Rotta balcanica: i fantasmi del passato, l'orrore del presente. L'Italia? non pervenuta
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Rotta balcanica: i fantasmi del passato, l'orrore del presente. L'Italia? non pervenuta

I disperati della rotta balcanica non entrano nel suk politico italiano. Non portano voti, né fanno parte del Rinascimento saudita. Ma esistono. Sono donne e uomini, non numeri.

Migranti in Bosnia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

30 Gennaio 2021 - 15.44


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I disperati della rotta balcanica non entrano nel suk politico italiano. Non portano voti, né fanno parte del Rinascimento saudita. Ma esistono. Sono donne e uomini, non numeri. Parte di una umanità sofferente in fuga da guerre, pulizie etniche, sfruttamento e disastri ambientali. Cercano un rifugio. Trovano fili spinati.

Italia dove sei?

Nel 2020 oltre 4.000 migranti e rifugiati sono giunti al confine nord-est italiano dopo aver percorso la rotta balcanica. Si tratta di una rotta chiave per l’Italia, in quanto almeno un quarto di tutti i migranti e rifugiati che arrivano in Italia giungono dai Balcani. Fra di loro un numero crescente di afghani, iracheni e siriani in fuga da violenze e persecuzioni e che successivamente ottengono protezione in Italia. Risulta poi in netta crescita la presenza dei minori non accompagnati. La situazione al confine nord-est è stata al centro in questi giorni di una missione congiunta conclusa a Trieste di Chiara Cardoletti, Rappresentante per l’Italia, la Santa Sede e San Marino dell’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, e di Laurence Hart, Direttore dell’Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo dell’Oim, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.
Nel corso della visita – rimarca un comunicato congiunto delle due agenzie Onu – i rappresentanti delle due organizzazioni hanno incontrato le autorità governative e cittadine e gli esponenti della società civile e discusso con loro sulla situazione al confine con la Slovenia e i piani di accoglienza e assistenza per migranti e rifugiati.
Cardoletti e Hart hanno espresso preoccupazione per le testimonianze di violenze terribili sofferte dalle persone lungo questa rotta, unitamente all’inderogabile necessità di garantire l’accesso al diritto d’asilo rafforzando le procedure che permettano l’analisi individuale di ogni singolo caso e di introdurre una risposta strutturata sia a livello locale che a livello nazionale.
“E’ molto probabile che i movimenti di migranti e rifugiati lungo la rotta balcanica continuino nel 2021. Bisogna agire senza ritardo. Esiste un obbligo per gli Stati ad ammettere sul proprio territorio chi presenta domanda di asilo alle proprie frontiere, almeno per la durata dell’esame della domanda stessa. È in questa fase che occorre attivare anche su questo territorio tutti i servizi di assistenza e informazione previsti dalla legge in Italia”, ha sottolineato Chiara Cardoletti.
“Purtroppo i migranti e rifugiati che percorrono la rotta balcanica vivono un’esperienza terribile e rischiano spesso di diventare vittime di violenze durante la traversata”, ha osservato Laurence Hart. “Le condizioni in cui molte persone arrivano sono estremamente critiche e i profili vulnerabili sono numerosi. E’ necessario ricordare come la priorità sia sempre quella di assicurare un’assistenza adeguata sia per coloro che fanno richiesta di asilo sia per tutti coloro che presentano serie vulnerabilità.”
“Unhcr e Oim continueranno a monitorare da vicino la situazione alle frontiere terrestri italiane e restano pronti a identificare le necessità e le risposte più adeguate per strutturare un sistema di identificazione e assistenza coordinato per migranti e rifugiati che coinvolga tutti gli attori presenti sul territorio e che possa prendere in carico le specificità di chi desidera chiedere asilo e consentire al contempo accesso a tutte le informazioni ed i servizi di assistenza previsti dalla normativa italiana”.

Minori a rischio

Nel dramma delle migliaia di migranti e rifugiati bloccati lungo la rotta balcanica c’è quello dei minori non accompagnati e senza protezione che si trovano in Bosnia-Erzegovina e non sono ospitati nei centri di accoglienza. A lanciare l’allarme è Save the children, secondo cui sono 50 gli adolescenti stranieri soli che vivono all’addiaccio, in edifici abbandonati o alloggi di fortuna, esposti a gravi rischi per la salute e la sicurezza. Le stime ufficiali, intanto, parlano di circa 3mila persone che, dopo un lungo viaggio attraverso i Balcani, sono fuori dai campi ufficiali di accoglienza. La rigidità dell’inverno e le strutture fatiscenti in cui riescono a trovare riparo, aggiunti al pericolo del Covid-19, rappresentano un’ulteriore emergenza.
Di situazione difficile per i migranti ha parlato a Vatican News Daniele Bombardi, coordinatore di Caritas italiana in Bosnia: “I campi di accoglienza sono strapieni, e non riescono più ad accogliere nessuno, quindi rimane escluso dall’accoglienza un numero molto significativo di persone e c’è un numero significativo anche di minori non accompagnati che non riescono ad essere accolti nelle strutture. Per noi è un po’ difficile stimare la cifra perché vediamo ragazzi che molto spesso non hanno documenti e non sono registrati e non sappiamo se siano maggiorenni o meno. Ma credo che non sia neanche così importante, perché le condizioni in cui questi ragazzi sono costretti a vivere sono così terribili da creare preoccupazione a prescindere”

