Esperance, Oiza, Djarah: in Italia il Black lives Matter ha il loro volto. Storie di lotta e di riscatto
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Esperance, Oiza, Djarah: in Italia il Black lives Matter ha il loro volto. Storie di lotta e di riscatto

Storie di giovani donne italiane afrodiscendenti protagoniste del Black lives Matter nel nostro Paese. Una esperienza che hanno riportato a Ferrara, nel riuscitissimo festival di Internazionale

Esperance Ripanti
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Ottobre 2020 - 10.35


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Le loro sono storie di riscatto e di emancipazione, di rivendicazione di una diversità che arricchisce la comunità nazionale. Storia di orgoglio e di dolore, di rabbia e di speranza, di chi è riuscito a trasformare la paura in volontà positiva, sapendo   coniugare idealità e concretezza, protesta e proposta. 

Storie di giovani donne italiane afrodiscendenti protagoniste del Black lives Matter nel nostro Paese. Una esperienza che hanno riportato a Ferrara, nel riuscitissimo, come sempre, festival di Internazionale, un appuntamento immancabile, anche in un presente reso incerto dalla crisi pandemica, per i tanti, giovani e non, che sono “sincronizzati” con il mondo. Globalist ha rivolto alle tre attiviste le stesse domande, per offrire uno spaccato tra l’analisi e la testimonianza di una realtà che non conquista l’attenzione dei grandi media, ennesima dimostrazione del greve provincialismo che connota, con rare ma importanti eccezioni, la comunicazione del belpaese. Hanno molte cose da dire e lo fanno con un linguaggio chiaro, diretto, l’opposto del “politichese”. Non mirano ad una poltrona ma ad una società più giusta, inclusiva. Statene certi: faranno parlare di sé.

 

ESPERANCE H. RIPANTI

La tua storia è una storia di riscatto, quando hai deciso di usare la tua voce per dare la parola a una collettività? C’è stato un evento cardine che ti ha fatto prendere questa decisione? 

La mia storia è una storia che si mischia a quelle di altre vite tanto simili alla mia ma che non sono la mia. La racconto sempre come un’eccezione dell’eccezione, e proprio per questo ho sentito la necessità di narrarla nel momento in cui mi è sembrato ingiusto viverla con un sentimento simile alla paura. L’evento cardine che ha scatenato l’alzarsi della mia testa – e di conseguenza anche la mia voce – è stato l’attentato di Luca Traini del 3 febbraio 2018 a Macerata. Io e tutti gli afrodiscendenti (e non solo) italiani abbiamo provato una sensazione che ci ha congelati davanti alle televisioni e gli smartphone. Un sentimento che non dimenticherò mai che si è poi trascinato negli ultimi due anni di fatti di cronaca e decisioni politiche e sociali gravanti sulle vite di singoli che devono sopravvivere in una quotidianità che non li considera, non li tollera e non li rispetta. Avevo bisogno di ritrovare un motivo valido per credere nella mia dignità, per questo sono scesa in piazza, per questo ho scritto E poi basta, per questo ancora oggi cerco con la letteratura e i libri – ciò che mi tiene in vita, e che è diventato il mio lavoro – di raccontare e di mostrare come si può trasformare la paura in qualcosa di positivo, di forte.

Come hai percepito l’impatto del movimento BLM in Italia? Che impatto credi abbia avuto sull’opinione pubblica, sulle istituzioni e sui media?

