Il popolo cileno ha risposto presente al referendum concesso lo scorso anno dal governo: con il 78% dei voti favorevoli è stata infatti spazzata via la Costituzione autoritaria approvata 30 anni fa dal generale e dittatore Augusto Pinochet.
L’affluenza ai seggi è stata pari al 50,83%.
Quasi 15 milioni di persone sono state chiamate a recarsi alle urne dal governo del presidente Sebastian Piñera, a conclusione di un anno burrascoso, dopo che il referendum era stato concesso dal Governo dopo le proteste dello scorso anno.
Con le piazze e le strade di Santiago e delle altre grandi città del Paese riempite quasi quotidianamente di manifestanti che hanno messo sotto accusa il modello economico e sociale cileno, e soprattutto la Costituzione che lo ispira.
Le forze dell’ordine, e in particolare i carabineros, hanno risposto alle proteste usando una durezza che ha fatto ricordare a molti l’energia repressiva della dittatura (1973-1990).
Il bilancio è stato di 36 morti e centinaia di feriti, fra cui 460 con danni oculari, fino alla cecità completa.
A riprova dei fatti, una decina di giorni fa Sergio Micco, presidente dell’Istituto nazionale per i diritti umani del Cile, ha presentato un rapporto in cui sono state censite ben 2.520 violazioni dei diritti umani compiute da polizia e militari.
I cittadini che si sono recati ai seggi, e che spesso hanno aspettato ore per poter depositare le schede nell’urna a causa anche dei rigidi protocolli anti-Covid, hanno trovato due quesiti.
Il primo riguardante la volontà di riformare il testo costituzionale (‘apruebo’) o di non farlo (‘rechazo’).
In subordine, invece, una domanda sul metodo di formazione dell’Assemblea costituente composta da 155 membri.
Dopo aver votato, il capo dello Stato ha formulato un pressante appello agli elettori a fare altrettanto, poi ha spiegato la decisione di non rivelare la sua scelta: “Nel mio Governo – ha ricordato – ci sono ministri che sono per l’approvazione e altri per il rigetto, ma tutti sono d’accordo che la giornata si svolga in modo da onorare la nostra tradizione democratica”