Assaltare il parlamento: i fascisti di Capitol Hill fanno proseliti in Israele e in Europa
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Assaltare il parlamento: i fascisti di Capitol Hill fanno proseliti in Israele e in Europa

Un sondaggio condotto tra i coloni della Cisgiordania su chi avrebbero scelto tra Trump e Biden ha rilevato che tutti i 1500 intervistati si sono dichiarati a favore dell'estremista di destra

Bandiera trumpiana
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8 Gennaio 2021 - 15.44


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Se c’è un Paese in cui i fanatici trumpiani che hanno dato l’assalto a Capitol Hill, godono di un grande credito tra le frange estreme di una destra che concepisce la democrazia come impedimento e gli avversari come nemici da abbattere, questo Paese è Israele. Un sondaggio condotto tra i coloni della Cisgiordania su chi avrebbero scelto, se avessero potuto votare, tra Trump e Biden (che pure quanto a simpatie pro-Israele non scherza), gli irriducibili di Eretz Israel, non hanno avuto dubbio alcuno: tutti, ma proprio tutti (ed era un campione di 1500 intervistati) si sono dichiarati pro-Trump.

E come i loro pari americani, anche gli zeloti israeliani hanno raccolto l’incitamento del Trump di Tel Aviv, Benjamin Netanyahu, a scendere in strada contro il “golpe legale” di cui si sarebbero macchiati, secondo il premier israeliano, magistrati e poliziotti che avevano osato indagare su di lui e rinviarlo a giudizio per gravi reati di corruzione e abuso di potere. 

Non solo. Sempre sobillati dal loro vate, le frange più estreme del movimento dei coloni, unite a quelle degli ultrà del Beitar Jerusalem, la squadra per cui fa il tifo Netanyahu, noti per le loro simpatie per l’estrema destra (fischiarono nel minuto di silenzio in memoria di Yitzhak Rabin, il primo ministro laburista assassinato da un estremista di destra israeliano), protagonisti di assalti squadristici contro i dimostranti che manifestavano pacificamente contro Netanyahu per la conduzione irresponsabile della “guerra” al Covid-19.

Modello da replicare

Basta scorrere i messaggi che riempiono i social frequentati dall’estrema destra, o anche solo i commenti postati ad articoli di giornali che criticavano la legittimazione offerta da Trump ai sostenitori estremi e armati di “America first”, per cogliere la portata di un pericolo latente che va oltre i confini degli States. Gli assalitori di Capitol Hill vengono considerati degli “eroi”, dei “veri patrioti”, che hanno avuto il coraggio di battersi contro coloro che stavano scippando la vittoria presidenziale al loro presidente. Mancava solo il riferimento al complotto delle plutocrazie giudaiche, ma questo francamente era un po’ troppo…Per il resto, l’assonanza è totale. 

Guai a considerare queste frange come marginali, una escrescenza tumorale innestata sul corpo sano del sistema democratico, facile da estirpare. Non è così. E non lo è in America come in Israele.

Scriva in proposito Amos Harel, firma di punta di Haaretz: “Il diluvio quotidiano di notizie sul coronavirus è stato messo da parte mercoledì sera dalle incredibili scene di Washington. Quello che all’inizio sembrava un altro gruppo di cospiratori fuori dalla Casa Bianca è diventato, dopo il discorso del presidente Donald Trump, un assalto di tipo Bastiglia al Campidoglio. Una preparazione insufficiente e fallita da parte delle forze di sicurezza, nonostante la delicata tempistica della ratifica dei risultati delle elezioni presidenziali, ha permesso a centinaia di rivoltosi di irrompere nell’edificio, di fermare il corretto funzionamento del governo americano e di minacciare la sicurezza dei parlamentari eletti. Le immagini bizzarre (un dimostrante vestito da bufalo, un neo-nazista con indosso una maglietta del “Campo di Auschwitz”) non dovrebbero offuscare la gravità dell’evento. Cinque persone sono state uccise, tra cui una donna colpita da un colpo di pistola all’interno dell’edificio. Peggio ancora, forse, si è trattato di un chiaro tentativo, con l’incoraggiamento diretto del presidente uscente, di compiere un colpo di stato che avrebbe ostacolato l’ordinato trasferimento del potere al partito del candidato vincitore delle elezioni. Trump ha mandato la folla a Capitol Hill nel momento in cui gli è apparso chiaro che il suo vice presidente, Mike Pence, si era finalmente liberato dalla sua presa e non intendeva collaborare all’ultima manovra per cambiare i risultati.

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La scena della folla che irrompe nell’edificio, con insopportabile facilità, è in larga misura un risultato inevitabile dell’era di Trump, un presidente la cui condotta è peggiorata nel corso dei suoi quattro anni di mandato, e ha raggiunto un minimo storico da quando ha perso le elezioni. Questo è il significato di mantenere alla Casa Bianca un piromane, un narcisista estremista e infantile il cui ego non gli permetterà mai di riconoscere la sua sconfitta elettorale. 

