I migranti in Libia li lasciamo morire in mare o marcire nei lager
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I migranti in Libia li lasciamo morire in mare o marcire nei lager

L'alternativa del diavolo di cui l'Italia e l'Europa sono responsabili e l'Oim lancia un appello: "Azioni urgenti e concrete per porre fine al ciclo di ritorno e sfruttamento"

Migranti in un centro di detenzione in Libia
Migranti in un centro di detenzione in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Novembre 2020 - 15.52


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 Li facciamo annegare in mare o li lasciamo nelle mani della cosiddetta Guardia costiera libica, in combutta con i trafficanti di esseri umani. “Questa notte, 199 migranti, tra cui 28 donne e 31 bambini, sono stati riportati in Libia dalla Guardia costiera” libica.

Lo scrive su Twitter l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) sottolineando come “la Libia non sia un porto sicuro per il ritorno”.

“Ribadiamo il nostro appello alla comunità internazionale e all’Ue affinché intraprendano azioni urgenti e concrete per porre fine al ciclo di ritorno e sfruttamento”, scrive la portavoce di Un-Migration Safa Msheli sempre su Twitter.

Stragi continue

Nuovi, tragici, naufragi nelle acque del Mediterraneo. A sole 24 ore dal drammatico evento di ieri, costato la vita a sei persone tra cui un neonato, almeno 74 migranti sono morti annegati al largo delle coste libiche e in particolare al largo di Khums.

Secondo quanto reso noto dalla Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) l’imbarcazione affondata trasportava oltre 120 persone, tra cui donne e bambini. I 47 sopravvissuti sono stati portati a riva dalla Guardia Costiera libica e da pescatori, 31 corpi sono stati recuperati. Poi poco piuù tardi ancora vittime al largo della Libia: altri 20 migranti annegati. A faro sapere Medici senza Frontiere, aggiungendo che lo staff dell’organizzazione a Sorman, in Libia, sta assistendo tre donne che risultano essere le sole superstiti. Le tre donne, scrive in un tweet Msf, “sono state tratte in salvo da pescatori locali e sono attualmente in stato di shock e terrorizzate dopo avere visto i loro cari scomparire tra le onde e morire sotto i loro occhi”. Un bilancio altissimo in termini di vite umane di chi cerca di fuggire dalla Libia. Secondo Oim almeno “novecento persone sono annegate nel Mediterraneo cercando di raggiungere le coste europee, alcune a causa di ritardi nel salvataggio. Negli ultimi due giorni almeno 19 persone, inclusi due bambini, sono affogate dopo che due imbarcazioni si sono ribaltate nel Mediterraneo centrale”. Un bollettino di morte che però non sembra rallentare gli sbarchi in territorio italiano. Ieri sono stati due i barconi approdati in territorio italiano: uno con 86 persone a bordo è stato intercettato e bloccato dalle motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di finanza nelle acque antistanti a Lampedusa mentre una seconda imbarcazione, con circa 70 migranti di varia nazionalità a bordo, è riuscita ad arrivare direttamente a Cala Madonna. L’hotspot, nonostante gli sforzi per alleggerire le presenze con trasferimenti sulle navi quarantena e con traghetto di linea o motovedette, resta inevitabilmente sovraffollato. Ottanta minorenni hanno lasciato la struttura e sono stati imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle. Il trasferimento è stato possibile dopo l’esito negativo del tampone rapido anti-Covid e dopo che sono state eseguite le procedure di identificazione. Nella struttura d’accoglienza restano, al momento, oltre 600 ospiti. 

Nelle ultime 48 oresi sono registrati almeno quattro approdi con un totale di 193 persone. Intanto la salma di Joseph, il piccolo originario della Guinea deceduto ieri sotto lo sguardo disperato della madre, è stata trasferita nell’obitorio di Lampedusa in attesa della sepoltura. Il gommone a bordo del quale si trovava assieme ad altre cento persone ha ceduto in acque libiche ed ad intervenire per i primi soccorsi sono stati i volontari di Open Arms, l’unica nave umanitaria impegnata in questo momento nell’attività di ricerca e soccorso dei migranti che fuggono dalla Libia. Durante la notte un aereo e una motovedetta della Guardia costiera hanno effettuato un’evacuazione medica urgente per due donne, una delle quali in gravidanza, e per il neonato già morto. Altri tre migranti (un bimbo, la madre ed un uomo) del gruppo di naufraghi salvati dalla Ong che avevano urgente bisogno di ricovero sono stati portati a Malta. Sull’ennesima tragedia del mare è intervenuta anche l’Unicef Italia. “E’ una notizia che ci lascia sgomenti – afferma l’organizzazione internazionale -. Oggi sempre di più ribadiamo la necessità di garantire il diritto alla protezione e alla vita di ogni bambina e bambino senza alcune distinzioni e in qualsiasi luogo essi si trovino”.

