Poche ore dopo il giuramento di Joe Biden, secondo presidente cattolico della storia degli Stati Uniti, il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, si è dissociato dal presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, scrivendo queste parole in tre tweet che immediatamente hanno fatto il giro del mondo: “Nel giorno dell’inaugurazione della presidenza Biden la Conferenza dei vescovi degli Stati Uniti ha diramato un comunicato avventato (ill-considered nell’originale, a volte tradotto con il nostro “sconsiderato”).
La dichiarazione è stata stesa (dal presidente della Conferenza, ndr) senza coinvolgere il comitato amministrativo, una consultazione collegiale che è abituale per dichiarazioni che esprimono ed hanno l’approvazione dei vescovi americani. Il mancato coinvolgimento va sottolineato e io intendo contribuire a questo sforzo così che, ispirati dal Vangelo, noi si possa costruire l’unità della Chiesa e contribuire a curare la nostra nazione in questo momento di crisi. Così vi invito a leggere il comunicato che allego”,
Il riferimento è al comunicato che aveva appena emesso come diocesi di Chicago: “ La comunità cattolica di Chicago unisce le sue preghiere a quelle di Papa Francesco per il nuovo presidente e la nuova vice-presidente e gli estendiamo i nostri migliori auspici. Appena due settimane fa il mondo ha visto attaccata la nostra democrazia. Oggi dimostriamo la sua resistenza. La nuova amministrazione comincia il suo lavoro in un momento di pandemia globale, rischio economico e profonda divisione, quando milioni di nostri fratelli e sorelle sono caduti per la pandemia, la povertà e il razzismo. Preghiamo perché il cammino futuro sia ispirato, come chiesto dal Santo Padre, dalla capacità di sognare insieme. Così come pregano insieme nel giorno dell’inaugurazione della nuova presidenza, chiediamo ai nostri leader politici di agire insieme per il bene del popolo. Imploriamo che ogni vita sia considerata, protetta e nutrita mentre ricostruiamo una nazione di nuovo dedicata ai suoi ideali fondanti di libertà e giustizia per tutti. Consentiteci di non mancare di auspicare un migliore futuro per tutta l’umanità e per la nostra casa comune, e procedere, come ha detto il presidente Biden, con tutta la nostra anima affinché questo diventi realtà”.
Il presidente della Conferenza Episcopale, l’arcivescovo José Gomez, aveva da poco firmato un lunghissimo comunicato nel quale, dicendo di non vedere l’ora di poter lavorare con Biden, sottolineava: “Per i vescovi americani, la persistente ingiustizia dell’aborto rimane la preminente priorità. Preminente non vuol dire unica. Noi abbiamo molte preoccupazioni per molte minacce alla alla vita umana e alla dignità nella nostra società. Ma come ci insegna Papa Francesco non possiamo rimanere in silenzio mentre circa un milione di vite non nate sono scartate nella nostra società anno dopo anno attraverso l’aborto. L’aborto è un diretto attacco alla vita che ferisce la donna e mina la famiglia. Non è una questione privata, solleva preoccupanti e fondamentali questioni di fraternità, solidarietà e inclusione nella comunità umana”.
Dunque l’arcivescovo presidente, José Gomez, si è rivolto a Biden a nome di tutti vescovi senza aver prima consultato il comitato interno. Ma non è tutto qui, ha evidentemente introdotto una novità: l’aborto è la preminente priorità.
Che sull’aborto Cupich sia d’accordo con Gomez non è in questione. Lo si coglie chiaramente anche dal testo che ha scritto e che abbiamo citato. La questione, evidentemente, riguarda l’indicazione di una priorità, che non si trova specificata nella dottrina cattolica. In definitiva il testo di Cupich rispecchia quanto affermato da parte di Papa Francesco nella famosa intervista a La Civiltà Cattolica all’inizio del suo pontificato: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante”.
Questa visione unisce tutti volti della cultura dello scarto, non indica una priorità che rimane tale anche poco dopo un fallito golpe, l’esecuzione nel braccio della morte di un numero senza precedenti di detenuti in attesa di esecuzione della sentenza, la firma di perdoni presidenziali per reati che non facevano bene alla fraternità, alla solidarietà e all’inclusione. Parlando dell’aborto pochi giorni fa Papa Francesco lo ha chiaramente collocato, e condannato, perché parte della cultura dello scarto, come molte altre azioni che scartano e che ha indicato insieme nel suo discorso. Il testo in oggetto infatti sembra fare della lotta all’aborto un’ideologia.
Leggendo il testo di Cupich e quello di Gomez, tenendo presente questa bussola per orientarsi, se ne coglierà l’enorme differenza. E così ci si potrà fare un’idea di cosa la Chiesa che meglio interpreta il pontificato di Francesco chiedeva e quel che si è fatto per accontentare chi probabilmente chiedeva a monsignor José Gomez ancora di più.