Il flirt con idee fasciste

“Trump – prosegue Harel – ha flirtato con idee fasciste e movimenti razzisti che credono nella supremazia bianca lungo tutta la sua traiettoria politica. L’establishment repubblicano, compresi la maggior parte dei senatori e dei membri della Camera dei Rappresentanti, lo ha appoggiato in questo, sia perché non hanno osato opporsi a lui, sia perché hanno goduto dei benefici politici che il presidente ha prodotto per loro. I leader del partito sono stati esposti per la maggior parte come privi di coscienza e di prospettiva. I social network, fino al tardivo smettere di bere su Twitter alla vigilia delle elezioni, hanno collaborato. Tutto questo è accaduto in un momento in cui migliaia di americani continuano ad ammalarsi e a morire a causa del coronavirus, senza che il loro presidente abbia manifestato il minimo interesse per loro. Mercoledì, al momento dell’invasione del Campidoglio, è stato battuto un nuovo record con la notizia dei morti del giorno precedente: più di 4.000, in un solo giorno. Trump, crogiolandosi nei suoi sentimenti feriti fin dalla perdita delle elezioni, non ha alzato un dito per accelerare la campagna di vaccinazione o imporre misure di distanziamento sociale.

Le scene di violenza in Campidoglio hanno permesso ai leader di altri Paesi di mordere la lingua. Per alcuni, la dimostrazione della follia americana fornisce una giustificazione tardiva per le ingiustizie commesse contro i propri cittadini e per l’impurità delle elezioni nei propri Paesi. Altri, e certamente tra questi i leader di Cina e Russia, sono molto soddisfatti della spaccatura interna degli Stati Uniti e presumono che accelererà il declino dello status del Paese nella competizione tra le maggiori potenze. 

Durante la notte, dalle capitali mondiali sono cominciate ad arrivare dichiarazioni di condanna e di shock. Il primo ministro britannico Boris Johnson, un alleato ideologico di Trump sotto molti aspetti, è stato rapido a condannare l’assalto. Netanyahu, un altro partner, ha tardato fino alle ore del mattino di giovedì, così come ha tardato a congratularsi con Joe Biden per la sua vittoria alle elezioni. Questa è la diretta continuazione dell’atteggiamento cinico di Netanyahu nei confronti di Trump, l’uomo che ha incoronato in ogni occasione come il presidente americano più amichevole e benefico verso Israele, in assoluto. Le esclamazioni di shock tardive che si sentono ora in alcune parti della destra israeliana (mentre una manciata di devoti benestanti si aggrappano ancora al sostegno di Trump), non dovrebbero impressionare nessuno più dell’autoflagellazione dei leader repubblicani. Netanyahu e i suoi ministri sapevano esattamente con chi avevano a che fare. Alcuni ministri, in conversazioni private, hanno ammesso che è un sociopatico, ma sono stati felici di spremere da quel limone tutto quello che potevano. In cambio, hanno riversato sul presidente tonnellate di lusinghe. Ramat Trump nelle alture del Golan è una cittadina fittizia il cui segno sarà senza dubbio presto rimosso (in ogni caso, alcune lettere sono già cadute), ma il fatto è che nessun altro Paese ha mai fatto un gesto simile al presidente. Resta da vedere se Biden e la nuova amministrazione vorranno esigere da Netanyahu un prezzo per la pericolosa alleanza che ha stretto con il più pericoloso e irresponsabile presidente americano di sempre. 

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It Can’t Happen Here è il titolo di un noto romanzo pubblicato dallo scrittore americano Sinclair Lewis nel 1935. La trama distopica parla dell’ascesa al potere di un dittatore americano nel periodo in cui i Paesi europei cominciavano ad adottare il fascismo. Trump e i suoi seguaci sono stati apparentemente bloccati durante la notte di mercoledì, ed è molto probabile che gli eventi in Campidoglio siano stati l’ultima pericolosa ma patetica mossa del suo periodo in carica. Tuttavia, gli israeliani che hanno seguito gli eventi durante la notte, incollati alla Cnn (le reti israeliane non si sono preoccupate minimamente), apparentemente non hanno potuto fare a meno di chiedersi se scene simili ci attendono anche qui in futuro. Dopo gli eventi di quest’ultimo anno, è difficile dire con certezza che non accadrà qui. C’è stata la violenza della polizia nei confronti dei manifestanti, in primo luogo quelli vicini alla residenza del primo ministro in Balfour Street a Gerusalemme; la proditoria aggressione della polizia contro cittadini comuni il cui unico peccato è stato quello di non indossare una maschera all’aperto. Il precedente presidente della Knesset  (e attuale ministro della Salute) Yuli Edelstein ha rifiutato di accettare la sentenza dell’Alta Corte di Giustizia al momento della crisi politica di marzo, e naturalmente lo spettacolo dell’orrore dell’imputato all’apertura del suo processo, circondato da ministri sottomessi, mascherati e che annuiscono affermativamente. Anche qui il genio è già uscito dalla lampada. Quanto più palpabile diventa il pericolo della sua prigionia, tanto più Netanyahu qui sta alimentando le fiamme in un modo molto simile a quello del suo amico americano.