Il movimento BLM a mio parere non esiste. Non è presente nelle fattezze in cui molti aspirano e che hanno tentato di perseguire negli ultimi mesi. A giugno, a seguito delle proteste per la morte di George Floyd, l’Italia ha vissuto un momento di ascolto grandissimo. Un’occasione potente per chi ha sempre vissuto il razzismo sulla sua pelle non ha mai avuto l’opportunità di farsi sentire. Una possibilità scemata immediatamente per la smania di voler seguire un modello americano molto diverso e molto distante dalla realtà italiana. Noi italiani abbiamo una storia particolare e complessa, e sarebbe importante e giusto ricominciare a studiare quella, a partire dai passi storici che ci portano ad oggi a vivere l’obbligo di decostruire il razzismo e la condizione discriminatoria a livello istituzionale attuale e imperterrita. Sarebbe bello sì, guardare all’America con l’entusiasmo adatto e la presa di coscienza che ci possano permettere di riportare una riflessione attuale e precisa della situazione nazionale. MI auguro che siano i prossimi passi necessari per una battaglia collettiva e necessaria.

 

OIZA QUEENSDAY

 

1) Innanzitutto la mia non è una storia di “riscatto” né mi sento portatrice della voce di una collettività. Anzi, credo che sia opportuno sottolineare che c’è una pluralità di voci nuove che stanno cercando di farsi ascoltare in questa realtà ancora chiusa di fronte a ciò che viene percepito come “diverso”. In realtà mi sono sempre interrogata sulla società che mi circonda, non c’è mai stato un evento particolare, ma se devo individuarne uno penso che nel momento in cui ho iniziato a studiare International Politics nel corso di Laurea Magistrale “Global Politics” all’Università degli Studi di Macerata, mi si è aperto un mondo di conoscenza che mi ha aiutato ad analizzare molti aspetti – a livello socio-economico e di diritti umani. Quest’ultimo è l’ambito di mio interesse e sto cercando di specializzami in questo campo, analizzando il razzismo sistemico nella mobilità internazionale (che è restrittiva per chi è del Sud del Mondo mentre non lo è per chi ha i passaporti del mondo Occidentale), nelle leggi italiane che costringono le persone a vivere nel limbo dell’irregolarità, come la legge Bossi-fini; nella creazione di frontiere e nello sfruttamento di donne e uomini migranti e nel trattamento dei richiedenti asilo nei centri di detenzione. 

 

2) A dire la verità mi ha stupito – in modo non del tutto positivo – il fatto che solo con un omicidio dall’altra parte dell’oceano ai danni di una persona afroamericana sia stata la scintilla che ha portato molte persone (soprattutto bianche) a rendersi conto del razzismo sistemico e strutturale della società in cui viviamo. Se da un lato mi ha fatto piacere che in molti e in molte siano scesi/e in piazza, dall’altro è anche vero che la questione è stata abbastanza accantonata subito dopo. Sembra quasi che si sia trattato dell’hashtag del momento, più che una presa di coscienza vera. Di fatto, non esiste neanche un movimento “Black lives matter” in Italia e le problematiche da analizzare in Italia e in Europa non possono essere trattate con lo stesso filtro degli Usa. Ci sono sicuramente dei punti in comune, ma mentre lì la storia dei neri è già stata assorbita  – anche grazie ad autori e autrici e attivisti afroamericani – qui siamo ancora all’ABC, una società in cui non è avvenuta neanche una decolonizzazione culturale ( si pensi alla banalizzazione della storia coloniale, agli stereotipi e pregiudizi sui corpi neri e altro ancora). Per quanto riguarda le istituzioni: vedo solo tanta retorica ma pochi fatti, c’è chi si è inginocchiato a palazzo Chigi per George Floyd; c’è chi ha firmato la risoluzione contro il razzismo al Parlamento Europeo, eppure la cooperazione con la guardia costiera Libica rimane; nascono nuovi Centri di Permanenza per il Rimpatrio a Milano (in via Corelli); niente ius soli, niente abolizione della Bossi-Fini. C’è moltissima strada da fare, una strada che nessuno ha nemmeno iniziato a percorrere. Il razzismo sistemico non è semplicemente “ignoranza” di qualche pazzo esaltato, è proprio un modo – fatto di leggi e strutture – di concepire la società, il mondo e i gruppi etnici.

