Togliersi dal libro paga del mandante di un assassino che farebbe impallidire, per le modalità di esecuzione, pure Totò Riina. Fare un pubblico mea culpa, magari in una conferenza alla stampa estera, per aver parlato, esaltandolo, di “Rinascimento” saudita. Restituire il compenso ricevuto per quella intervista in ginocchio, con domande di comodo e lo sguardo adorante, al mandante in questione. Senatore Renzi, un po’ di dignità. Quando decise di staccare la spina al governo Conte II, qualche retroscenista in servizio effettivo permanente, scrisse che lei agiva così per accreditarsi agli occhi del neo presidente Usa, Joe Biden, come il suo più fedele e attivo referente italiano, mica come quel “Giuseppi” Conte che, in ginocchio alla Casa Bianca, si profuse in imbarazzanti elogi nei confronti del sovranista-suprematista Donald Trump.
Faccia come Joe
Ora, visto che lei si professa “bideniano”, come era stato “blairiano”, e poi “obamiano”, lo dimostri e segua il suo vate sul fronte saudita. E legga con attenzione il rapporto desecretato, per volere del nuovo inquilino della Casa Bianca, sull’assassinio del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi.
Sappiamo che il suo tempo è prezioso e che Globalist non ha 80mila euro per comprare la sua attenzione, e dunque ci permetta di sintetizzarglielo.
Era stato ampiamente anticipato, ma da ieri è scritto nero su bianco: “Il principe saudita Muhammad bin Salman approvò l’operazione di Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi”. È il passaggio chiave del rapporto dell’intelligence Usa, desecretato e divulgato dall’amministrazione Biden dopo che Donald Trump aveva preferito tenerlo riservato per preservare l’alleanza strategica con Riad in chiave anti-Iran. Il documento è il frutto di un’approfondita indagine sulla morte del giornalista Khashoggi, oppositore di bin Salman e editorialista del Washington Post, ucciso se smembrato il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita a Istanbul. Secondo la ricostruzione degli analisti americani, Mohammed bin Salman vedeva il giornalista dissidente Jamal Khashoggi come una minaccia al regno e sostenne ampiamente l’uso della violenza se necessario per metterlo a tacere.
Il rapporto dell’intelligence elenca 21 persone ritenute complici o responsabili per la morte del giornalista dissidente per conto del principe ereditario.
Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha ribadito che l’amministrazione Biden vuole “ricalibrare” – parola chiave nel nuovo lessico politico-diplomatico dell’amministrazione Biden – le relazioni con l’Arabia Saudita ma non vuole una “rottura”. Blinken spiega così l’assenza di sanzioni contro il principe ereditario saudita. A conferma di un cambiamento nei rapporti tra Usa e Arabia Saudita, la divulgazione del rapporto della Cia è stata preceduta da una telefonata dello stesso Biden all’85enne re Salman e non a suo figlio MbS (come è chiamato l’erede al trono) che era stato l’interlocutore privilegiato della Washington di Trump. La Casa Bianca ha tenuto a precisare che è Salman “l’unica controparte del presidente americano”, nonostante l’anziano sovrano abbia da tempo abdicato alla gestione quotidiana del regno. Che l’aria a Washington per i sauditi fosse cambiata con l’avvento di Biden lo si era già capito con il ritiro dell’appoggio nella guerra in Yemen e lo stop alla vendita di armi.
Secondo le conclusioni del report, MbS non poteva non sapere .Fin dal 2017, spiegano gli 007 americani, “bin Salman aveva il controllo assoluto della sicurezza del regno e delle organizzazioni di intelligence, rendendo altamente improbabile l’ipotesi che i funzionari sauditi potessero condurre un’operazione di questo tipo senza l’autorizzazione del principe”. L’eliminazione di Khashoggi rientrava nella strategia adottata per “silenziare i dissidenti all’estero, compreso Khashoggi”. Il 2 ottobre 2018 il giornalista entrò al consolato saudita di Istanbul per ritirare alcuni documenti matrimoniali, ma non venne più visto uscire. L’ipotesi è che sia stato ucciso e fatto a pezzi da agenti dell’intelligence saudita. Secondo gli 007 americani, all’operazione parteciparono quindici membri dei Servizi segreti dell’Arabia Saudita. Bin Salman ha sempre negato il proprio coinvolgimento nell’operazione. Il rapporto arriva il giorno dopo la prima telefonata ufficiale tra il principe e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Nell’ultima pagina del documento, l’Intelligence americana ha pubblicato l’elenco di ventuno persone che avrebbero preso parte, direttamente o indirettamente, all’operazione per eliminare il giornalista. Washington ha imposto sanzioni e blocco dei visti per 76 cittadini sauditi che risultano coinvolti, in modo diretto e indiretto, nell’omicidio di Khashoggi e nelle minacce di dissidenti all’estero, ma i provvedimenti non riguarderanno il principe Mohammed bin Salman.
Il governo dell’Arabia Saudita ha respinto “categoricamente” il rapporto pubblicato dai servizi segreti americani. “Il governo del regno respinge categoricamente ciò che si afferma nel rapporto (…) sul crimine dell’assassinio del cittadino Jamal Khashoggi, che Dio abbia pietà di lui”, ha detto un comunicato del dipartimento degli Esteri saudita rilasciato dall’agenzia di stampa di Stato.
