di Marco Santopadre
La sua colpa era stata quella di aver pubblicato una documentata inchiesta che dimostrava il sostegno militare e logistico del regime di Erdogan ai jihadisti dello Stato Islamico attraverso la cosiddetta “autostrada della jihad” che dalle retrovie turche portava migliaia di fondamentalisti islamici in Siria. Can Dündar riuscì a pubblicare le immagini di alcuni camion gestiti dai servizi segreti turchi – il Mit – che passavano la frontiera con la Siria carichi di armi, anche pesanti, destinate ai combattenti dell’Isis, utilizzati dal “sultano” di Ankara per tentare di rovesciare il governo di Bashar al Assad e per massacrare le milizie curde che proteggevano a caro prezzo i territori del Rojava. Quella e altre inchieste rivelarono non solo che l’intelligence turca riforniva i tagliagole islamisti di armi, ma che all’interno della Turchia erano attivi numerosi campi di addestramento, veri e propri uffici di reclutamento e luoghi dove i jihadisti potevano rifugiarsi indisturbati.
La preziosa testimonianza fece il giro del mondo, resa possibile dal sequestro dei camion carichi di armi da parte di alcuni agenti della polizia di frontiera (che poi furono addirittura messi sotto accusa ed espulsi).
Ma da quel momento il direttore di Cumhuriyet è entrato nel mirino della vendetta degli apparati del governo. D’altronde dopo la pubblicazione dello scoop, il presidente Erdogan aveva pubblicamente minacciato Dündar di ritorsioni, affermando che avrebbe “pagato il suo gesto a caro prezzo”.
Oggi il giornalista è stato condannato da un tribunale di Istanbul a ben 27 anni di carcere, ritenuto colpevole di “rivelazione di informazioni riservate a scopo di spionaggio” e di “sostegno ad una organizzazione terroristica”, nella fattispecie quella che secondo Ankara sarebbe guidata dall’imam e imprenditore Fethullah Gulen, ex mentore di Erdogan e poi divenuto suo acerrimo nemico, accusato di essere l’ideatore del fallito colpo di stato del luglio 2016. I giornalisti finiti nel mirino della repressione sono accusati di aver fabbricato notizie false attraverso informazioni ricevute dall’organizzazione di Gülen, allo scopo di screditare la Turchia.
Quella inferta a Can Dündar è però una condanna in contumacia, visto che dopo esser stato scarcerato per decisione della Corte Costituzionale turca, che riscontrò una violazione della libertà di stampa e del diritto alla difesa, Dündar nel 2016 riuscì a fuggire e a rifugiarsi in Germania. Lo scorso ottobre un altro tribunale gli aveva confiscato comunque tutti i beni e i conti bancari. L’avvocato difensore non ha assistito alla lettura della sentenza perché, come ha spiegato, non ha “voluto concedere legittimità a una sentenza politica e decisa a tavolino”.
La sentenza di oggi segue di poche ore quella emessa il 21 dicembre dal tribunale di Diyarbakir contro l’ex deputata del partito di sinistra Hdp Leyla Guven. L’attivista curda dovrà scontare 22 anni di carcere perché ritenuta colpevole di “appartenenza a organizzazione terroristica” (ovviamente al PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e “propaganda terroristica”. A giugno Leyla Guven era stata sospesa dal suo incarico parlamentare e privata della sua immunità e poi arrestata. Già in passato la 56enne dirigente politica della sinistra curda aveva subito arresti e lunghi periodi di carcerazione e poi, nel 2019, aveva condotto un lunghissimo sciopero della fame.