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“Tenete presente – aggiunge Bombardi –  che in inverno solitamente la temperatura arriva a meno 10 o 15 gradi di notte e queste persone sono costrette ad occupare case abbandonate, stazioni, anche piccole baracche nei boschi, e ad arrangiarsi per passare le notti. Quindi il rischio, anzitutto è di mettere la propria vita a repentaglio ed è un rischio molto concreto perché il congelamento è assai probabile. Poi ci sono rischi sanitari enormi. Si tratta di persone che non possono lavarsi regolarmente, non possono curarsi perché, non essendo registrati, non hanno accesso al sistema sanitario e c’è anche la preoccupazione della pandemia, dal momento che in tutto questo contesto prendere tutte le misure precauzionali è praticamente impossibile. C’è dunque tutta una serie di problemi soprattutto igienico-sanitari che ci preoccupano moltissimo, a cui poi si aggiunge la preoccupazione per la tenuta psicologica di queste persone, che stanno facendo da anni un percorso migratorio durissimo e in età adolescenziale hanno vissuto esperienze molto traumatiche di migrazione, molto violente, e ora si trovano, a 15 o 16 anni, in luoghi totalmente inadatti”.

Non essendo stati registrati nelle strutture ufficiali, la conseguenza per i minori non accompagnati è l’esclusione da qualsiasi forma di protezione. ”Il problema – continua il coordinatore di Caritas – è che adesso anche chi vuole registrarsi o chi magari si registra non ha posto nei campi, quindi non escludo anche il fatto che ci siano persone registrate che semplicemente non possono essere accolte”. La soluzione temporanea per Bombardi, è l’accoglienza in luoghi adatti, almeno per il periodo invernale. “Poi – continua –  ci sono soluzioni più di lungo periodo, in una riorganizzazione del sistema delle accoglienze in Bosnia-Erzegovina che va assolutamente attivata il prima possibile, perché altrimenti il prossimo inverno ci ritroveremo con una nuova emergenza, ancora con persone fuori dai campi e ancora minori non accompagnati in queste condizioni”.

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Testimonianze dall’inferno

Ci hanno messo in una gabbia senza cibo per tre giorni. Ci hanno picchiato violentemente e ci hanno fatto anche l’elettrochoc”. Così Isaaq, fuggito dall’Afghanistan, descrive il trattamento subito in Bulgaria
“Abbiamo attraversato il confine con l’Ungheria, ma la polizia ci ha preso. Ci hanno costretti a spogliarci e a sederci nudi in mezzo alla neve, mentre ci versavano addosso acqua gelida”, aggiunge Majeed anche lui di origine afghana. 
In Croazia, alcuni migranti testimoniano di essere stati picchiati dalla polizia di frontiera con i manganelli, costretti a spogliarsi e respinti oltre il confine con la Serbia; in Bulgaria, la polizia avrebbe derubato di tutto un gruppo che cercava di passare, portandogli via perfino le scarpe per poi rispedirli oltre il confine.

In Serbia, a un gruppo di migranti, che aveva con sé un bambino di 2 anni, era stato detto che sarebbero stati accompagnati in un centro di accoglienza profughi. La polizia li ha invece abbandonati in un bosco al confine con la Bulgaria in piena notte con temperature sotto lo zero. Sono sopravvissuti, ma quando li hanno trovati due erano in stato di ipotermia e privi di coscienza.
In un tribunale serbo alcuni migranti hanno espresso la volontà di richiedere asilo. La polizia che avrebbe dovuto accompagnarli in un centro di accoglienza, ha invece distrutto i documenti e li ha portati alla frontiera bulgara.
In Ungheria un ragazzo siriano di 22 anni ha visto respinta la sua richiesta di asilo in un processo dove non aveva rappresentanza legale e senza possibilità di appello.

Tra le organizzazioni umanitarie più attive nei Balcani c’è Oxfam. Di seguito alcune storie raccolte dagli “angeli della solidarietà”.

“Mawia ha 4 anni e insieme a sua madre aspetta di riunirsi a suo padre Mahamoud, dopo che si sono persi di vista nella folla al Centro di Registrazione per Migranti e Rifugiati a Presĕvo, nel sud della Serbia. Mahamoud ci ha raccontato che con la sua famiglia hanno atteso tre giorni per registrarsi e avere il permesso di attraversare la Serbia.