“Queste nuove rivelazioni, che si aggiungono a un rapporto dell’Onu che va nella stessa direzione devono indurci a una riflessione di fondo sui nostri rapporti, nazionali e dell’Unione europea, con il regno saudita, e bene abbiamo fatto, intanto, a sospendere le licenze per la vendita di armi a quel paese. L’impunità di Mohammed Bin Salman non può più essere tollerata”. Ad affermarlo è la leader di Più Europa Emma Bonino,. L’ex ministra degli Esteri e Commissaria europea nel dicembre 2019 ospitò proprio la vedova del giornalista del Washington Post (nel video una parte della conferenza stampa del 17 dicembre 2019 nella sede della stampa straniera). “Dal giorno dell’omicidio, l’Arabia Saudita ha ripetutamente tentato di coprire la verità omettendo e talvolta ostacolando le indagini anche attraverso un processo farsa. Come sottolineato dalla fidanzata di Khashoggi, Hatice Cengiz, che ho ospitato per un’audizione al Senato nel dicembre 2019, ‘lottare contro l’impunità per l’omicidio di Jamal significa anche non legittimare il modello di repressione diffusa contro le voci indipendenti o dissidenti che si è intensificato da quando Mohammed bin Salman è al potere’”, conclude la senatrice di Più Europa.
Processi di facciata
Inizialmente il regime di MbS negò ogni accusa. In seguito, davanti a crescenti prove, ammise che suoi agenti dell’apparato di sicurezza erano stati sì responsabili dell’atto, ma avevano agito di propria iniziativa, senza alcuna autorizzazione dall’alto. La tesi fin da subito fu considerata del tutto inattendibile: una simile, sofisticata operazione non avviene senza copertura e numerosi dei protagonisti erano strettamente legati a MbS e al suo entourage. Tribunali sauditi condannarono cinque degli assassini alla pena capitale sentenze poi commutate a vent’anni di carcere. Altre tre agenti hanno ricevuto pene minori. Ulteriori indicazioni del coinvolgimento di Riad sono venute fuori ancora di recente: Cnn ha rivelato che gli aerei privati usati dalla squadra per portare a termine la missione erano in forze a una società, Sky Prime Aviation, che era stata sequestrata da MbS nelle sue manovre di potere.
La verità in un documentario
In concomitanza con la decisione dell’amministrazione Usa di alzare il velo sull’assassinio del giornalista, esce in esclusiva su MioCinema il film “The Dissident” di Bryan Fogel, il documentario che ripercorre gli eventi che due anni fa hanno portato al brutale omicidio del giornalista del Washington Post, in particolar modo analizzando il diretto coinvolgimento del principe saudita Mohammed bin Salman. Finanziato dalla Human Rights Foundation, “The Dissident” presenta un’indagine dettagliata sulle colpe del regime saudita e che porta sul grande schermo la vicenda umana, oltre che politica, di Khashoggi. Un tema delicato a causa dei molti interessi economici e politici in gioco. Il documentario non è stato trasmesso da nessuna delle principali piattaforme streaming.
Sappiamo che il senatore Renzi ama molto le arti visive. Gli consigliamo vivamente di guardare il docufilm di Fogel.
Gli “smemorati” di Italia Viva
Da leggere il pezzo di Thomas Mackinson sul Fatto quotidiano del 26 febbraio: “‘Sono pronto a discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi istituzionali, delle mie idee sull’Arabia Saudita, del futuro della pace di Abramo, del Medio Oriente, ma lo facciamo la settimana dopo la crisi di governo’. La crisi è passata, il governo Draghi è stato formato. Ed è trascorso quasi un mese dal 29 gennaio scorso quando Matteo Renzi dava la sua parola: di lì a poco avrebbe spiegato tutto sulle conferenze in Arabia Saudita finite al centro delle polemiche… Ricontattato in queste ore per chiarire, Renzi ancora non risponde (i messaggi via Whatsapp li ha letti tutti però). Ma sono anche altri a non rispondere. Tutta Italia Viva sembra soffrire di questa amnesia. A partire dai tanti “compagni” di Renzi che solo due anni prima avevano definito il regime del principe con parole molto diverse. Altro che ‘culla del Rinascimento”’ Scalfarotto, Paita, Giachetti, Ungaro, Di Maio (Marco), avevano messo la loro firma a un’interrogazione dell’allora collega del Pd Lia Quartapelle nella quale si dava atto che ‘le Nazioni Unite e numerose organizzazioni internazionali non governative, quali Amnesty International, denunciano sempre più gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Arabia Saudita, con frequenti detenzioni arbitrarie di attivisti, ecclesiastici di alto profilo, dirigenti d’azienda, giornalisti e commentatori dei social media”. E poi si arrivava al punto: l’omicidio Khashoggi e il regime. I deputati erano così arrabbiati che il governo non prendesse ancora posizione sulle complicità che trapelavano, da evocare possibili rappresaglie economiche dell’Italia facendo leva sugli acquisti di petrolio: ‘L’interscambio commerciale tra l’Italia e il Regno saudita – si legge nel documento – si è caratterizzato, nell’ultimo anno, per una contrazione del –24 per cento delle nostre esportazioni mentre le importazioni sono aumentate del +38 per cento, di cui il 90 per cento è riconducibile alla sola voce idrocarburi”. Come dire, l’Italia può far sentire la sua voce. E allora si chiede ‘quali informazioni disponga il Governo in merito alla vicenda di cui in premessa e per quanto di competenza, intenda adottare qualora fosse appurato che la scomparsa del giornalista del Washington Post sia riconducibile alle responsabilità della famiglia reale saudita’”.
Fin qui l’articolo, inappuntabile, del giornalista del Fatto quotidiano. E allora, senatore Renzi? E allora sottosegretario Scalfarotto? E allora, onorevoli Paita, Giachetti, Ungaro, Di Maio (Marco)? Siete ancora di quell’idea o anche voi siete stati folgorati sulla via di Riad. Se è così, però, fatelo sapere a Biden…
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