Erbil, quei razzi a testata "politica" multipla: contro Biden e Francesco
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Erbil, quei razzi a testata "politica" multipla: contro Biden e Francesco

Razzi contro Erbil. Missili a testata politica multipla. Indirizzati contro la nuova amministrazione Usa di Joe Biden. E contro il Vaticano, in vista della storica visita di papa Francesco in Iraq. 

Razzi contro Erbil
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Febbraio 2021 - 15.48


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Razzi contro Erbil. Missili a testata politica multipla. Indirizzati contro la nuova amministrazione Usa di Joe Biden. E contro il Vaticano, in vista della storica visita, dal 5 all’8 marzo, di papa Francesco in Iraq. 

Tre razzi sono stati lanciati ieri sera sull’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno e uno di essi è caduto in una zona residenziale vicino a una base militare che ospita truppe straniere della coalizione a guida americana, uccidendo un contractor civile straniero, pare statunitense. Cinque i feriti, tra cui un militare americano. Nessuna conseguenza per i militari italiani presenti nella base. Secondo la televisione curda Rudaw, i razzi sono stati lanciati dal distretto di Hamdaniya. Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha chiesto un’indagine sull’attacco e ha promesso di “chiederne conto ai responsabili”. “Siamo indignati per l’attacco missilistico nella regione del Kurdistan iracheno”, ha detto in una dichiarazione. “Ho contattato il primo ministro del governo regionale del Kurdistan, Masrour Barzani, per discutere del fatto e per impegnarmi a sostenere tutti gli sforzi per indagare e chiedere conto ai responsabili Dopo l’attacco, forze di sicurezza sono state dispiegate intorno all’aeroporto e alla periferia della città è stato udito rumore di elicotteri. 

Da quando l’Iraq ha dichiarato la vittoria contro l’Isis alla fine del 2017, la coalizione a guida Usa è stata ridotta a meno di 3.500 soldati in totale, 2.500 dei quali americani, e la maggior parte è concentrata nel complesso militare dell’aeroporto di Erbil. Dalla fine del 2019 i siti militari e diplomatici occidentali sono stati presi di mira da decine di razzi e autobombe che hanno provocato la morte di personale sia straniero che iracheno. Erbil è stata presa di mira molto raramente, sebbene le forze iraniane abbiano attaccato l’aeroporto nel gennaio 2020, pochi giorni dopo l’uccisione del generale Qasem Soleimani all’aeroporto di Baghdad. L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva minacciato che l’uccisione di un cittadino americano in un simile attacco missilistico avrebbe provocato una campagna di bombardamenti di massa in Iraq

Iraq, pacificazione lontana

 A rivendicare l’attacco è una misconosciuta milizia sciita, denominata “Guardiani del Sangue”, La rivendicazione che circola su internet è firmata da Saray Awliya al-Dam (“i guardiani delle brigate del sangue”), una sigla che finora non era mai stata collegata ad aggressioni di così alto profilo. I miliziani filoiraniani affermano di aver lanciato 24 missili “contro l’occupazione americana”. “L’occupazione Usa non sarà al sicuro dai nostri attacchi da nessuna parte, nemmeno in Kurdistan”, si legge nella nota. Secondo fonti della sicurezza irachena, sono stati lanciati tre razzi: due hanno colpito zone residenziali senza causare vittime e un terzo ha colpito una struttura militare che ospita truppe straniere della coalizione a guida americana.

Secondo la Cnn, quattro dei cinque contractor feriti sono di nazionalità statunitense. Non è nota la nazionalità del contractor rimasto ucciso. Fonti di Washington hanno negato che si tratti di un cittadino americano, come era stato riportato in un primo momento dalla corrispondente della Bbc Nafiseh Kohnavard. Blinken ha avuto un colloquio telefonico con Masrour Barzani, primo ministro del governo regionale del Kurdistan, e ha promesso “ogni sforzo possibile per indagare e punire i responsabili”. L’ultimo attacco missilistico contro obiettivi Usa a Erbil risale allo scorso settembre, quando tre razzi colpirono la base militare americana senza causare feriti.