 

Djarah Kan

 

1)Non ho mai pensato che la mia voce potesse dare “voce” a chi una voce già ce l’aveva. In Italia ci sono professionisti, scrittori e scrittrici, giornalisti e analisti la cui professionalità viene costantemente ignorata, anche e soprattutto per motivi razziali. Basta osservare il tenore dei dibattiti politici di questi anni che hanno sempre escluso in maniera del tutto deliberata e sistematica, attivisti ed esperti di tematiche come l’identità e la lotta al razzismo, che avrebbero di certo spezzato una narrazione tutta bianca e conservatrice sull’immigrazioni e sui diritti civili delle minoranze. Nel corso del tempo è stato naturale accompagnare alla scrittura, stralci di riflessioni sulla realtà sociale opprimente e così razzista in cui mi sentivo sbiadire, incapace di potermi riflettere in parole che non mi riducessero a definizione disumanizzanti come “l’immigrata” o la “nera”. E così ho scritto, per cercare un modo di raccontarmi e di raccontare quello che vedevo e che agli altri per ragioni diverse sfuggiva. E da allora non ho più smesso.

2) Una volta scrissi un articolo provocatorio in cui affermavo che l’empatia per George Floyd e il Black lives Matter erano durati il tempo di arrostire un gatto, in riferimento alla paradossale vicenda di un giovane richiedente asilo con problemi psichici che aveva cucinato il cadavere di un gatto morto, poco lontano dalla stazione di Capiglia Marittima. All’epoca dei fatti, scoprii con non poca sorpresa che era rimasto poco o niente delle parole di solidarietà e giustizia dedicate alle vite dei neri. Lessi invece parole violente ed estremamente razziste nei confronti di quel giovane con problemi psichici, venuto in Italia come portatore di una cultura arretrata, pericolosa e crudele. Poco dopo il Governo Italiano, che a suo tempo aveva condannato pubblicamente le orribili circostanze in cui George Floyd era stato ucciso, ha poi rinnovato i finanziamenti alla Guardia costiera libica, accusata da numerose inchieste, giornalisti ed attivisti di fama internazionale, di torturare e violentare i migranti che raggiungono la costa nella speranza di potersi imbarcare verso l’Europa. Al netto dell’attenzione mediatica che ha ricevuto il razzismo made in USA, quello italiano, perpetrato soprattutto nei confronti dei migranti che continuano ad essere respinti verso l’inferno libico, lasciati annegare nel Mediterraneo, o rinchiusi nei CPR, resta compatto, vivido e in perfetta forma, pronto all’uso, qualora si dovessero intravedere le prossime elezioni.

 

E’  iniziato ieri 3 ottobre il festival di internazionale a Ferrara che per questo anno avrà un format nuovo. Saranno, infatti, 7 i weekend che da ottobre a maggio animeranno la città estense con incontri, dibattiti, proiezioni e mostre. Al centro di questo primo weekend il tema delle disuguaglianze, dal Black lives matter a quelle economiche e sociali acuite dalla pandemia. Fra gli ospiti i fumettisti Joe Sacco e Zerocalcare, l’economista femminista Marcella Corsi, la politologa francese Virginie Raisson, il giornalista britannico Gary Younge, il reporter olandese Olivier van Beemen. E poi Paolo Giordano, Fabio Geda e i giornalisti della redazione di Internazionale. Confermato l’appuntamento con la rassegna di documentari Mondovisioni che quest’anno porterà in Italia 6 anteprime. Internazionale a Ferrara è organizzato dal settimanale Internazionale e dal Comune di Ferrara. Le attiviste italiane Djarah Kan; Oiza QueensDay Obasuyi; Espérance Hakuzwimana Ripanti sono state ospiti del festival ieri, sabato 3 ottobre 2020, per l’incontro Vite che contano – Il movimento Black lives matter in Italia e in Europa. Con loro sono intervenuti l’attivista francese Assa Traoré (in collegamento streaming), il giornalista Gary Younge e lo scrittore Abdourahman Waberi. 

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