Negli Stati Uniti, a sei mesi dal suo omicidio, nessun poliziotto è stato arrestato o incriminato per aver ucciso l’afroamericana Breonna Taylor, e l’incriminazione di un solo agente, e con un’accusa minore di negligenza che non riguarda direttamente la morte della 26enne, ha riacceso la rabbia in diverse città americane. E sullo sfondo c’è il presidente Donald Trump che ha scatenato polemiche rifiutandosi di garantire una transizione pacifica del potere nel caso di sconfitta il prossimo 3 novembre. Nelle proteste a Louisville, la città del Kentucky in cui mori’ Breonna, almeno due poliziotti sono stati feriti da colpi d’arma da fuoco e ci sono stati almeno 46 arresti in una notte di proteste e scontri. Le autorita’ avevano imposto un coprifuoco notturno in previsione delle proteste, ma non è bastato. A scatenare la rabbia e’ stata la decisione del Gran Giuri’ di Louisville di non incriminare l’ex agente Brett Hankison per la morte della giovane afroamericana: il poliziotto, non piu’ in servizio, e’ stato accusato di condotta pericolosa per aver sparato alla cieca 10 colpi d’arma da fuoco nell’appartamento durante l’irruzione antidroga del 13 marzo, ma le imputazioni piu’ serie sono cadute. Per i pubblici ministeri Hankison e’ da portare a giudizio per condotta pericolosa perche’ i proiettili della sua arma da fuoco entrarono in un appartamento vicino all’interno del quale c’erano tre persone; ma non per la morte di Breonna. Altri due poliziotti, Jonathan Mattingly e Myles Cosgrove, anche loro chiamati in causa per la partecipazione all’operazione, non sono stati incriminati.
Le proteste, come era prevedibile, sono state immediate: del resto il caso, insieme a quello di George Floyd, e’ uno di quelli che da mesi infiamma le manifestazioni di Black Lives Matter. “Non c’è pace senza giustizia”, scandivano i manifestanti a Washington vicino alla piazza che e’ stata intitolata proprio al movimento. In centinaia si sono riuniti davanti al Barclays Center di Brooklyn, a New York, reclamando giustizia. Simili proteste sono state organizzate a Los Angeles, Philadelphia, Kansas City e Indianapolis. La notte del 13 marzo, Breonna era a letto con il suo fidanzato Kenneth Walker: guardava un film, quando sentì un botto provenire dalla porta dell’appartamento. Gli agenti, che erano in borghese, avevano ottenuto un mandato per perquisire l’abitazione perchè sospettavano che il suo ex Jamarcus Glover, uno spacciatore, la utilizzasse per farsi arrivare dei pacchi. Walker penso’ che si trattasse proprio dell’irruzione dell’ex fidanzato quando gli agenti bussarono alla porta; e -a sentire la sua denuncia- gli agenti non risposero alla sua domanda di “Chi e’?”. Allora il giovane prese la pistola legalmente registrata e sparò un colpo, ferendo un poliziotto alla coscia. A quel punto gli agenti risposero al fuoco, sparando oltre 20 proiettili e colpendo Breonna che a quel punto si era alzata dal letto. La balistica ha stabilito che a uccidere la 26enne e’ stato un proiettile sparato da Cosgrove ma ne’ lui ne’ l’altro agente sono stati accusati di omicidio o omicidio colposo come chiedevano i familiari della vittima. Nell’appartamento non fu trovata alcuna droga. E adesso si aprono gli scenari politici. Come ha spiegato il procuratore generale del Kentucky, il repubblicano Daniel Cameron, il primo afroamericano ad avere un simile incarico nello Stato, i poliziotti sono “giustificati” perche’ hanno sparato per “proteggersi” e questo “ci impedisce di perseguire accuse penali” nei loro confronti. “La giustizia della folla non e’ giustizia. La giustizia ricercata con la violenza non e’ giustizia. Diventa solo vendetta”, ha insistito. Parole che gli hanno valso il plauso di Trump che lo ha definito “una star” considerando che la giustizia “non e’ facile”. Anche il candidato democratico Joe Biden, ma ha esortato i manifestanti a “non macchiare” con violente proteste l’eredita’ di Breonna Taylor. Da Biden pero’ nessuna scusante: “Anche in mezzo al profondo dolore e rabbia che la decisione odierna ha generato, la violenza non e’ mai e non potrà mai essere la risposta. Chi ne e’ responsabile deve essere chiamato a risponderne”