L’attacco era stato attribuito alla milizia sciita Hashad al Shabbi, che controlla larga parte dell’area dalla quale erano partiti i missili, ed era avvenuto il giorno successivo alla minaccia dell’ex presidente Usa, Donald Trump, di chiudere l’ambasciata a Baghdad se le milizie filoiraniane avessero continuato a bersagliare obiettivi americani. 

L’Isis risorta

Come ricostruiscono i dispacci che arrivano dall’area tra Siria e Iraq le cellule jihadiste sopravvissute al crollo dello Stato islamico sono tornate ad essere una minaccia proprio mentre il mondo si trova ad aver a che fare con la pandemia da Coronavirus. L’Isis starebbe infatti approfittando dell’emergenza sanitaria e delle conseguenti difficoltà economiche per rialzare la testa.

Secondo fonti citate dalla televisione curdoirachena Rudaw tv, le cellule terroriste si sono radicate in particolar modo nelle città con presenza curda fuori dal controllo del governo regionale del Kurdistan iracheno. E nelle zone di confine con la Siria dove il controllo è pressoché impossibile il Califfato nero sta tentando di riprendere forma. “La minaccia è reale”, dichiara il vicepremier del Kurdistan, Qubad Talabani, all’Associated Press“Si stanno mobilitando e ci attaccano nel Nord. Presto cominceranno a colpire anche Baghdad”. Secondo l’intelligence americana, l’Isis dispone ancora di 2.500-3.000 soldati in Iraq, ma anche in Siria ha intensificato gli attacchi a Homs e Deir Ezzor. Se prima si limitava alle azioni di disturbo, ora, complice la diminuzione del 50 per cento del personale militare iracheno sulle strade a causa del coronavirus, compie attacchi più sofisticati e coordinati. Secondo alcuni ufficiali delle forze armate, l’obiettivo dell’intensificarsi degli attacchi nel mese di Ramadan sarebbe quello di aumentare l’influenza del nuovo leader dell’Isis, Abu Ibrahim al-Hashimi al-Quraishi.

La presenza di Isis cresce anche a ovest e sud di Kirkuk, lungo l’area di confine con il Kurdistan. Lo denunciano fonti locali, secondo le quali nel quadrante c’è stato un boom di attacchi da parte dei jihadisti. Ciò, in quanto ad Hawija risiedono molti sfollati della guerra contro lo Stato islamico e tra questi si sono infiltrate famiglie di miliziani, che forniscono loro sostegno. Non a caso, le forze di sicurezza irachene vi hanno effettuato un raid nei giorni scorsi, catturando sei terroristi. Tra questi c’era il responsabile dei “check point” ai confini con Kirkuk. Inoltre, l’intelligence di Baghdad ha rilevato che lungo i confini interni si sta radunando un numero crescente di fondamentalisti. Questi si muovono tra Makhmour, la piana di Qaraj e Al Kuwair. La conferma viene dal fatto che molti dei villaggi locali si sono svuotati a causa delle estorsioni e dei rapimenti a scopo di lucro.

L’Isis, attraverso il suo organo di propaganda, ha rivendicato il doppio attentato suicida a Baghdad del  21 gennaio scorso  che ha provocato almeno 35 morti e 80 feriti. L’attentato è avvenuto in una strada affollata nella zona di piazza Tayaran, poco lontano da piazza Tahrir, epicentro da circa un anno e mezzo delle proteste antigovernative contro il carovita e la corruzione. Dopo anni di violenza settaria, gli attacchi suicida erano diventati piuttosto rari nella capitale irachena e quello odierno è il primo dal giugno del 2019, nel quale persero la vita numerose persone.

