Pompeo, ultimo brindisi all'apartheid israeliano
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Pompeo, ultimo brindisi all'apartheid israeliano

Non c’è un atto nei quattro anni di Trump alla Casa Bianca che, in Medio Oriente, non abbia avallato, sostenuto, incoraggiato, coperto, e finanziato le politiche oltranziste della destra israeliana.

Mike Pompeo e Netanyahu
Mike Pompeo e Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Novembre 2020 - 13.52


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Pompeo, ultimo brindisi all’apartheid. Che la presidenza Trump, ormai con le settimane contate, sia stata la più tenace sostenitrice del colonialismo israeliano, è cosa risaputa. Non c’è un atto nei quattro anni di Trump alla Casa Bianca che, in Medio Oriente, non abbia avallato, sostenuto, incoraggiato, coperto, e finanziato le politiche oltranziste della destra israeliana. Ora siamo all’epilogo di questa storia. Un epilogo degno dei suoi protagonisti.

A darne conto, con uno scritto su Haaretz, che Globalist rilancia in Italia, è l’icona vivente del giornalismo progressista israeliano: Gideon Levy.

“ Brindiamo con un brindisi di Psagot alla vita del Segretario di Stato americano Mike Pompeo, che questa settimana visiterà – che ci crediate o no – un’azienda vinicola. Il vino Pompeo è stato venduto in questa cantina per un anno – è un blend di Cabernet Sauvignon, Shiraz e Merlot, con un’etichetta che porta il suo nome, come regalo in onore della sua dichiarazione che l’impresa di insediamento non viola la legge internazionale. Se Pompeo fosse stato segretario di Stato a metà del XX secolo, sarebbe stato molto probabilmente felice di essere ospite di una cantina in Sudafrica, dove avrebbe potuto alzare un bicchiere di Shiraz in onore dei suoi ospiti, determinando che l’apartheid del Sudafrica è un sistema giusto che non viola il diritto internazionale. Pompeo concluderà ora il suo mandato con un viaggio nella cantina dei ladri situata nel cuore di un’altra località dell’apartheid, e il processo di imbiancatura degli insediamenti raggiungerà un altro nadir internazionale. Al posto dei diplomatici americani che non mettono piede oltre la Green Line del 1967, abbiamo un segretario di Stato a Psagot. Non c’è niente di meglio di una visita alla cantina Psagot – che si è recentemente trasferita nella zona industriale di Sha’ar Binyamin, e che appartiene ai magnati ebrei della Florida – per dare un saluto all’apartheid israeliano. Non c’è vino più abominevole di questo marcio. Alla sua salute, Segretario di Stato. Prenda ancora un po’ di questo vino rubato che porta il suo nome. Forse, visto che arrivate direttamente da Parigi, riuscirete almeno a distinguere il vino francese da quello dei coloni.

Famoso, come il suo presidente, per il suo senso della giustizia, Pompeo arriverà in quel quartiere criminale con al centro una cantina, per esprimere la sua identificazione con gli espropriatori e sputare in faccia alle loro vittime. Pompeo incontrerà l’amministratore delegato dell’azienda, Yaakov Berg, che gli parlerà con il solito pathos da colono. Non sentirà una parola sulle due sorelle Amal e Keinat Quran, proprietarie del lotto 233 del blocco 217, sul quale Berg ha incautamente allestito la sua fattoria privata in stile toscano, che comprende una piscina e un parcheggio per le auto dei collezionisti di vino. I vigneti circostanti, descritti sul sito web dell’azienda come situati ‘a nord di Gerusalemme’, sono stati piantati sulle terre del Corano Huriya e di altri palestinesi. Così, uno dei più spregevoli e bassi atti di espropriazione negli annali del sionismo, che ha iniziato questa espropriazione nei suoi primi giorni, sarà benedetto con lode e riconoscimento da parte dell’amministrazione statunitense. Brindiamo ancora una volta a Pompeo. Mentre l’Europa inciampa incoerentemente sulla minuscola, quasi patetica e ovvia fase di etichettatura dei prodotti realizzati negli insediamenti, che Berg ha paragonato a un ‘distintivo a stella gialla’, l’amministrazione statunitense uscente lo dice a Israele: Il tuo crimine ha dato i suoi frutti. Il leader del mondo libero lo riconosce. La prossima amministrazione non visiterà la cantina Psagot e non assaggerà i suoi vini, ma non alzerà un dito per fare pressione su Israele affinché restituisca la terra ai legittimi proprietari. Pompeo non vedrà nulla. I suoi padroni di casa lo condurranno in giro usando la loro solita propaganda ingannevole e mendace. Sentirà parlare del ‘terrore’, della Bibbia e della sicurezza dei coloni, non una parola sulla sicurezza dei nativi palestinesi, le cui vite sono a maggior rischio, niente sulle fonti della giusta opposizione all’occupazione. Sentirà parlare molto dei nuovi pionieri, aiutati dagli evangelici del suo Paese che aiutano a raccogliere l’uva, ma nulla degli ulivi bruciati e sradicati tutt’intorno, del rapimento notturno di persone innocenti da parte dell’esercito israeliano, delle detenzioni politiche o amministrative, dell’oppressione e della brutalità di una tirannia militare che governa tutto al di fuori della cantina. Anche se avesse sentito tutto questo, è dubbio che gli avrebbe toccato il cuore; l’amministrazione Trump non ha mai mostrato alcun interesse per i deboli. Per fortuna, questa amministrazione sta uscendo e Pompeo è importante quanto un’anatra morta. Eppure, la sua visita alla cantina Psagot sarà ricordata con vergogna. Forse non c’è niente di male in una cantina che si trova su un terreno rubato, purché il suo terroir sia eccellente e la sua astringenza come dovrebbe essere? Dopotutto, che differenza c’è tra chi visita un’azienda vinicola di coloni e chi arma e finanzia Israele in modo che possa proteggere l’azienda vinicola e l’intera impresa di espropriazione che la circonda? Alziamo dunque un altro bicchiere di vino Psagot alla vita di Pompeo. Probabilmente lo troverà piacevole”.