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 Per Federico Soda, capo missione dell’Oim Libia “la perdita di vite umane nel Mediterraneo è una manifestazione dell’incapacità degli Stati di intraprendere un’azione decisiva per dispiegare un sistema di ricerca e soccorso quanto mai necessario in quella che è la rotta più mortale del mondo”.

L’Oim sostiene che la Libia non è un porto sicuro e ribadisce il suo invito alla comunità internazionale e all’Unione europea a intraprendere azioni urgenti e concrete affinché i migranti non vengano più riportati in questo paese. “Le continue restrizioni al lavoro delle Ong che conducono operazioni di soccorso devono essere immediatamente rimosse e i loro interventi devono essere riconosciuti quali attività che rispondono all”imperativo umanitario di salvare vite umane”.

Rimarca Nello Scavo, il giornalista di Avvenire che ha il merito professionale, ed etico, di aver continuato a raccontare  le stragi in mare e a rivelare connubi inquietanti che investono l’Italia: “Più che in mare i problemi sono sulla terraferma – scrive Scavo –  Lo ha ricordato alcuni giorni fa la Procura presso la Corte penale internazionale dell’Aja, che aveva confermato il ritorno sulla scena di alcuni grandi trafficanti di persone, petrolio e droga. L’arresto di Bija, il controverso comandante–trafficante della Guardia costiera di Zawyah, non ha interrotto il business. Al contrario, torna a crescere la pressione sull’Europa e in particolare sull’Italia, ricattata dalle milizie libiche che proseguono nei loro crimini sotto gli occhi di tutti. Continuano a essere acquistate grandi quantità di motori fuoribordo di fabbricazione cinese, recapitati alla filiera del traffico di persone insieme ai gonfiabili scuri che una volta caricati di persone e carburante è impossibile non vedere. La cosiddetta Guardia costiera libica (in realtà si tratta di diverse polizie marittime che rispondono a gerarchie non di rado in conflitto tra loro) continua nella messinscena. Ogni 3 migranti intercettati, uno viene lasciato andare. Un modo per ottemperare agli impegni presi con Italia e Ue, e intanto lasciare che gli affari sporchi proseguano indisturbati. I mezzi navali donati dagli ultimi tre governi di Roma sono oramai una ventina. Per non dire della pioggia di fondi alle “municipalità”, a loro volta guidate dai boss delle milizie claniche.
E’ sufficiente guardare ai soli numeri degli ultimi 45 giorni, forniti dalle agenzie Onu. Dall’inizio di ottobre circa 1.900 migranti sono stati intercettati in mare e riportati nei campi di prigionia libici, dove secondo gli investigatori Onu non cessano gli “indicibili orrori” a danno di migranti e profughi. L’altra faccia dei numeri sono le 780 persone “sfuggite” ai pattugliatori libici. 

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E questo nelle stesse settimane in cui le motovedette “Made in Italy” sono controllate dagli “addestratori” turchi che di fatto adoperano i flussi migratori come parte del negoziato internazionale.
Le stragi, perciò, non sono un effetto collaterale – sottolinea Scavo –  ma la partitura di un ricatto: nella tarda serata di mercoledì si è appreso di un altro gommone con 70 persone, tra cui 3 bambini piccoli, alla deriva nelle acque di competenza maltese. E oggi un gommone si è capovolto dopo essere salpato dalle coste libiche e ancora non si conosce il bilancio del naufragio. Ancora una volta la flotta di sorveglianza libica non ha visto nulla”.

Contro la “globalizzazione dell’indifferenza”

In prima linea nella difesa dei più indifesi è da sempre Monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo. In una bella intervista a Benedetta Capelli di VaticanNews, afferma: “C’è un proverbio siciliano che dice: ‘Occhio che non vede, cuore che non si addolora’. Questa volta abbiamo visto e abbiamo visto tutti, ma ho il timore che i cuori siano rimasti allo stato di durezza nel quale si trovavano. A me ha provocato angoscia il grido di quella mamma (ndr. La mamma di Joseph, il bimbo di sei mesi annegato). Mi ha richiamato il grido biblico di Rachele che urla il suo dolore e non vuole essere consolata perché il figlio non le sarà più dato. Ecco questa è un’immagine, credo esemplare, in questo momento. Di fronte a tanto dolore, noi restiamo tutti indifferenti, è una pagina di cronaca che prima la archiviamo e meglio è per tutti: questo è il pensiero di quelli che vogliono scaricare la propria coscienza, la propria responsabilità. Io qui da pastore dico che non possiamo voltarci dall’altro lato, prendo in prestito le parole di Papa Francesco, è la globalizzazione dell’indifferenza. Quanto sono attuali ancora oggi le parole del Papa a Lampedusa nell’ottobre del 2013. Quello che succede ci lascia assolutamente freddi e distaccati. C’è soltanto la Open Arms, nessuno si muove e la gente continua a morire e che non si dica che i migranti debbono stare dalle loro parti, perché così siamo in pace noi e sono in pace loro. Come facciamo a stare in pace di fronte a questa ecatombe che quotidianamente insanguina il Mediterraneo? Il nostro cuore piange però noi possiamo soltanto alzare la voce di fronte a una indifferenza generalizzata del mondo della politica, oltre che della cultura e purtroppo, ahimé, anche di tanti nostri fratelli nella fede”.