Circa un anno fa il mio collega di Haaretz Josh Breiner ha pubblicato un articolo, una sorta di scenario satirico e futuristico in cui la famiglia Netanyahu è costretta a lasciare la residenza di Balfour Street dopo un’elezione persa, ma si rifiuta di farlo. Quando ho letto quell’articolo ho pensato che Breiner si fosse lasciato un po’ trasportare. Da una rilettura, sembra possibile che la sua descrizione sia stata troppo contenuta in vista di ciò che potrebbe aspettarci”.

Parla Yael Dayan

Donald Trump non è stato un amico d’Israele ma un accanito sostenitore della destra del mio Paese e dell’uomo che l’ha incarna: Benjamin Netanyahu. L’interesse di Trump è stato quello di cercare nel mondo figure che condividessero le sue idee, la sua ideologia: in questo Netanyahu è stato il Bolsonaro o l’Orban d’Israele. Per i fanatici di Eretz Israel, Trump è un eroe, se fossero loro a decidere, se fossero loro a votare, avrebbe un trionfo assicurato”. A sostenerlo, in una intervista concessa a chi scrive, è Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, già vice sindaca di Tel Aviv, figlia di uno dei miti d’Israele: l’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan.

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“Gli ebrei americani – aveva rimarcato in quell’occasione Yael Dayan – non si sentono un corpo separato dal resto della società americana. Come tutti gli americani, hanno dovuto fare i conti con la gestione fallimentare, ondivaga, del loro Presidente della crisi pandemica, così come gli israeliani hanno fatto con la gestione di Netanyahu. Ma non c’è solo il coronavirus a spiegare il massiccio orientamento pro-Biden degli ebrei americani. C’è il suprematismo bianco, il “white power” cresciuto sotto la presidenza Trump. Un suprematismo violento, razzista, che si nutre di antisemitismo. Trump non ha mai avuto parole nette, chiare, di condanna del terrorismo, perché di ciò si tratta, suprematista. Anzi, si è spinto fino al punto di affermare pubblicamente, anche in campagna presidenziale, che c’è del buono anche tra quella gente! Dalle fila di questi criminali è uscito fuori il terrorista che due anni fa fece una strage tra gli ebrei che si erano riuniti nella sinagoga di Pittsburgh. Mentre sparava, uccidendo 11 persone, quell’uomo gridava: “Ebrei dovete morire”. Quell’assassino era un suprematista dichiarato. Nell’America suprematista, gli ebrei si sentono meno sicuri, e non c’è “accordo di Abramo” che possa lenire questa insicurezza. Ecco allora il paradosso dei quattro anni di Trump presidente: ha conquistato, forse, la maggioranza degli israeliani ma ha scavato un fossato tra lui e la grande maggioranza degli ebrei americani”. Le resistenze manifestate da Trump nel riconoscere la vittoria del suo rivale Joe Biden, così come l’incitamento all’azione lanciato a più riprese dal tycoon alle frange estreme del suo campo, non hanno colto di sorpresa la scrittrice israeliana. “Questo discorso l’ho già sentito qui in Israele. – aveva annotato -. Pur di non farsi da parte, Trump come Netanyahu sono disposti a radicalizzare lo scontro, fino al punto di mettere a rischio la democrazia stessa. È stato così quando Netanyahu ha sobillato la piazza gridando al “golpe” ordito dalla magistratura, solo perché il Procuratore generale d’Israele, persona che peraltro era stata scelta dallo stesso Netanyahu, aveva avuto l’ardire di rinviarlo a giudizio per gravi reati di corruzione pubblica. Un copione che Netanyahu ha continuato a recitare accusando le decine di migliaia di israeliani che da mesi protestano contro il primo ministro per la sua irresponsabilità nell’affrontare l’emergenza pandemica, di essere dei “comunisti”, degli sbandati, e addirittura additandoli come propagatori del virus. Per Netanyahu come per Trump non esistono avversari ma solo nemici da combattere”.

Ecco perché le ombre della notte più buia per la democrazia americana potrebbero proiettarsi fino in Israele.  

In Israele e non solo. Perché nelle reti social legate all’estremismo di destra in Europa, si moltiplicano i commenti entusiastici sugli “eroi” di Washington. “Facciamo come loro”, “la volontà del popolo spazzerà via queste sanguisughe”, “in America le elezioni sono state truccate da Soros”… E ancora: “L’America è bianca. Non al meticciato al potere”. Cambiano le lingue, ma i concetti restano gli stessi. Marciare contro il Parlamento, impadronirsi di quella “sordida aula”, attaccare l’essenza stessa della  democrazia: il principio di un uomo, un voto. Dalla Lituania alla Norvegia, dalla Germania all’Olanda, dall’Austria all’Italia…No, non è solo un affare americano.

 

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