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Così Gideon Levy. Con la sua chirurgica ironia, ha riproposto un tema quanto mai attuale: il boicottaggio dei prodotti realizzati nelle gli insediamenti israeliani. Insediamenti illegali per il diritto internazionale e per le risoluzioni Onu, in quanto edificati in Territori occupati. Quei prodotti sono realizzati su terre agricole confiscate ai palestinesi, usando acqua negata alla popolazione palestinese. Ma di tutto ciò il ministro degli Esteri italiano fa finta di non sapere. Una riprova è la visita, mediaticamente fallimentare, che Luigi Di Maio ha compiuto il 29 e 30 ottobre scorsi in Israele e a Ramallah. 

Di Maio lo smemorato e la campagna BDS

Durante la sua visita, scarsamente coperta dai media sia italiani che israeliani, il titolare della Farnesina –  ricorda in un comunicato BDS Italia * – ha sottoscritto e rinnovato accordi con Israele di cooperazione commerciale e di ricerca in settori strategici, inclusa la ricerca “scientifica”. Secondo Di Maio l’obiettivo è “accrescere il nostro interscambio commerciale, rafforzare la cooperazione nei settori più innovativi e incoraggiare le nostre imprese ad essere più presenti sul mercato israeliano”. Mostrando una preoccupante non conoscenza della realtà politica medio orientale, il ministro ha ribadito l’importanza degli “Accordi di Abramo”, siglati da Israele con alcuni paesi arabi (UAE, Bahrein e Sudan) con l’obiettivo di rafforzare l’alleanza militare contro l’Iran e indebolire il sostegno alla causa palestinese, affermando che ‘la loro firma, è un contributo positivo verso la pace e la stabilità in Medio Oriente’, in quanto “questa normalizzazione contribuirà a creare nell’area condizioni di stabilità, dialogo e sviluppo condiviso favorevoli al riavvio di negoziati diretti tra israeliani e palestinesi con la prospettiva di una soluzione a due Stati giusta, sostenibile e praticabile’. Tali dichiarazioni sono in linea con la presa di posizione benevola nei confronti del cosiddetto ‘Accordo del Secolo’ di Trump che Di Maio definì ‘uno sforzo per la pace’, ignorando il fatto che fosse stato elaborato alle spalle del popolo palestinese e della sua rappresentanza politica e aprisse la strada al riconoscimento formale della annessione di fatto da parte di Israele di larghe porzioni di territorio palestinese che continua da decenni.

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Di Maio, che nel 2016, prima delle elezioni politiche, si professava convinto sostenitore dei palestinesi e addirittura promise il riconoscimento dello Stato di Palestina quando il M5S sarebbe arrivato al governo, in occasione della visita ha accuratamente evitato di parlare delle violazioni israeliane dei diritti umani e del diritto internazionale nei confronti dei palestinesi. Ha però  ‘esortato la parte palestinese ad accelerare sul percorso di pace’, che significa implicitamente l’accettazione del piano Trump.