Quello del vescovo di Mazara del Vallo è anche un potente j’accuse rivolto all’Europa e all’Italia: “Chi ritorna in Libia è condannato a morte o perché viene rispedito nel deserto da cui è venuto oppure perché muore per stenti o per violenze varie, quindi non illudiamoci che il rimpatrio in Libia sia una scelta di civiltà, è una scelta omicida. E’ chiaro che nei confronti della Libia in questo momento non c’è nessuno che sia in grado di avere la voce forte per condurre un tavolo di trattativa, su tutti i versanti. Noi stiamo pagando, probabilmente con i 18 marittimi prigionieri a Bengasi, il mancato riconoscimento internazionale delle Milizie del generale Haftar. Se Egitto, Arabia Saudita, Stati Uniti, Francia, che sono potenze che hanno l’influenza nel territorio mediorientale e nordafricana, non scelgono la via della persuasione con tutti i mezzi nei confronti dei libici, questa situazione di incertezza e di morte è destinata a durare”.

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Dalla denuncia, all’appello: “L’appello è all’umanità – conclude l’intervista Mogavero –  Quando ti muore un fratello o una madre o una sorella o un figlio nessuno resta indifferente. Non lo è per noi di fronte a questi morti, che sono persone che ci appartengono, sono la nostra stessa carne anche se hanno un colore della pelle diverso e hanno un’origine diversa ma restano nostri fratelli. Come il nostro cuore non si può commuovere di fronte a tanta tragedia? Allora c’è il problema della soluzione immediata dell’accoglienza, ma c’è il problema grande del fenomeno migratorio, che non è iniziato ieri e non finirà domani, e che deve essere affrontato a livello internazionale, con una concertazione politica, economica e culturale tra le nazioni e tra coloro che, nelle istituzioni internazionali, hanno la possibilità di orientare la riflessione e anche le scelte politiche e diplomatiche”.

Intanto, dopo aver annunciato ieri sera il raggiungimento dell’accordo tra le parti per tenere elezioni parlamentari e presidenziali il 24 dicembre 2021 (Giorno dell’Indipendenza in Libia), l’inviata Onu, Stephanie Williams, ha ribadito in una conferenza stampa online che la tabella di marcia concordata a Tunisi per la fase preliminare verso le elezioni nazionali “fornisce un chiaro percorso per uscire dalla crisi attuale e la via verso elezioni credibili, democratiche e inclusive”. 
 “Arrivare alle elezioni richiede però un nuovo esecutivo per unificare il paese. Ciò significa l’istituzione di un Consiglio di Presidenza riformato e di un governo di unità nazionale efficace e unificato, come delineato nelle conclusioni della Conferenza di Berlino”, ha detto Williams. “I partecipanti a Tunisi, con il sostegno dell’Unsmil, hanno iniziato a definire i termini di riferimento per il Consiglio di Presidenza riformato e il Governo di unità nazionale, che sarà guidato da un Primo ministro separato e a definire anche i criteri di ammissibilità e il meccanismo di selezione per queste nuove posizioni esecutive”. Vorrei davvero chiarire che non esiste un elenco di nomi e né la Missione né i nostri partner internazionali suggeriranno o imporranno nomi specifici” ha precisato Williams, sottolineando di fare il massimo “per coinvolgere maggiormente tutti coloro che si sentono non sufficientemente coinvolti e desiderano impegnarsi in modo costruttivo con noi”. 

Tradotto dal “diplomatichese”: bisogna mettere d’accordo e conciliare gli interessi dei signori della guerra, capi tribù, milizie e dei  loro sponsor esterni (Turchia, Qatar, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia, Francia e altri ancora). Una quadratura del cerchio che, se riuscisse, avrebbe del miracoloso. Nel frattempo, una cosa è certa: nel Mediterraneo si continua a morire, e i  lager libici sono ancora in funzione.  

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