Le accuse (confermate) delle autorità

Le autorità irachene avevano già fatto trasparire l’ipotesi che l’attacco fosse opera dell’Isis. Il generale Kazem Selman, direttore della Protezione civile irachena, ha affermato che finora non ci sono state rivendicazioni dell’attacco, compiuto da due attentatori suicidi, ma che «l’attentato ricorda per modalità ed esecuzione quelli compiuti dall’Isis». Era dal giugno del 2019 che il centro di Baghdad non veniva colpito da attacchi dinamitardi e suicidi di questo tipo. L’Isis era stato dichiarato sconfitto militarmente in Iraq nel dicembre del 2017.

Lo Stato islamico si è consolidato, riarmato e rifinanziato e le sue forze stanno pattugliando attivamente quasi tutto il nord dell’Iraq, ribadisce  un alto funzionario dell’intelligence nella regione del Kurdistan Iracheno. L’Isis era solito controllare il territorio del Levante che eguagliava le dimensioni della Germania. Ma le sue forze furono respinte da una coalizione internazionale di eserciti e milizie statali, uno sviluppo che spinse diversi capi di governo, incluso l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ad annunciare che l’Isis era stato sconfitto.
Tuttavia alti funzionari dell’esercito e dell’intelligence hanno avvertito negli ultimi mesi che l’Isis è tutt’altro che sconfitto. La Bbc ha riportato che i funzionari dell’intelligence curda vedono l’Isis come un’organizzazione risorgente. Il rapporto si basa sulle opinioni di Lahur Talabany, capo dell’Agenzia per la protezione delle informazioni del Kurdistan Iracheno, che funge da principale organizzazione di sicurezza e antiterrorismo del governo regionale del Kurdistan. Talabany ha dichiarato alla Bbc che l’Isis è oggi “come al-Qaeda con gli steroidi”. “Il gruppo – ha spiegato – ha tecniche migliori, tattiche migliori e molti più soldi a sua disposizione” rispetto ad al-Qaeda. L’abbondanza di risorse finanziarie consente all’Isis di “acquistare veicoli, armi, scorte di cibo e attrezzature”, ha aggiunto.
Inoltre l’Isis sta sfruttando a suo vantaggio una disputa in corso tra i curdi dell’Iraq settentrionale e il governo centrale di Baghdad, che ha lasciato vaste regioni dell’Iraq centro-settentrionale senza un’efficace presenza politica e militare. Le forze del gruppo militante sono quindi in grado di effettuare pattuglie quotidiane su “un vasto territorio, da Diyala a Mosul, che comprende quasi tutto il nord dell’Iraq”, ha detto Talabany.

Una sintesi perfetta quanto dura la fa l’autorevole Center for Strategic and International Studies (Csis) con il suo analista senior di punta, Anthony H. Cordesman, esperto di politica della sicurezza degli Stati Uniti, esperto militare per il Medio Oriente, già consulente dei Dipartimenti di Stato e di Difesa nelle guerre in Afghanistan e in Ira, e consulente dell’Esercito americano e della Nato.

La politica è politica, ma ci sono seri pericoli nel fare affermazioni sulla capacità di sconfiggere il terrorismo in generale, e l’isis in particolare», esordisce Cordesman. E poi il giudizio sferzante attorno al quale costruisce una dettagliata analisi che dimostra come l’Isis non è per nulla sconfitto: “Gli Stati Uniti hanno talvolta vinto importanti vittorie a livello militare, ma tutti i movimenti terroristici stranieri che gli Stati Uniti hanno preso di mira sono sopravvissuti o si sono trasformati in diverse organizzazioni con nomi diversi”, “il gruppo o si riprende o al suo posto emerge una nuova forma di terrorismo”.  Peggio se l’esercito si ritira: “Se lo sforzo degli Stati Uniti per contenere un dato movimento si indebolisce, è molto probabile che il terrorismo e l’estremismo ritornino”.  Se si torna all’11 settembre, “nessuna delle cause fondamentali che tengono in vita i movimenti estremisti e terroristici -e generano nuove minacce- è stata ridotta”.

 

 

 

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