Di Maio ha confermato ancora una volta la politica di complicità dell’Italia nei confronti del regime israeliano di occupazione militare, colonizzazione e apartheid, anteponendo accordi commerciali e di cooperazione militare e nel settore della sicurezza al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale.

BDS Italia rilancia l’appello della società civile palestinese per sanzioni mirate immediate, incluso un embargo militare, contro l’annessione e l’apartheid, e invita a rafforzare le campagne BDS verso Israele fino a quando continueranno le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale nei confronti dei palestinesi”.

*BDS Italia è un movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro l’occupazione e l’apartheid israeliane, costituito da associazioni e gruppi in tutta Italia che hanno aderito all’appello della società civile palestinese del 2005 e promuovono campagne e iniziative BDS a livello nazionale e locale. Il movimento BDS sostiene la parità di diritti per tutte e tutti e perciò si oppone ad ogni forma di razzismo, fascismo, sessismo, antisemitismo, islamofobia, discriminazione etnica e religiosa.

Black list

Da Airbnb a Bookoing, da Expedia Group a Motorola Solutions, sono solo alcune delle 112 aziende – alcune delle quali fra i giganti dell’e-commerce – che – secondo le Nazioni Unite – svolgono attività illegali nelle colonie israeliane in Cisgiordania. La lista è contenuta in un rapporto presentato iil 13 febbraio scorso da Michelle Bachelet, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr).  Lo studio è partito nel 2016 su iniziativa del Consiglio Onu per i diritti umani, il quale ha dato mandato all’Ohchr di fornire un database di compagnie coinvolte in specifiche attività legate agli insediamenti. Ciò comprende: fornitura di attrezzature e materiali che facilitano l’espansione degli insediamenti e la barriera in Cisgiordania; fornitura di attrezzature per la demolizione di proprietà private e abitazioni palestinesi, fattorie, serre, oliveti, colture; fornitura di attrezzi e servizi per la manutenzione degli insediamenti; operazioni bancarie e finanziarie he aiutano a mantenere o sviluppare gli insediamenti, compresi i prestiti per l’edilizia.

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Minorenni sfruttati

Come sottolinea un recente rapporto di Human Rights Watch, la nota organizzazione internazionale impegnata per i diritti umani, le colonie prosperano grazie al lavoro sottopagato dei palestinesi e al lavoro minorile. A questo si sommano ulteriori illegalità: le colonie israeliane sono costruite in Cisgiordania, occupata in violazione del diritto internazionale. In merito invece alla consuetudine di utilizzare lavoro minorile riportiamo un breve passaggio tratto dalle interviste di Hrw: la maggior parte dei bambini intervistati afferma di lavorare con i pesticidi. “Non sanno molto delle sostanze chimiche che trattano, ma degli effetti sì. Soffrono di giramenti di testa, nausea, irritazioni agli occhi ed eruzioni cutanee”.

I ragazzi che lavorano nei vigneti dove si usa il pesticida Alzodef, vietato in Europa dal 2008, si riconoscono dalle desquamazioni dell’epidermide. I bambini palestinesi lavorano 6-7 giorni alla settimana, per 8 ore al giorno, anche nelle serre a temperature che si avvicinano ai 50 gradi. Portano carichi pesanti e usano macchine pericolose.  Secondo uno studio del 2014 sugli infortuni tra i minori palestinesi che lavorano il 79% aveva subito un infortunio sul lavoro nei precedenti 12 mesi. E tutto questo per una paga di meno della metà di quella minima garantita dalla legge israeliana e senza assicurazione sanitaria e altri benefit, assicurando così maggiori guadagni alle aziende agricole delle colonie.

È stato stimato che circa l’80% dei rifiuti prodotti dalle colonie israeliane viene scaricato in Cisgiordania. Si sa che anche diverse industrie israeliane e l’esercito scaricano rifiuti tossici in terreni oggi palestinesi. Inoltre negli ultimi anni Israele ha sistematicamente trasferito fabbriche inquinanti in Cisgiordania, per allontanare I palestinesi residenti, e creare lì un polo industriale. Lo ha fatto costruendo cosiddette “aree industriali”, che non solo utilizzano manodopera palestinese a buon mercato, ma rilasciano le loro scorie tossiche nell’ambiente. Israele ha anche proseguito la sua decennale pratica di sradicare gli ulivi e gli alberi da frutto palestinesi, questa strategia, mirata a recidere il legame dei palestinesi con la loro terra, ha provocato non solo la perdita delle risorse vitali per migliaia di agricoltori palestinesi, ma anche l’erosione del suolo e l’accelerazione della desertificazione di zone della Palestina occupata.

E Pompeo brinda. 

 

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