione UE-Israele.  Ora Netanyahu può vantarsi di accordi ‘pace per la pace’, un’altra carota senza bastone. Per i palestinesi, ‘pace per la pace’ significa semplicemente la continuazione dello status quo, più occupazione militare, più violenza e la continua negazione dei nostri diritti individuali e nazionali.  Vale anche la pena ricordare che nessun accordo e nessun numero di accordi di normalizzazione cambierà il contenuto del diritto internazionale, i principi fondamentali che stanno alla base di tale diritto o il fatto che noi, il popolo palestinese, siamo ancora qui, sulla nostra terra.  Rimaniamo fedeli ai principi del diritto internazionale di fronte all’apartheid israeliano e all’unilateralismo americano. Siamo soli? Noi, come comunità globale di Stati e nazioni, ci battiamo per un ordine globale basato su regole? O ce lo lasciamo sfuggire, per non affrontare Israele e i suoi sostenitori a Washington?  La pace – una vera pace, una pace da celebrare veramente – avverrà solo tra noi e Israele. E questo accadrà solo quando i palestinesi potranno finalmente godere dei nostri diritti, alla pari di ogni altra nazione sulla terra”.

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 Medio Oriente riconfigurato

Resta il fatto che gli “Accordi di Abramo” hanno “totalmente riconfigurato” gli equilibri del Medio Oriente, eliminando il “fulcro” del conflitto israelo-arabo-palestinese. A sostenerlo in una intervista  all’Adnkronos è Gilles Kepel, esperto di mondo arabo di fama mondiale e professore presso l’Università della Svizzera italiana di Lugano.

Secondo Kepel, autore del libro Uscire dal Caos. Le crisi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, nella regione si vanno delineando due alleanze ben distinte. Due Triplici le chiama. La prima è quella di “Abramo” con gli Usa ed alcuni Paesi europei, Israele e quegli Stati come Egitto e Giordania che hanno firmato la pace con Tel Aviv, “forse domani l’Iraq”. Dall’altra c’è una seconda Triplice “piuttosto ostile” alla prima che poggia sui Fratelli Musulmani nel mondo sunnita con Turchia e Qatar alleati dell’Iran. – “Il Medio Oriente – sostiene  Kepel – si riorganizzerà attraverso il confronto tra queste due alleanze nemiche, probabilmente con un conflitto non generale ma a bassa intensità” perché alcuni Paesi sono al tempo stesso rivali e nemici di altri.

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“Per esempio – spiega – la Turchia è più o meno alleata della Russia per la de-escalation a Idlib, nel nord-ovest della Siria, ma i due Paesi sono in conflitto aperto in Libia, con Mosca che sostiene Haftar e Ankara che appoggia Sarraj, che probabilmente sta andando via”. L’Iran e la Turchia, è un altro esempio, appoggiano fazioni rivali in Siria, ma sostengono Hamas e collaborano con il Qatar.

Cosa resta della questione palestinese

Secondo Kepel, gli “Accordi di Abramo” non cancellano “totalmente” la questione palestinese dai radar dei leader arabi, che – sottolinea – stanno molto attenti a trattare “con cautela” lo scottante dossier. “Come hanno spiegato i ministri degli Esteri di Bahrein ed Emirati a Washington, la base di una pace giusta sarebbe la soluzione con due Stati – afferma Kepel – Ma questa è solo cautela solo per non essere tacciati di tradimento dagli altri arabi. In realtà poi sono tre gli Stati: Israele, la Cisgiordania sotto l’autorità di Abbas e Gaza controllato da Hamas, con le fazioni palestinesi che non hanno relazioni”. In questa ottica, la questione palestinese potrebbe essere sfruttata dalla Triplice Turchia-Qatar-Iran “per mobilitare l’appoggio dei popoli della regione”.

C’è infine un altro elemento rivelante che, per Kepel, va tenuto in considerazione perché può avere un impatto importante sugli equilibri regionali ovvero la pandemia di Covid-19. Il coronavirus “ha colpito il Medio Oriente in modo enorme: Israele venerdì torna il lockdown totale e la situazione comincia ad essere drammatica negli altri Paesi perché i letti di ospedale non ci sono e la situazione è completamente bloccata. Con il crollo dei prezzi del petrolio e del gas naturale aspettiamoci crisi sociali terribili nel prossimo futuro”, avverte Kepel.

E le avvisaglie già si manifestano, a Tripoli, come a Tel Aviv, a Gaza come a Beirut, a Teheran come a Baghdad…

 

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