Per la prima volta nella storia dell’Ecuador , un candidato indigeno, l’avvocato di sinistra Yaku Perez, potrebbe andare al ballottaggio nelle elezioni presidenziali: è attualmente al secondo posto nel conteggio dei voti e, pertanto, il prossimo 11 aprile potrebbe sfidare Andrés Arauz, l’economista socialista e delfino dell’ex capo di Stato Rafael Correa, arrivato in testa al primo turno.
In Ecuador, le elezioni generali di domenica, che si sono svolte in piena pandemia di Covid-19, sono state caratterizzate da polemiche e confusione sui risultati.
In base ai dati preliminari annunciati dalla Commissione nazionale elettorale (Cne), secondo una proiezione del 90,4% dei 2.425 seggi selezionati su un totale di 40 mila, il 36enne Arauz, candidato della coalizione Unione per la speranza (Unes) è in testa con il 31,5% dei consensi.
In seconda posizione, per ora, c’è il 51enne Perez, del partito Pachakutik, braccio politico della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador, al 20,4%; è il primo indigeno che ha buone possibilità di andare al ballottaggio.
La terza posizione va all’ex banchiere conservatore, il 65enne Guillermo Lasso, del movimento Creare delle opportunità (Creo, destra), che ha intorno al 19,97% delle preferenze, al suo terzo tentativo di diventare presidente.
Decisive le prossime ore per sapere con certezza chi tra Perez e Lasso la spunterà, mentre la tensione sale tra i rispettivi sostenitori.
“Non c’è alcun dubbio, siamo al primo posto” ha dichiarato Arauz, complimentandosi con i suoi sostenitori e dicendosi fiducioso della sua prossima “vittoria”. Proclami altrettanto ottimisti da Lasso, che invita al “cambiamento” e ha “fiducia” in una sua vittoria al secondo turno.
Nel 2017 Lasso aveva perso per solo due punti e le presidenziali erano state vinte dal capo di Stato uscente, l’impopolare Lenin Moreno, ex alleato di Correa, il cui mandato terminerà il prossimo 24 maggio.
Tuttavia i primi risultati provvisori danno in vantaggio l’indigeno Perez, di sinistra ma opposto alla corrente correista, diventato popolare dopo l’insurrezione sociale del 2019, provocata da un aumento dei prezzi dei carburanti condizione a un prestito del Fondo monetario internazionale.
La rivolta popolare, che ha fatto vacillare il governo, si era conclusa con un bilancio di 11 morti, 1.340 feriti. Domenica circa 13,1 milioni di elettori sono andati alle urne per scegliere il futuro presidente tra 16 candidati – un numero record, ma con una sola donna, Ximena Pena dell’Alleanza Paese (Ap, al potere) – e 137 deputati del Parlamento monocamerale.
Per vincere al primo turno bisognava ottenere la metà dei voti più uno o almeno il 40% con dieci punti di scarto sul secondo candidato, ma a causa della frammentazione delle forze politiche servirà il ballottaggio e il prossimo governo rischia di non ottenere la maggioranza.
“Qualunque sia il vincitore, sarà un mandato fragile e chi verrà eletto dovrà ricercare consensi” ha analizzato il politologo Esteban Nichols dell’Università andina Simon Bolivar.
In effetti dopo il primo turno il Paese non è solo diviso a metà tra pro e anti-Correa, ma in tre blocchi diversi: la sinistra socialista di Correa, la destra liberale e un blocco più al centro nel quale potrebbero confluire social-democratici e alcuni indigeni.
L’importante tornata elettorale è stata inoltre dominata dalla figura del carismatico ma polemico ex presidente Correa, in rotta con Moreno, che definisce “un traditore”, e che ha fatto campagna per il suo delfino Arauz. “Grazie caro Ecuador! La rivoluzione cittadina ha vinto in modo chiaro nonostante una campagna sporca e quattro anni di persecuzione brutale e infamie” ha twittato il socialista Correa, condannato a 8 anni di carcere per corruzione, quindi impossibilitato a candidarsi alla vicepresidenza.
La campagna elettorale è stata limitata dalle restrizioni anti-Covid, che in Ecuador, Paese da 17,4 milioni di abitanti, ha già causato più di 15 mila morti. La pandemia ha aggravato una situazione economica già critica e generato ulteriore malcontento sociale.
A colpire l’economia nazionale è il crollo del prezzo del petrolio, principale prodotto di esportazione per l’Ecuador, il cui debito è già raddoppiato e ora si teme una contrazione del Pil dell’8,9% nel 2020.
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