Mariam ha 29 anni, viene da Damasco in Siria e sta aspettando di prendere il pullman dopo aver ottenuto un permesso di transito di 72 ore al Centro per Migranti e Rifugiati a Presĕvo, in Serbia.
Mariam ha viaggiato per sette giorni dalla Turchia attraverso la Macedonia con i suoi due figli: Ali di 7 anni e Abbas di 4. Ali soffre di distrofia muscolare e non può camminare. Mariam l’ha dovuto portare in collo fino in Serbia dove ha finalmente ottenuto una sedia a rotelle. Vuole portarlo in Germania per farlo curare. Suo marito è sempre in Siria.

Ahmad e sua figlia Nour sono scappati dalla guerra in Siria e si stanno dirigendo al Centro per Migranti e Rifugiati di Presĕvo in Serbia. Dopo la registrazione avranno 72 ore per attraversare il paese e raggiungere la Croazia. Il giorno che l’abbiamo incontrato aveva già camminato per 20 chilometri.

I fantasmi del passato, l’orrore del presente

Così Nello Scavo, inviato di Avvenire, inizia un suo struggente, drammatico, reportage sui disperati della rotta balcanica: “È la schiena curva e livida dei respinti a dire le sprangate. Sono le gambe sanguinanti a raccontare la disperata corsa giù dal valico. A piedi nudi, con le caviglie spezzate dalle bastonate e i cani dell’esercito croato che azzannano gli ultimi della fila. È l’umiliato silenzio di alcuni ragazzi visitati dai medici volontari nel campo bosniaco di Bihac per le cure e il referto: stuprati e seviziati dalla polizia con dei rami raccolti nella boscaglia. I meno sfortunati se la sono cavata con il marchio di una spranga incandescente, a perenne memoria dell’ingresso indesiderato nell’Unione Europea. 

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Gli orrori avvengono alla luce del sole. Affinché gli altri, i recidivi degli attraversamenti e quelli che dalle retrovie attendono notizie, battano in ritirata. Velika Kladuša e il valico della paura. Di qua è Croazia, Europa. Di la è Bosnia, fuori dalla cortina Ue. Di qua si proclamano i diritti, ma si usa il bastone. Oramai tra i profughi della rotta balcanica lo sanno tutti che con gli agenti sloveni e gli sbirri croati non si scherza. 

Siamo stati consegnati dalla polizia slovena alla polizia croata. Siamo stati picchiati, bastonati, ci hanno tolto le scarpe, preso i soldi e i telefoni. Poi ci hanno spinto fino al confine con la Bosnia, a piedi scalzi. Tanti piangevano per il dolore e per essere stati respinti”. Sono le parole di chi aveva finalmente visto i cartelli stradali in italiano, ma è stato rimandato indietro, lungo una filiera del respingimento come non se ne vedeva dalla guerra nella ex Jugoslavia. Certi metodi non sembrano poi cambiati di molto”.

E ancora: “Un uomo si è visto quasi strappare il tendine del ginocchio destro da uno dei mastini delle guardie di confine croate. Quasi tutti hanno il torso attraversato da ematomi, cicatrici, escoriazioni. C’è chi adesso è immobile nella tendopoli di Bihac con la gamba ingessata, chi con il volto completamente bendato, ragazzini con le braccia bloccate dai tutori in attesa che le ossa tornino al loro posto. I segni degli scarponi schiacciati contro la faccia, le costole incrinate, i calci sui genitali. Un ragazzo pachistano mostra una profonda e larga ferita sul naso, il cuoio capelluto malridotto, mentre un infermiere volontario gli pratica le quotidiane medicazioni. Un afghano appena maggiorenne ha l’orecchio destro interamente ricucito con i punti a zigzag. Centinaia raccontano di essere stati allontanati dal suolo italiano”.

Fin qui il racconto di Scavo. Che chiama in causa, così come hanno fatto l’Unhcr, l’Oim, Oxfam, Human Rights Watch, Save the Children, Amnesty International …, la responsabilità dell’Italia. Ma il mondo solidale non partecipa alle consultazioni per il nuovo Governo, non ricatta, non chiede poltrone, non ha voti da mettere in vendita al suk della politica. Quel mondo vitale chiede alla politica un impegno umanitario a difesa dei più indifesi. Un impegno disertato. Chi scrive ha ascoltato, con crescente fatica, le dichiarazioni dei vari leader di partiti e partitini dopo essere stati consultati dal capo dello Stato. Destra, centro, centrino, sinistra, costruttori, pontieri, sabotatori…Non una parola, una, sulla tragedia umanitaria in atto alle nostre frontiere e nel Mediterraneo. Che miserabile spettacolo.

 

 

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